Gli incendi in Amazzonia stanno peggiorando: nell’ultimo mese +196% rispetto all’anno scorso

I focolai sono raddoppiati dall’inizio dell’anno, che si sta rivelando il peggiore da quasi un decennio. Gli indigeni invitano le persone di tutto il mondo a mobilitarsi domani contro il governo brasiliano e le multinazionali dell'agroindustria

[4 Settembre 2019]

Domani è la Giornata globale di azione per l’Amazzonia, indetta dall’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib), ma i devastanti incendi che stanno ancora divorando la foresta pluviale sembrano già usciti dall’agenda politica e mediatica del nostro Paese: eppure le fiamme non si sono fermate, anzi. La situazione continua a peggiorare come mostrano i dati aggiornati al 1 settembre riportati dall’Istituto nazionale di ricerche spaziali brasiliano (Inpe): durante il mese di agosto in Amazzonia sono stati registrati 30.901 focolai attivi rispetto ai 10.421 dello stesso mese del 2018, con un incremento del +196%. Si tratta del dato peggiore dal 2010, quasi un decennio fa.

A partire dall’arrivo di Bolsonaro al governo brasiliano, ovvero dal 1 gennaio di quest’anno, sono stati 91.891 i focolai accesi in tutto il Brasile – ancora una volta il risultato peggiore dal 2010 – e oltre la metà di questi ha colpito l’Amazzonia. Rispetto all’anno scorso si tratta del 67% di incendi in più, dato che arriva al +107% guardando alla sola Amazzonia: nella foresta gli incendi sono più che raddoppiati.

Nella sola giornata di ieri sono stati 385 gli incendi rilevati nell’Amazzonia brasiliana: per questo gli indigeni riuniti nell’Apib invitano le persone di tutto il mondo a mobilitarsi domani di fronte alle ambasciate e ai consolati brasiliani, ma anche presso le sedi di società e multinazionali che traggono profitto dalla distruzione della foresta amazzonica.

«Siamo in uno stato di emergenza: non possiamo difendere il clima del Pianeta se non difendiamo le foreste. Ma in Brasile l’Amazzonia continua a bruciare per fare spazio ai pascoli di bestiame e in tutto il Sud America le foreste vengono distrutte per produrre quantità insostenibili di carne e colture destinate a diventare mangimi», dichiara Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia.

Il 75% dei focolai si è verificato infatti aree che  fino al 2017 erano coperte dalle foreste e che successivamente sono state deforestate o degradate per lasciar spazio a pascoli o aree agricole. L’avanzata dell’agricoltura industriale nella foresta, spesso per far spazio a pascoli per il bestiame e colture – come la soia – destinate alla mangimistica è stata dunque “l’anticamera” degli incendi; circa il 20% degli incendi si è inoltre verificato in aree naturali protette, il 6% delle quali appartengono a popoli indigeni.

Anche noi consumatori occidentali abbiamo una parte di responsabilità in tutto questo: su input europeo il vertice del G7 a Biarritz in Francia ha dichiarato di voler difendere l’Amazzonia stanziando 20 milioni di euro contro gli incendi, ma l’Europa rimane sempre il secondo importatore mondiale di soia, la cui avanzata in Amazzonia sta sostituendo la foresta pluviale e «si appresta a svenderla ulteriormente tramite l’Ue-Mercosur – continuano da Greenpeace – l’accordo di libero scambio con alcuni stati del Sud America(Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay), che  almeno così com’è aumenterà le importazioni di materie prime agricole in Europa (a cominciare da carne e soia)».

«Chiediamo all’Ue una riforma della Politica agricola europea (Pac) con misure efficaci per ridurre la produzione di carne, tagliando i sussidi pubblici alla produzione industriale di carne e utilizzandoli invece per una vera transizione verso metodi di produzione ecologica. Chiediamo inoltre – conclude Borghi – una normativa in grado di garantire che i prodotti immessi sul mercato europeo non siano collegati alla deforestazione, al degrado delle foreste o alle violazioni dei diritti umani, e di assicurare che il settore finanziario non sostenga questa devastazione: oggi non è così».