I popoli indigeni alla Cop26: porre fine alla guerra contro la natura

Wwf: nei piani climatici presentati all'Onu ci sono più soluzioni basate sulla natura

[8 Novembre 2021]

Il 6 novembre milioni di persone sono scese nelle strade delle città di tutto il mondo per chiedere ai potenti della Terra riuniti alla COP26 Unfccc di Glasgow una maggiore e urgente azione clima, alcuni paesi che hanno preso parte ai negoziati della COP26, e Madre Natura, o Pachamama, come la chiamano in America Latina. è stata al centro anche del grande corteo di Glasgow che ha segnato il giro di boa della COP26.

E’ stata la stessa Onu a ricordare che  «La natura è fondamentale per la nostra sopravvivenza: fornisce l’ossigeno di cui abbiamo bisogno per respirare, regola i modelli meteorologici, fornisce cibo e acqua per tutti gli esseri viventi, ospita innumerevoli specie di animali selvatici e gli ecosistemi di cui hanno bisogno per sopravvivere».

Secondo l’United Nations environment programme (Unep)«L’attività umana ha distrutto quasi il 75% della superficie terrestre e messo circa un milione di specie animali e vegetali nella lista a rischio. Abbiamo sfruttato eccessivamente le risorse della natura, deforestato le terre per l’agricoltura e l’industria del bestiame, mentre il cambiamento climatico sta esacerbando questo processo più velocemente che mai, aumentando l’erosione e la desertificazione».

L’Unesco aggiunge che «Gli oceani sono diventati inquinati, assorbendo circa un terzo delle nostre emissioni di carbonio, il che significa che stanno perdendo la capacità di essere ammortizzatori del cambiamento climatico» e il segretario dell’Onu ha affermato più volte negli ultimi mesi che «E’ chiaro che l’umanità sta conducendo una guerra alla natura».

Nel giorno dedicato dalla COP26 alla natura, la direttrice esecutiva dell’Unep, Inger Andersen, ha detto a UN News; «Non possiamo continuare a mettere la natura in un angolo e aspettarci che ceda. Vogliamo che sequestri il carbonio, che fornisca le difese  per le tempeste e le mangrovie e che sia il polmone del mondo. Ma quando scherziamo con la natura, la natura ci invierà queste fatture da pagare sotto forma di tempeste di maggiore intensità, più incendi, più ondate di calore e più siccità».

E un panel di alto livello al quale ha partecipato anche la Andersen ha ribadito a Glasgow che «Risolvere il cambiamento climatico non può essere fatto senza risolvere la sfida della perdita di biodiversità e degli ecosistemi degradati» e ha chiesto «Unità e cooperazione per trovare le soluzioni necessarie per ripristinare la natura e affrontare il cambiamento climatico».

La Andersen sottolinea che «Le trasformazioni socio-economiche di cui abbiamo bisogno, avverranno solo quando ripristineremo il nostro rapporto con la natura, comprendendo che non possiamo più investire in ciò che danneggia il nostro pianeta. Mentre i Paesi si riprendono dalla pandemia di Covid-19, c’è stata una grande spinta per soluzioni basate sulla natura contro il cambiamento climatico e in termini di aiuto alla ripresa economica. Si tratta di iniziative che apportano benefici alla natura e alle persone. Come può aiutarci la natura e come possiamo aiutare la natura… Ci sono 2 miliardi di ettari di terra degradata e tutti abbiamo bisogno di mangiare. Quindi, la domanda è se abbiamo intenzione di abbattere foreste vergini o ripristinare quella terra in un territorio funzionante».

E qui fanno irruzione sulla scena della COP26 i popoli indigeni che nella prima settimana sono stati molto attivi dentro e fuori la sede della COP26, lavorando per influenzare i negoziati in ogni modo possibile, comprese le proteste di piazza.

Nessuno sa di più sul modo migliore per proteggere la natura delle popolazioni indigene del mondo e Eloy Terena un antropologo del popolo Terena e rappresentante legale dell’Articulação dos povos indígenas do Brasil  ha detto a UN News che «La cultura indigena ci insegna a rispettare i fiumi, i laghi, le piante, gli animali e gli esseri spirituali che vivono in questi luoghi. Non si può risolvere la crisi climatica senza includere le popolazioni indigene e senza proteggere i loro territori».

Victoria Tauli-Corpuz, ex relatrice speciale dell’Onu sui Diritti Indigeni, ha ricordato che «Le comunità indigene sono davvero le esperte nel vivere in armonia con la natura, uno dei motivi fondamentali per cui i loro territori contengono attualmente l’80% del mondo biodiversità. Usiamo davvero la natura per risolvere tutti i nostri problemi di sicurezza alimentare, acqua o cambiamento climatico e altri servizi e lo abbiamo fatto in un modo che non distrugge la natura, quindi abbiamo molto da condividere con il mondo dominante e abbiamo bisogno di sostegno per impedire ai governi di criminalizzarci, per proteggere i nostri territori. Mentre le comunità indigene hanno leggi e costumi rigidi, per proteggere la natura, gli Stati hanno leggi contrastanti. Ad esempio, nelle Filippine abbiamo un Indigenous Rights Act, ma abbiamo anche il Mining Act e un accordo sugli investimenti che li spinge a estrarre le nostre risorse. Ala COP, i rappresentanti indigeni stanno attuando la loro strategia per influenzare alcune delle decisioni che verranno prese, incluso l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che stabilirà regole per i mercati del carbonio e altre forme di cooperazione internazionale. Spingiamo perché si dica davvero che non possiamo avere meccanismi basati sul mercato se violano i diritti delle popolazioni indigene».

Invece, sebbene le comunità ancestrali contribuiscano quasi zero al cambiamento climatico, sono diventate una delle sue vittime più vulnerabili. Daniela Balaguera della comunità indigena Arhuaco nel nord della Colombia, una tribù indigena ancestrale che vive nella Sierra Nevada di Santa Marta, una catena montuosa isolata separata dalle Ande, che attraversa il centro del paese e che è la sorgente di 36 fiumi diversi, denuncia: «I nostri territori dovrebbero essere sacri, sono per la conservazione ambientale, ma in realtà non vengono trattati in quel modo ed è qui che dobbiamo approfondire. Se sono aree protette, dovrebbero avere garanzie e diritti che sono stati riconosciuti ma che non esercitano».

Per la Balaguera  e per molti altri attivisti indigeni che protestano alla COP26 il cambiamento climatico è una questione di vita o di morte: «Siamo minacciati dalla seconda estinzione delle nostre pratiche culturali, il che è estremamente preoccupante perché sarebbe il secondo massacro, il secondo annientamento del nostro popolo».

E le preoccupazioni dei popoli indigeni hanno trovato molti alleati e voce nel grande corteo dei 100.000 che sabato ha percorso le strade di Glasgow e in quelli che si sono snodati in molte altre parti del mondo come Londra e Parigi in occasione del Global Day of Action.

Gli attivisti indigeni dicono che quel che è stato deciso finora alla COP26 su natura, biodiversità e foreste è ancora troppo poco, anche se il Wwf International ha presentato a Glasgow  ilrapporto“NDCs – A Force for Nature?”  dal quale emerge che «Il 92% dei nuovi piani per il clima elaborati dai paesi ora includono misure per affrontare la perdita di natura». Secondo l’associazione ambientalista, «Sempre più paesi stiano finalmente riconoscendo il ruolo cruciale delle soluzioni basate sulla natura nell’affrontare la crisi climatica globale. Per soluzioni basate sulla natura (nature based solutions) si intendono tutte quelle azioni che proteggono, ripristinano e consentono di gestire in modo sostenibile gli ecosistemi terrestri e marini come foreste, torbiere, zone umide, savane, barriere coralline e mangrovie, affrontando contemporaneamente altre sfide sociali. Si stima che soluzioni come queste potrebbero garantire fino al 30% della mitigazione del cambiamento climatico, necessaria per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi».

Il rapporto rileva che 105 dei 114 Nationally determined contributions (NDC) presentati entro il 12 ottobre, includevano soluzioni basate sulla natura e che in 96 NDC ci sono soluzioni basate sulla natura nell’ambito delle misure di mitigazione e 91 nell’ambito dei piani di adattamento. «Questo – dice il Wwf – rappresenta una tendenza positiva rispetto alle precedenti presentazioni: nell’ultima valutazione sugli impegni dei Paesi fatta a luglio dal Wwf, la presenza dei contributi basati sulla natura era all’82%».

Stephen Cornelius, senior advisor clima del Wwf UK, conferma: «Ora, più del triplo degli NDC fa riferimento agli Obiettivi di sviluppo sostenibile, alla Convention on biological diversity o ad altri processi globali. C’è stato anche un grande aumento nel numero di NDC che si riferiscono esplicitamente alle popolazioni indigene e alle comunità locali (IPLC), che sono in aumento dell’88%. Questo dimostra come sia crescente il riconoscimento del loro ruolo essenziale per la tutela di oltre l’80% della biodiversità del nostro pianeta».