I repellenti per gli squali funzionano davvero?
A quanto pare no. Bisognerebbe imparare a convivere con questi antichissimi predatori
[9 Luglio 2015]
Molto prima che film come “lo squalo” e i suoi sempre più truculenti seguiti seminassero ulteriore paura e fobia, gli esseri umani avevano cercato in diversi modi di tenere lontano quelli che sono ritenuti tra i più temibili predatori marini: gli squali, non smettendo comunque mai comunque di pescarli per cibarsene e di massacrarli alla prima occasione.
Anche se gli squali, rispetto ad altri animali (per non parlare degli uomini) hanno un’immeritata fama di assassini, ad ogni loro attacco si rinnovano le richieste e le proposte di repellenti efficaci.
Shitsonian.com ricorda che durante la Seconda Guerra Mondiale la US Navy nel Pacifico scelse un approccio chimico per tener lontani gli squali e creò la “Shark Chaser, una miscela di 38 composti che puzzava di squalo putrefatto. Durante un’altra guerra, quella del Vietnam, i subacquei militari Usa cercavano di tener lontani i pescecani utilizzando acetato di rame in polvere e black dye cloaking ma non funzionavano.
Nonostante i tentativi fallimentari, negli anni successivi si è continuata a sperimentare la strada della chimica, ispirandosi spesso ai pesci che respingono gli attacchi degli squali utilizzando diverse sostanze, ma la Marina Militare Usa ha sperimentato un repellente naturale fatto di tintura nera e acetato di rame tenuti insieme da cera solubile in acqua. Tutti tentativi che si sono rivelati scarsamente o per niente efficaci.
La moderna ricerca di sistemi anti-squalo ha praticamente abbandonato i prodotti chimici per passare ad una una strategia magnetica che si basa sul fatto che gli squali “sentono” l’ambiente che li circonda con le ampolle di Lorenzini, i recettori specializzati che hanno sul muso e con i quali decodificano i campi elettromagnetici subacquei, individuando così le prede ed orientandosi nei mari e negli oceani di tutto il pianeta.
La maggior parte dei prodotti repellenti in vendita punta proprio ad annullare la capacità degli squali di percepire i campi magnetici. Alcuni di questi dispositivi emettono impulsi elettronici che sconvolgono i sensi degli squali, altri, come gli Sharkbanz bracelets utilizzano magneti. Eric Stroud, un chimico che lavora con l’Ong SharkDefense che sponsorizza questa tecnica spiega che per scongiurare l’attacco di uno squalo, «Non ci vuole un magnete potente, basta da 10 a 50 volte la forza del campo magnetico della Terra», ma l’efficacia di questi prodotti magnetici resta molto dubbia.
Nel 2012, il governo australiano aveva testato alcuni dissuasori elettronici applicandoli alle foche, uno delle prede preferite degli squali bianchi ed è venuto fuori che a volte funzionavano e a volte no e in un test del 2008 uno squalo si era addirittura mangiato quello che avrebbe dovuto essere un dispositivo repellente.
Nel 2014 KwaZulu-Natal Sharks Board del Sudafrica ha iniziato la sperimentazione di recinzioni marine elettroniche per tenere gli squali bianchi lontani dalle spiagge più frequentate e la cosa sembra aver avuto un certo successo.
La realtà è che il rischio di essere attaccati ed uccisi da uno squalo è minimo – anche perché li abbiamo portati sull’orlo dell’estinzione – che i repellenti chimici e magnetici sono fino ad ora poco più di un palliativo per sentirsi al sicuro da una minaccia inesistente in gran parte delle zone balneari del mondo – compreso il Mediterraneo – e che, invece di tenerli lontani ed ucciderli e perturbare le loro abitudini l’uomo farebbe bene a conoscere meglio e rispettare di più questi magnifici, utili ed antichissimi predatori che nuotavano nelle acque del nostro pianeta molto prima che la specie umana facesse la sua comparsa e cominciasse ad averne una superstiziosa paura.