Il ritorno del falco pescatore, grazie ai Parchi

Le aree protette come baluardo per la conservazione del falco pescatore

[16 Marzo 2022]

Le aree protette sono tra i capisaldi della conservazione della biodiversità ed uno degli strumenti più importanti per limitare l’attuale perdita di specie ed habitat. Tuttavia, valutarne e quantificarne l’efficacia è di fondamentale importanza per comprendere meglio i loro effetti a lungo termine sulla conservazione delle comunità biologiche, soprattutto habitat peculiari e specie particolarmente sensibili o con status di conservazione sfavorevole.

In un recentissimo studio intitolato “Effectiveness of protected areas for osprey survival at intercontinental scale” e pubblicato sulla rivista Biodiversity and Conservation è stato dimostrato come le aree protette rappresentino uno strumento imprescindibile per la sopravvivenza del falco pescatore, specie vulnerabile nel Mediterraneo ed in pericolo critico in Italia. Lo studio è stato condotto da Francesco Montillo e Andrea Sforzi (Museo di Storia Naturale della Maremma), Giampiero Sammuri (Federparchi Italia), Olivier Duriez (CEFE-CNRS Montpellier) e Flavio Monti (Università di Siena e Museo di Storia Naturale della Maremma). I ricercatori hanno equipaggiato per molti anni circa 50 individui provenienti da tre popolazioni differenti del Mediterraneo centrale (Corsica, Baleari e Italia centrale) ed hanno stimato la dimensione dei loro home range, analizzato i loro spostamenti e modellato la variabilità spazio-temporale nell’uso delle aree protette a scala intercontinentale, in Europa e in Africa, durante il periodo non riproduttivo.

I risultati hanno mostrato come la probabilità di sopravvivenza del falco pescatore aumenta proporzionalmente in funzione del tempo/spazio speso nelle aree protette e questo effetto è particolarmente pronunciato tra i giovani (che aumentano del 10% la loro sopravvivenza se rimangono nelle aree protette). Tuttavia proprio i giovani, a causa della loro inesperienza, spendono meno tempo degli adulti nella aree protette e si allontanano di più e per più giorni, aumentando così il rischio di mortalità. Questo fenomeno è evidente soprattutto in Africa. Mentre infatti in Europa, il network delle aree protette è denso e continuo, grazie anche alla rete Natura 2000, in Africa si verifica il contrario, con aree protette più isolate e spesso in basso numero.

I dati però mostrano anche come vi sia un rovescio della medaglia per quanto riguarda la matrice di habitat al di fuori delle aree protette. Mentre in Africa vi sono immensi spazi naturali con un limitato sviluppo e impatto antropico, in Europa l’uso del suolo e la pressione antropica (intesa anche come presenza di infrastrutture, ecc.) rende le aree protette europee, ed in particolare quelle nelle zone umide, una sorta di limitato habitat naturale disponibile per le specie selvatiche.

I ricercatori infatti hanno evidenziato un numero maggiore di casi di mortalità proprio in Europa e al di fuori delle aree protette. Le cause di mortalità sono quasi totalmente associate ad attività umane sia dirette (abbattimento illegale) che indirette (elettrocuzione e collisione con infrastrutture, tra le più comuni).

«Questi risultati – affermano gli autori – sono importantissimi non solo da un punto di vista gestionale e di conservazione, ma lanciano un messaggio anche ai policy-maker dei vari Paesi dei due continenti, Europa e Africa. Il messaggio è che quanto più la rete delle aree protette è grande, funzionale e soprattutto ben gestita, tanto più il falco pescatore, come moltissime altre specie migratrici di uccelli, beneficerà della protezione degli habitat, fondamentali non solo alla sopravvivenza sul breve termine, ma anche su quella al lungo termine e dunque alla conservazione della/e specie».

Il caso del falco pescatore in Italia è emblematico da questo punto di vista. Basti pensare che negli anni 50-70, anni in cui la specie si estinse come nidificante nel nostro Paese a causa della persecuzione diretta e depauperamento degli habitat, c’erano solo 5 Parchi nazionali dei quali uno solo che comprendeva habitat idonei alla presenza del falco pescatore, il Circeo, peraltro il più piccolo dei cinque. La superficie protette in Italia era complessivamente meno del 10% di quella odierna. Le aree umide, fondamentali per il falco pescatore che si ciba esclusivamente di pesce, con l’esclusione del citato Circeo non erano tutelate e la stessa Convenzione Internazionale di Ramsar a tutela delle zone umide non era stata ancora sottoscritta (avvenne solo nel 1971).

L’Italia e l’Europa tutta hanno fatto passi da gigante in questo senso, arrivando oggi ad avere una superficie di aree protette pari all’11% , ma questo non basta come mostrato da questo studio. E’ importante che le aree protette rappresentino una rete funzionale ed efficace per le specie attraverso i paesi e le flyway migratorie al fine di permettere un livello di protezione diffuso e armonizzato tra i paesi. Solo così sarà possibile proteggere e conservare le specie migratrici durante tutte le fasi del loro complesso ciclo annuale.