Il megalodonte pesava più di 61 tonnellate, era lungo 16 metri e poteva mangiare un’orca intera (Video)

Nuove scoperte realizzate grazie agli eccezionali resti fossili scoperti nel 1860 e alla tecnologia 3D

[19 Agosto 2022]

Gli squali hanno uno scheletro cartilagineo “morbido”: le loro ossa sono più simili a un naso umano che a un femore, il che rende improbabile che i loro resti si fossilizzino, lasciando agli scienziati poco da studiare, oltre ai denti fossili, per studiare l’ormai estinto megalodonte (Otodus megalodon). Eppure, contro ogni previsione, una parte considerevole della colonna vertebrale di un megalodonte si è fossilizzata dopo che un gigantesco squalo morì, all’età di 46 anni, circa 18 milioni di anni fa negli oceani del Miocene, in quello che oggi è il Belgio.

Grazie a questo eccezionale fossile scoperto nel 1860, lo studio “The extinct shark Otodus megalodon was a transoceanic superpredator: Inferences from 3D modeling”, pubblicato su Science Advances da un team internazionale di ricercatori guidato da Jack Cooper della Swansea University è stato in grado di creare, quella che è fino ad oggi, la più completa ricostruzione 3D di un megalodonte, il più grande squalo mai esistito.

Cooper spiega che «I denti di squalo sono fossili comuni grazie alla loro composizione dura che consente loro di rimanere ben conservati. Tuttavia, i loro scheletri sono fatti di cartilagine, quindi raramente si fossilizzano. La colonna vertebrale del megalodonte dell’ Institut royal des Sciences naturelles de Belgique è quindi un fossile unico nel suo genere che ci ha permesso di condurre questo studio unico e creare il modello 3D». E i risultati del modello 3D di questo particolare megalodonte hanno rivelato che: era lungo 16 metri; pesava più di 61 tonnellate; poteva nuotare a circa 1,4 metri al secondo: aveva bisogno di quasi 100.000 kilo calorie al giorno; il volume del suo stmaco era quasi 10.000 litri.

Alla Swansea University fanno notare che «I risultati suggeriscono anche che il megalodonte avrebbe potuto spostarsi su lunghe distanze e avrebbe potuto mangiare prede intere lunghe fino a 8 metri, le dimensioni delle moderne orche, il principale predatore oceanico odierno.

Il team di ricerca, che comprende ricercatori provenienti da Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Sud Africa, ha utilizzato per la prima volta scansioni 3D delle vertebre conservate nel museo belga per ricostruire la colonna vertebrale, portandola a dimensioni reali. Poi i ricercatori hanno ricreato il cranio di un megalodonte, utilizzando una scansione 3D esistente del cranio di un grande squalo bianco, che è stata ingrandita e dotata di scansioni 3D di una dentatura di megalodonte. Il cranio risultante è stato quindi attaccato alle vertebre, producendo un modello di base dello scheletro di megalodonte. Una scansione 3D dell’intero corpo di un grande squalo bianco è stata utilizzata per aggiungere “carne” attorno allo scheletro del megalodonte, producendo un modello 3D completo di tutto il corpo del terrificante squalo estinto.

Uno degli autori dello studio, il britannico John Hutchinson del Royal Veterinary College, evidenzia che «Il peso è uno dei tratti più importanti di qualsiasi animale. Per gli animali estinti possiamo stimare la massa corporea con i moderni metodi di modellazione digitale 3D e quindi stabilire la relazione tra la massa e altre proprietà biologiche come la velocità e il consumo di energia». E per soddisfare il suo fabbisogno energetico il megalodonte  avrebbe dovuto mangiare creature che forniscono abbondanti calorie come i mammiferi marini. Nutrirsi di cetacei di dimensioni che rivaleggiano con le odierne orche potrebbe aver permesso al megalodonte di nuotare per migliaia di miglia attraverso gli oceani restando a digiuno per 2 mesi.

La principale autrice dello studio, Catalina Pimiento, dell’Universität Zürich e docente senior alla Swansea university, sottolinea che «Questi risultati suggeriscono che questo squalo gigante era un super predatore transoceanico. L’estinzione di questo iconico squalo gigante probabilmente ha avuto un impatto sul trasporto globale di nutrienti e ha liberato i grandi cetacei da una forte pressione predatoria».

Il modello 3D completo del megalodonte può ora essere utilizzato come base per future ricostruzioni e ulteriori ricerche scientifiche. Alla Swansea university  concludono: «Le nuove inferenze biologiche tratte da questo studio rappresentano un salto nella nostra conoscenza di questo singolare super predatore e aiutano a comprendere meglio la funzione ecologica che le specie megafaunali svolgono negli ecosistemi marini e le conseguenze su larga scala della loro estinzione».

Videogallery

  • The megalodon: A tale in 3D