I Parchi nazionali Usa invasi dalle specie aliene

L’opinione pubblica può svolgere un ruolo chiave nell'aiutare i parchi a rilevare o eradicare le specie invasive

[4 Dicembre 2019]

Più della metà dei parchi nazionali statunitensi sta affrontando una minacci immediata: la presenza e la diffusione in atto di specie aliene animali invasive.  Per combattere questa invasione di specie aliene e salvare veri e propri tesori della biodiversità, il National Park Service Usa ha chiesto aiuto a un team di esperti statunitensi e australiani che hanno riassunto il loro lavoro nello studio “The unaddressed threat of invasive animals in U.S. National Parks” appena pubblicato su Biological Invasions.

La principale autrice dello studio, Ashley Dayer del Department of Fish and Wildlife Conservation del Virginia Tech, sottolinea che «Come americani, apprezziamo i parchi nazionali per gli habitat naturali e la fauna selvatica che proteggono, ma a causa delle specie invasive, alcune delle nostre specie autoctone stanno lottando o sono incapaci di sopravvivere, anche con la protezione del nostro sistema di parchi. E’ probabile che un numero maggiore di invasori arriverà e prospererà perché, attualmente, il National Park Service non ha un programma completo per invertire o arrestare la tendenza. Sarà fondamentale un’azione coordinata e un impegno finanziario da parte del NPS e di altri. Se non interveniamo, le specie autoctone continueranno a dover lottare a causa di quelle invasive. Ma agire non è cosa da poco; richiede l’impegno e le risorse del National Park Service, dei territori vicini e dell’opinione pubblica».

La Deyer è una scienziata sociale della conservazione e il suo lavoro al Virginia Tech si occupa proprio di capire come coinvolgere meglio le persone nella salvaguardia ella fauna selvatica. Altri partecipanti al suo team sono stati scelti per le loro competenze nella gestione dei parchi e delle specie invasive, l per le loro conoscenze sulle tecnologie emergenti, l’economia o il supporto decisionale.

Elaine Leslie, ex capo della NPS Biological Resource Management Division, ha spiegato che «L’NPS è molto preoccupato per le specie alloctone e invasive su tutto il territorio, all’interno e all’esterno delle unità dei parchi nazionali, e per il loro impatto sulla biodiversità autoctona, in particolare le specie a rischio e i loro habitat. A livello nazionale e internazionale, il mondo sta perdendo la biodiversità autoctona a un ritmo allarmante. Le minacce provenienti dalle specie invasive svolgono un ruolo fondamentale in questa perdita».

La Dayer e il team di esperti hanno studiato questo complesso problema per tre anni e la loro scoperta principale è che «La presenza di animali invasivi mina la missione dell’NPS. Questi invasori possono causare la perdita della fauna selvatica di un parco, ridurre il piacere di stare in un parco da parte dei visitatori, introdurre malattie e avere enormi impatti economici a causa del costo delle misure di controllo».

Nonostante questi pesanti impatti, in oltre la metà dei Parchi nazionali Usa possono essere trovate specie animali invasive. Al Virginia Tech sottolineano che «Delle 1.409 popolazioni segnalate di 311 specie animali invasive nei parchi nazionali, ci sono piani di gestione per il 23% e solo l’11% è stato contenuto. Gli invasori includono mammiferi, come ratti, gatti e maiali selvatici; specie acquatiche come la trota di lago e la cozza quagga e rettili, incluso il pitone birmano.

Da quando nel 2000 è stato scoperto che i pitoni birmani prosperano e si riproducono nelle sue paludi, l’Everglades National Park è noto in tutto il mondo per i giganteschi problemi c di gestione che si trova ad affrontare a causa degli animali invasivi. I media locali e nazionali, ma anche i registi di fiction e documentari, hanno rapidamente trovato un pubblico per articoli e opere che rappresentano questi serpenti, che possono raggiungere più di 7 metri di lunghezza e 7 metri in lunghezza e più di 90 kg di peso. I ricercatori sono molto preoccupati per quel che sta accadendo nelle Everglades, dove il numero di mammiferi autoctoni come procioni e opossum è sceso rapidamente e drammaticamente.

In Virginia, un insetto, l’adelgida lanosa della cicuta, ha infestato le tsuga lungo la Blue Ridge Parkway e nello Shenandoah National Park, si tratta di alberi che aiutano a mantenere gli habitat di acqua dolce necessari per la sopravvivenza di altre specie come la trota autoctona. Sebbene le le tsuga possano vivere fino a 600 anni, un’infestazione di l’adelgida lanosa della cicuta può uccidere un albero in soli 3-10 anni.

La seconda scoperta del team di esperti è che «Per affrontare la sfida delle specie invasive è necessaria un’azione coordinata». La collaborazione è essenziale per avere successo nell’eradicazione o contenimento delle specie aliene e garantirsi il sostegno alle decisioni da prendere a tutti i livelli è strategico, mentre utilizzare in modo appropriato le tecnologie emergenti è molto utile.

Secondo un atro autore dello studio, Mark Schwartz, che insegna scienze della conservazione all’Università della California-Davis, «E’ la natura complessa di questo problema che richiede uno sforzo così coordinato e diffuso. I nostri parchi nazionali affrontano una serie di problemi di cattiva gestione, con le specie invasive che si distinguono per la grande diversità delle specie, la diffusione geografica del loro impatto, l’entità della minaccia e la complessità delle soluzioni».

Il team di ricercatori concorda non solo sul fatto che la strada da percorrere sia un coordinamento nazionale, ma anche che questa sarà una grande sfida. E Schwartz aggiunge: «Oltre al coordinamento nazionale sugli animali invasivi, è necessario un mezzo migliore per integrare pienamente la gestione degli animali invasivi nell’intera gamma di sfide che affrontano i singoli parchi».

La Dayer, che fa parte del Global Change Center ospitato dal Fralin Life Sciences Institute del Virginia Tech, è convinta che per i Parchi «Il cambiamento organizzativo è possibile» e vede buoni esempi in iniziative intergovernative come il National Invasive Species Council e l’Invasive Species Advisory Committee. nonché nelle collaborazioni regionali che hanno avviato alcuni Parchi nazionali Usa

Per Schwartz sono promettenti anche alcuni recenti successi ottenuti dai Parchi: «Dopo una falsa partenza, Yellowstone si unito a noi, ha cercato un ampio input pubblico e ora ha un programma efficace per gestire le trote di lago invasive. In collaborazione con l’Everglades Cooperative Invasive Species Management Area, l’NPS si è coordinata con altre agenzie, tribù e parti private per controllare l’ibis sacro invasivo. Sono necessari ulteriori sforzi di collaborazione».

Anche secondo la Leslie ritiene «Un lavoro coordinato e finanziamenti aggiuntivi saranno fondamentali per il successo. Questo problema è anche di importanza economica. Se saremo in grado di adottare misure nazionali, come fanno altri Paesi, per prevenire ed eradicare le specie invasive, possiamo fare la differenza, ma deve essere una priorità e ben coordinata».

Un altro protagonista importante che potrebbe aprire la strada a cambiamenti duraturi è l’opinione pubblica: «Può svolgere un ruolo chiave nell’aiutare i parchi a rilevare o eradicare le specie invasive, spingendo verso nuove politiche governative e assegnazioni di finanziamenti o fornendo assistenza attraverso i contributi filantropici – evidenzia la Dayer – Per fare progressi, è fondamentale che il popolo degli Stati Uniti sia completamente impegnato nella determinazione e attuazione della soluzione a questa sfida».

Insieme agli altri ricercatori del team, la Dayer continuerà ad affrontare questo complesso problema assicurandosi che i risultati vengano divulgati, promuovendo le azioni dell’NPS e incoraggiando le persone ad acquistare e partecipare agli sforzi per proteggere i Parchi nazionali Usa. E la ricercatrice conclude: «Tutto questo è importante perché i parchi nazionali non sono i parchi del National Park Service; appartengono alla gente degli Stati Uniti e fungono da modelli di conservazione a livello nazionale e internazionale».