I gatti è meglio marcarli a zona (VIDEO)

Per proteggere la fauna selvatica dai gatti, una difesa a zona può essere più efficace che cercare di allontanarli tutti dalle strade

[22 Aprile 2022]

Molti proprietari di gatti domestici dicono che i loro mici dovrebbero poter vagare liberamente all’aperto, mentre altri fanno notare che i gatti in libertà uccidono moltissimi  uccelli, rettili, mammiferi e insetti importanti come farfalle e libellule da essere diventati una minaccia globale per la biodiversità. Dato che i biologi hanno spesso a che fare con questi punti di vista contrastanti, Daniel Herrera e Travis Gallo della George Mason University si sono chiesti se ci fosse spazio per una strategia più sfumata rispetto al solito  sì/no e per rispondere, nello studio “Prey selection and predation behavior of free-roaming domestic cats (Felis catus) in an urban ecosystem: Implications for urban cat management”, pubblicato recentemente su Biological Conservation insieme ad altri ricercatori statunitensi,  hanno utilizzato fototrappole piazzate in centinaia di siti in tutto il Washington DC, per analizzare il comportamento predatorio dei gatti urbani in libertà.

Su The Conversation Herrera e Gallo spiegano che «Le telecamere hanno registrato tutti i gatti che le hanno oltrepassate, quindi il nostro studio non ha distinto tra gatti selvatici e gatti domestici che vagano all’aperto. I nostri dati hanno dimostrato che quando si trovavano a più di circa 500 metri da un’area boschiva, come un parco o un cortile alberato era improbabile che i gatti predassero la fauna selvatica autoctona, come uccelli canori o piccoli mammiferi. Abbiamo anche scoperto che quando i gatti erano a circa 800 piedi (250 metri) o più lontano dai margini della foresta, avevano maggiori probabilità di predare i ratti che la fauna selvatica autoctona».

Dato che il raggio di azione di un gatto domestico urbano medio si estende su una piccola area di circa 170 metri, uno o due isolati urbani,  la differenza tra una dieta composta esclusivamente da specie autoctone e una senza prede autoctone può essere studiata all’interno di un singolo areale di un gatto.

I due ricercatori della George Mason University  scrivono che «I nostri risultati suggeriscono che concentrare gli sforzi sulla gestione delle popolazioni di gatti vicino alle aree boschive potrebbe essere una strategia di conservazione più efficace rispetto al tentativo di gestire la popolazione di gatti all’aperto di un’intera città».

A Washington DC, che ha una popolazione di 200.000 felini domestici e randagi,  i gatti in libertà sono comuni  e, come in altre città la gestione dei gatti ha sollevato numerose polemiche, ma tutti concordano sul fatto che i gatti sono più al sicuro se tenuti in casa. Come ricordano i ricercatori, «La durata della vita di un gatto all’aperto generalmente raggiunge il picco di circa 5 anni, rispetto ai 10-15 anni di un gatto al chiuso. I gatti in libertà devono affrontare numerose minacce, tra investimenti da parte di veicoli e contatto con il veleno per topi». Riconoscendo questi rischi, la maggior parte delle organizzazioni per il benessere degli animali incoraggia uno stile di vita indoor per i mici.

Al di là di qualche difensore a oltranza della bontà dei gatti, quasi tutti concordano anche sul fatto che i gatti cacciano: «Per secoli gli esseri umani li hanno usati per il controllo dei roditori – dicono Herrera e Gallo – Ma i ratti invasivi, che sono spesso il bersaglio del moderno controllo dei roditori, possono diventare troppo grossi per essere facili prede per i gatti. In risposta, i gatti inseguono anche specie più piccole che sono più facili da catturare». Precedenti studi hanno collegato i gatti a 63 estinzioni di specie animali in tutto il mondo e hanno stimato che ogni anno i gatti uccidono 12,3 miliardi di mammiferi selvatici solo negli Stati Uniti.

I disaccordi sorgono riguardo alla gestione dei gatti che già vivono all’aperto. I programmi di gestione della popolazione felina spesso utilizzano trap-neuter-return, o TNR, un procedimento in cui i gatti vengono intrappolati, sterilizzati o castrati e rilasciati nuovamente dove sono stati catturati. I due ricercatori scrivono su The Conversation che «In teoria, il TNR limita la crescita della popolazione riducendo il numero di cuccioli che nasceranno. In realtà è raramente efficace, dal momento che per ridurre la popolazione ogni anno dovrebbe essere sterilizzato il 75% dei singoli gatti, cosa spesso non fattibile».

Indipendentemente da questo, la riproduzione in sé non è quel che più preoccupa i biologi conservazionisti: «Oggi la Terra sta perdendo specie selvatiche a un ritmo tale che molti scienziati ritengono che stia vivendo la sua sesta estinzione di massa . In questo contesto, gli effetti dei gatti in libertà sulla fauna selvatica rappresentano una seria preoccupazione. I gatti hanno una spinta istintiva a cacciare, anche se sono nutriti dagli umani. Molte popolazioni di animali selvatici stanno già lottando per sopravvivere in un mondo in rapido cambiamento. Cadere preda di una specie non autoctona non le aiuta. I gatti non sono cacciatori schizzinosi ma si avventano sulla preda più facile disponibile. Questo comportamento predatorio generalista contribuisce alla loro cattiva reputazione come una delle specie invasive più dannose. A nostro avviso, tuttavia, potrebbe anche essere una chiave per limitarne l’impatto ecologico».

Ed Herrera e Gallo spiegano perché: «Dato che i gatti sono predatori generalisti, la loro dieta selvatica tende a riflettere le specie locali disponibili. Nelle aree con più uccelli che mammiferi, come la Nuova Zelanda, gli uccelli sono la preda principale dei gatti. Allo stesso modo, le diete dei gatti nelle aree più urbanizzate delle città riflettono probabilmente le specie di prede più disponibili: i ratti. Mentre i gatti sono in cima alla lista delle specie invasive dannose, i ratti non sono da meno. Nelle città, i ratti i diffondono malattie, contaminano il cibo e danneggiano le infrastrutture . Non ci sono molti aspetti negativi per i gatti in libertà che predano ratti. Nei centri cittadini non mancano certo i ratti, che possono vivere ovunque, compresi parchi, metropolitane, fogne ed edifici. Ma gli animali autoctoni tendono a rimanere all’interno o vicino ad aree con sufficiente habitat all’aperto, come parchi e quartieri boscati. Quando i gatti cacciano in questi stessi spazi, sono una minaccia per la fauna selvatica autoctona. Ma se i gatti non condividono questi spazi con le specie autoctone, il rischio diminuisce drasticamente».

Visto che i finanziamenti per la conservazione della biodiversità sono limitati, è fondamentale scegliere strategie efficaci. Herrera e Gallo  fanno notare che «L’approccio tradizionale alla gestione dei gatti consisteva in gran parte nel tentativo di vietare del tutto ai gatti di andare in giro liberi, un approccio incredibilmente impopolare tra le persone che si prendono cura dei gatti all’aperto. Nonostante le richieste di divieti per i gatti all’aperto, ne sono stati emanati pochi. Invece, suggeriamo di dare la priorità alle aree in cui la fauna selvatica è più a rischio. Ad esempio, le città potrebbero creare “zone vietate ai gatti” vicino agli habitat urbani, il che vieterebbe il rilascio di gatti trap-neuter-return in quelle aree e ai proprietari di quelle aree di lasciare vagare i loro gatti all’aperto. A Washington DC, questo includerebbe quartieri boscati  come Palisades o Buena Vista, così come le case vicino a parchi come Rock Creek. A nostro avviso, questo approccio mirato avrebbe un impatto maggiore rispetto ai divieti per i gatti all’aperto in tutta la città, che sono impopolari e difficili da applicare».

Herrera e Gallo concludono: «Le politiche intransigenti hanno fatto poco per ridurre le popolazioni di gatti all’aperto negli Stati Uniti. Riteniamo invece che un approccio mirato e basato sui dati alla gestione dei gatti sia un modo più efficace per proteggere la fauna selvatica».