Il folle piano del governo indiano di costruire una mega-city in un’isola delle Andamane

La proposta di costruzione di un gigantesco complesso turistico-finanziario sull'isola di Little Andaman metterà a rischio un fragile ecosistema e provocherà lo sfratto del popolo Onge

[5 Febbraio 2021]

In India il governo della destra induista del Bharatiya Janata Party (BJP) sta dimostrando di che pasta è fatto (e da che parte sta) il suo populismo non solo a New Dehli, dove ha mandato la polizia a massacrare i contadini in sciopero, ma anche nel lontanissimo Territorio delle Andamane e Nicobare, dove si è messo al servizio di un gigantesco progetto immobiliare, che è stato ribattezzato piano per lo sviluppo sostenibile e olistico, che dovrebbe estendersi su 680 Km2 della fragile Little Andaman Island e che preoccupa molto gli  ambientalisti.

Ieri si è tenuta una riunione presieduta dal chairmanship Chief Secretary delle Andamane per avviare la deperimetrazione della Onge tribal reserve di Little Andaman e poter così sfrattare dalle loro terre gli abitanti ancestrali di quell’isola colonizzata prima dall’Impero Britannico e poi dall’Unione Indiana

Su The Hindu,  Pankaj Sekhsaria, un ricercatore del Department of humanities and social sciences, dell’Indian Institute of Technology Delhi (IIT-Delhi), spiega cosa sta succedendo «Il “Sustainable Development of Little Andaman Island – Vision Document”, è la proposta della NITI Aayog (la commissione politica governativa, ndr) per sfruttare la posizione strategica e le caratteristiche naturali dell’isola. Questo, dice la vision, sarà realizzato costruendo lì una nuova città costiera green, che sarà sviluppata come zona di libero scambio e competerà con Singapore e Hong Kong».

Una proposta colossale e soprattutto c di colossale greenwashing di Stato che definisce sostenibile l’insostenibile. La proposta è infatti imperniata su tre zone di sviluppo: la Zona 1, distribuita su 102 kmq lungo la costa orientale di Little Andaman, sarà il distretto finanziario e la medi-city e comprenderà un’aereocity e un distretto turistico e ospedaliero. La Zona 2 si estenderà su 85 km2 attualmente occupati da una foresta incontaminata e sarà la zona del tempo libero, avrà una città del cinema, un quartiere residenziale e una Special economic zone (SEZ) turistica. La Zona 3, che sarà realizzata in altri 52 km2 di foresta incontaminata, sarà una zona “naturale”, ulteriormente suddivisa in tre distretti: un esclusivo resort forestale, un distretto curativo della natura e un ritiro naturale, tutti sulla costa occidentale.

Nella nuova mega-city  ci saranno resort “sottomarini”, casinò, campi da golf, centri congressi, complessi di uffici plug-and-play, un aeroporto per droni con sistema di consegna dei droni completamente automatizzato, istituti di cure naturali e altro ancora. In questo progetto che, con la scusa dello sviluppo verde devasterà un’intera isola  la struttura centrale sarà un aeroporto internazionale in grado di gestire tutti i tipi di aeromobili, perché «Tutti i casi di studio e riferimenti di successo studiati dal team di visioning indicano che un aeroporto internazionale è la chiave per lo sviluppo».

L’unico molo dell’isola sarà ampliato e verrà sviluppato un porto turistico vicino al quartiere dei divertimenti turistici. Una tangenziale greenfield di 100 km sarà costruita parallelamente alla costa da est a ovest e sarà integrata con una rete di trasporto rapido di massa con stazioni a intervalli regolari.

Anche se si dice che sia stato completato diversi mesi fa, il progetto Vision non è consultabile pubblicamente. Ma secondo  Sekhsaria  una chiave per capire di cosa si tratti è il paragone fatto dal governo indiano con Singapore. Ma prima bisogna sovrapporre  una mappa di Little Andaman a quella della città Stato di Singapore tenendo conto delle seguenti statistiche: «La densità di popolazione delle Andamane e Nicobare è di 47 persone per km2,  mentre a Singapore è di (sic) 7.615 persone per km2. Il suo reddito pro capite è di 1.789 dollari rispetto ai 55.182 dollari di Singapore».

Ed è lo stesso documento presentato da Vision a sottolineare che «Ci sono alcuni fattori che potrebbero impedire a Little Andaman di diventare la nuova Singapore, ci impediscono di trasformarla in veri e propri gioielli per il Paese». E tra questi ci sono la mancanza di buoni collegamenti con la lontanissima terraferma e le grandi  città globali  (Le Andamane e Nicobare sono più vicine al Mianmar, alla Thailandia e all’Indonesia che all’India); la fragilità di una biodiversità e di ecosistemi naturali unici e alcuni rilievi già avanzati dalla Corte Suprema che rappresentano un ostacolo alla cementificazione.

Un altro fattore che il governo di destra indiano sta cercando di risolvere  è «La presenza di tribù indigene e preoccupazioni per il loro benessere» in un territorio dove esistono ancora tribù ostili e incontattate e dove i popoli autoctoni non hanno niente a che vedere né con gli indiani né con la cultura indù.

Ci sono altri ostacoli concreti di cui la Vision prende nota senza però curarsene troppo: il 95% di Little Andaman è ricoperto di foresta, gran parte della quale incontaminata, circa 640 km2 dell’isola sono Reserve Forest ai sensi dell’Indian Forest Act, e quasi 450 km2 sono protetti come Onge Tribal Reserve, «Creando – sottolinea Sekhsaria  – un complesso storico socio-ecologico unico e raro di grande importanza».

La Vision ha bisogno di 240 km2 (il 35%, più della superficie dell’Isola d’Elba, ndr) di questo territorio e le soluzioni suggerite sono semplici e dirette: eliminare il 32% della Reserve Forest  e annullare l’istituzione della  Onge Tribal Reserve  su 138 km2 o 31% della riserva tribale. E se i tribali diventano un impedimento, la Vision suggerisce che «Possono essere trasferiti in altre parti dell’isola». Ed è quello che sta a quanto pare già succedendo, ancor prima dell’approvazione degli atti ufficiali.

Su The Hindu, Sekhsaria  denuncia che «Il documento di Vision contiene mappe senza legende o spiegazioni e utilizza fotografie inappropriate prese da Internet. Parla della conservazione del parco nazionale/santuario della fauna selvatica su Little Andaman quando lì non ne esiste nessuno e non menziona la vulnerabilità geologica del luogo, che è stato tra i più colpiti dalla combinazione terremoto-tsunami nel 2004. Le onde hanno colpito Little Andamane così forte che il 26 dicembre il frangiflutti non solo è stato violato, ma è stato spostato fisicamente e il suo orientamento è cambiato. Successivamente, le navi non hanno potuto attraccare per settimane. Il piano non ha dettagli finanziari, un budget o inventario delle foreste e della ricchezza ecologica e nessun dettaglio di una qualche valutazione di impatto. Il complesso di resort naturalistici proposto a West Bay, sulla costa occidentale, prevede resort a tema, resort galleggianti/sottomarini, hotel sulla spiaggia e ville residenziali di fascia alta. Oggi è un luogo appartato e difficile da raggiungere, uno dei più importanti siti di nidificazione della tartaruga marina gigante Liuto, a rischio di estinzione a livello globale, che è oggetto di studio da parte della Dakshin Foundation, dell’Andaman and Nicobar Environment Team e del Forest Department dell’amministrazione dell’isola».

In una nota del 26 settembre 2020, il Divisional Forest Officer di Little Andaman ha espresso serie preoccupazioni sulla  Vision riguardanti la fragilità ecologica, i diritti degli indigeni e la vulnerabilità a terremoti e tsunami. La nota affermava che «Un così grande cambiamento d’uso del terreno forestale causerebbe un’evidente perdita ambientale con conseguenti danni irreversibili». Il progetto comporterebbe l’abbattimento di almeno 2 milioni di alberi, interesserebbe gli habitat di vari animali selvatici, comprese le tartarughe marine liuto in via di estinzione, e avrebbe un impatto che non può nemmeno essere valutato perché non esiste un rapporto di valutazione dell’impatto ambientale e nemmeno piani dettagliati di dove davvero verrà realizzata la mega-city. Una nota dissenziente che è stata semplicemente ignorata dal governo e da Vision che cercano di alterare la natura di un’antica isola in un’area più grande di Chennai e Mumbai.

Gli ambientalisti indiani e delle Andamane hanno definito il “Sustainable Development of Little Andaman Island – Vision Document” «Un primo proiettile nel cuore dell’isola» che presto sarà seguito da un secondo: la deportazione del popolo autoctono Onge  per far spazio alla follia tinta di “verde olistico” dei denarosi amici dei populisti di destra indiani.

Tutto è (ri)cominciato nel gennaio 2016, quando l’amministrazione delle isole Andamane e Nicobare a Port Blair ha ricevuto un curioso piano per lo sviluppo delle isole tramite l’ufficio della NITI Aayog. Intitolato “An Approach Paper on” Prospects of Island Development – Options for India” e che stranamente e risultava redatto dal Quartier Generale Integrato (Marina) del Ministero della Difesa di New Delhi. Per un documento preparato dall’establishment della difesa, l’attenzione riguardava sorprendentemente meno i progetti strategici per la difesa e più le attività economiche come la costruzione di ferrovie, lo sviluppo di complessi portuali e petrolchimici, le zone economiche speciali (ZES) e l’industria turistica. E, per un piano che esaltava  la necessità di sostenibilità economica, sociale, ecologica e culturale nella strategia di sviluppo, ignorava sorprendentemente il contesto storico, sociale, ecologico e legale di un sistema insulare unico e dove è particolarmente importante l’Andaman and Nicobar Protection of Aboriginal Tribes Regulation (ANPATR), promulgato nel 1956. Aree significative delle isole sono protette in base a questo regolamento per le comunità indigene come i Jarawa e gli Onge. L’Approach Paper nelle sue 40 pagine non faceva alcun cenno all’ANPATR anche se propone una serie di progetti che avranno un impatto diretto sulle terre e sui diritti tutelati dal regolamento.

Ma quel documento sembra il seguito del “Report by the Inter-Departmental Team on Accelerated Development Programme for A&N Islands”, pubblicato nel lontano 1965 dal ministero indiano della riabilitazione, che tracciava la roadmap e poneva le basi per la brutale colonizzazione delle Andamane e Nicobare avvenuta nei decenni successivi. E il governo indiano non si dava pena nemmeno di nascondere le sue vere intenzioni, visto che il capitolo 12 era persino intitolato “Colonizzazione”.  Sekhsaria, che scoprì quel documento negli anni ’90, quando lavorava nelle Andamane sottolinea che «Mi colpì molto vedere un Paese che era stato una colonia fino al 1947 parlare la lingua e avere l’intento del colonizzatore meno di due decenni dopo. Le foreste delle isole, abitate dagli Onge e dagli Jarawa, venivano definite “infestate dai Jarawa” e le foreste non avevano valore se non per il loro legname».

Little Andaman, circa 730 Km2, dove vive il popolo autoctono Onge, rappresenta il fulco di entrambi i piani,  anche se separati da più di 5 decenni. Il piano del 1965 suggeriva la bonifica di 60.000 acri di foreste, l’insediamento di 12.000 famiglie indiane e la realizzazione di un complesso industriale integrato che includesse le industrie del legno e dello zucchero. La Vision prevede la trasformazione dell’isola in un complesso turistico integrato attraverso un modello di concessioni a lungo termine o PPP, lo sviluppo di un aeroporto internazionale e la costruzione di un nuovo porto a Dugong Creek per la connettività tra le isole. Sekhsaria commenta: «A quanto pare, le lancette dell’orologio non si sono affatto mosse per pianificatori e potenti che siano».

E’ innegabile che nel 1965 ci fosse una concezione diversa delle risorse ambientali e naturali, ma è difficile capire come 56 anni dopo non si sia per niente tenuto conto della protezione di 520 km2 di territorio ancestrale di un popolo tribale e del fatto che Dugong Creek, dove si propone di fare il porto, si trova nel cuore della Riserva e ospita l’insediamento più importante degli Onges. Il piano non tiene conto nemmeno del fatto che l’acqua potabile è una grosso problema in molte isole e che nelle Andamane e Nicobare i terremoti sono molto frequenti, cosa che non rappresenta certo un’attrattiva turistica.

Eppure, nella riunione della NITI Aayog tenutasi a settembre 2020 è stato approvato il piano per la promozione del turismo di fascia alta in 4 isole: Smith, Ross, Avis e Long, mentre per Little Andaman la discussione era stata rinviata anche a causa delle preoccupazioni sollevate cdagli ambientalisti e dalla stessa amministrazione del Territorio. Ma il Luogotenente Governatore delle isole Andamane e Nicobare è ora un ex ministro del BJP  del  governo di New Delhi, Jagdish Mukhi, ed è probabilmente da lì che è venuta la nova spinta per i piani di sviluppo del progetto Vision.

Sekhsaria conclude: «L’impatto che questo avrà sulle foreste, sulla biodiversità e sulla comunità Onge può solo essere immaginato. Quando il team del governo andò a Little Andaman nel 1964-65, l’intera isola era una riserva tribale, le foreste non erano sfruttate e gli Onge gli unici residenti dell’isola che e ci vivevano da migliaia di anni. Mezzo secolo di “sviluppo’” dopo, la Riserva degli Onge è di circa il 30% più piccola (più di 200 km2 di foresta sono stati ceduti per insediamenti, piantagioni, agricoltura), le foreste rimanenti sono sotto pressione crescente e per ogni Onge su Little Andaman ci sono ora circa 200 individui che vengono dall’esterno. La terra degli Onge non è più la terra degli Onge. Cos’altro c’è da dire?»