Foreste italiane a rischio. Situazioni gravissime, che peseranno per anni sulla collettività e l’ambiente

Metodo dell’università di Milano per valutare la vulnerabilità delle foreste e intervenire per mitigare i danni di incendi, schianti, frane e valanghe

[28 Luglio 2021]

In Sardegna, come in molte aree del Paese, in estate, la tragedia degli incendi si ripete e i cambiamenti climatici possono solo far aumentare questo fenomeno. Il terribile bilancio in Sardegna è di 20.000 ettari devastati dal fuoco, 1.500 persone evacuate e molti animali uccisi dalle fiamme.

All’università di Milano ricordano che «il periodo tra il 1981 e il 2020 ha fatto registrare in Italia un aumento di temperatura media di 1.1 °C rispetto al trentennio precedente. Il primo “Rapporto nazionale sullo stato delle foreste in Italia” ci indica che gli incendi costituiscono il principale fattore di rischio per il patrimonio forestale italiano: negli ultimi 4 decenni si è difatti registrata una media di 107.000 ettari di foreste all’anno percorsi da incendio e, sebbene il fenomeno si sia ridotto sensibilmente fra il 2010 e il 2017 (72.000 ettari/anno di media), si prevede un aumento dell’area bruciata del 20-40% nel solo bacino mediterraneo entro il 2050. Allo stesso tempo, la tempesta Vaia ci ha mostrato quanto il riscaldamento dell’aria e del mare possono influire sulla violenza delle perturbazioni e danneggiare estese aree boscate, interrompendo la loro capacitò di assorbire carbonio e fornirci servizi di produzione, regolazione e culturali».

Per valutare l’impatto di questi rischi a livello locale, il progetto LIFECO2PES&PEF, dedicato proprio alla cura e alla conservazione delle foreste e cofinanziato dal programma UE LIFE, ha realizzato un metodo per analizzare e simulare la suscettibilità dei popolamenti forestali a ogni pericolo considerato. Lo studio ha analizzato il lavoro svolto nelle tre aree forestali pilota coinvolte nel progetto: il Demanio Forestale Forlivese e il Consorzio Comunali e Parmensi, aree forestali della Regione Emilia-Romagna e la proprietà regionale di Fusine, area forestale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

Con il Report on risk assessment (fire, windthrow and natural hazards) for each area, dall’università di Milano spiegano che «il comportamento e la diffusione degli incendi, il principale pericolo individuato per il patrimonio forestale italiano, sono stati simulati tramite il software FlamMap, che ha mostrato il possibile comportamento del fuoco e la probabilità di percorrenza del fuoco nelle tre aree forestali considerate. Le simulazioni hanno mostrato un pericolo d’incendio generalmente basso nelle tre aree, con una marcata differenza tra l’area alpina, dove il pericolo è decisamente contenuto (probabilità di combustione del 0-8,5% nella Foresta Regionale di Fusine) e quella appenninica, dove invece è più alto (probabilità di combustione del 3,5-16% nelle Comunali e parmensi di Baselica e Pontolo e nel Complesso demaniale Fantella-Galeata)».

Invece, la simulazione degli schianti da vento, effettuata grazie al software ForestGALES, è il principale disturbo degli ecosistemi forestali centroeuropei, ma anche in Italia ha causato ingenti danni, come nel caso della tempesta Vaia del 2018, che ha colpito circa 42.000 ettari di boschi nelle Alpi italiane Orientali, abbattendo 8.7 milioni di m3 di legname e riducendo l’assorbimento del carbonio da parte dei popolamenti forestali di circa il 4%.

I ricercatori dicono che «simulando le velocità critiche del vento che comporterebbero degli schianti nelle tre aree, si sono rilevati comportamenti molto variabili, con un minor vulnerabilità rilevata nell’area appenninica rispetto a quella alpina (le velocità critiche medie sono 15,6 m/s nella Foresta Regionale di Fusine, 41,8 m/s nelle Comunali e parmensi di Baselica e Pontolo e 61,7 m/s nel Complesso demaniale Fantella-Galeata)».

I pericoli naturali come frane superficiali, valanghe e rotolamento di massi sono particolarmente rilevanti nelle aree forestali con versanti suscettibili a erosione e detriti, dove è difficile che la foresta riesca a svolgere appieno la sua funzione protettiva: «Insufficiente densità e copertura arborea, bassa profondità delle chiome, snellezza troppo elevata, instabilità o ancoraggio inadeguato degli alberi, presenza di patologie fitosanitarie e rinnovazione talvolta assente – dicono all’università di Milano – sono le principali cause di un’insufficiente efficacia protettiva da parte dei popolamenti analizzati. Queste carenze sono state individuate con frequenza analoga in tutte e tre le aree di studio esaminate».

L’analisi si è conclusa con la stima degli stock di carbonio e degli assorbimenti di CO2 (sink) nelle tre aree, puntando a individuare quali particelle forestali contengono e/o stanno attualmente assorbendo più carbonio e quali invece stanno avendo più difficoltà, ad esempio a causa di una competizione troppo elevata tra i vari alberi. Ne è venuto fuori che «i valori di stock (C) e sink medi (CO2) sono risultati più alti nelle Comunali e parmensi di Baselica e Pontolo (366 t/ha e 20 t/ha/anno), mentre la Foresta Regionale di Fusine (302 t/ha e 9 t/ha/anno) e il Complesso demaniale Fantella-Galeata (115 t/ha e 15t/ha/anno) hanno evidenziato rispettivamente l’assorbimento di CO2 e lo stock più basso».

Le analisi svolte tramite modelli di simulazione, utilizzando i dati misurati in campo nell’autunno 2020, hanno permesso di individuare con precisione le particelle forestali più suscettibili ai pericoli derivanti dal cambiamento climatico nelle tre aree di studio.

Il principale autore dello studio, Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale del Dipartimento di scienze agrarie e ambientali dell’università degli Studi di Milano, conclude: «Abbiamo l’obbligo di intervenire per mitigare gli effetti del fuoco e degli eventi climatici estremi. Grazie alle analisi effettuate nell’ambio del progetto, abbiamo individuato le zone più a rischio nelle aree pilota, dove si concentreranno gli interventi selvicolturali di prevenzione al fine di ridurre la suscettibilità dei popolamenti, ad esempio tramite una riduzione del carico e della continuità del combustibile o tramite diradamenti selettivi che permetteranno di aumentare la stabilità e la vigoria della foresta. Gli interventi selvicolturali di prevenzione che saranno effettuati a partire dall’autunno 2021 su 20 ettari di superficie campione per area di studio, serviranno a condizionare la struttura e la composizione di queste aree. E dunque ad aiutare le foreste a rigenerarsi dopo i danni provocati dagli eventi naturali, a rendere le foreste più resistenti al cambiamento climatico e ad incentivare una pianificazione strategica della gestione forestale, in Italia e in Europa, per tutelare e conservare il nostro patrimonio forestale boschivo».