Expedition MED nella Plastisfera, a caccia di microplastiche, balene e capodogli nel Santuario dei cetacei (FOTOGALLERY)

In pieno svolgimento il progetto Pelagos Plastic Free

[18 Luglio 2018]

L’equipaggio franco-italiano di Expedition MED che realizza le ricerche scientifiche del Il progetto Pelagos Plastic Free ha fatto tappa all’Isola d’Elba per incontrare i ragazzi di Vele Spiegate, un singolare incontro tra cacciatori di macroplastiche (i volontari di Legambiente e Diversamente Marinai che raccolgono e censiscono il beach litter) e di microplastiche (la barca dell’associazione francese che raccoglie microplastiche e ne misura l’impatto sulla fauna, da quella microscopica alla gigantesca balenottera comune). Infatti, come spiegano ricercatori e volontari, «Il progetto Pelagos Plastic Free nasce dalla necessità di ridurre l’inquinamento marino da plastica per proteggere le diverse specie di cetacei che vivono nel Santuario Pelagos, e si propone di portare un contributo significativo a questo scopo agendo con un approccio integrato tra governance, ricerca scientifica e sensibilizzazione».

Si tratta di un progetto finanziato dal Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos  e che ha il supporto di Mareblù, Novamont, Unicoop Firenze e dei Parchi nazionsali dell’Arcipelago Toscano e delle Cinque Terre, condotto dall’italiana Legambiente e dalla francese Expédition MED, due associazioni che hanno alle spalle un bagaglio di esperienza più che decennale per quanto riguarda il dialogo con le amministrazioni locali, la sensibilizzazione e il coinvolgimento di diversi stakeholder, formazione ed educazione scolastica, campagne di comunicazione, progetti di citizen science e collaborazioni con prestigiosi istituti di ricerca. Tutto questo, negli ultimi anni, è stato rivolto in particolare proprio al problema dei rifiuti nell’ambiente marino, costiero e delle acque interne.

I ricercatori hanno spiegato ai ragazzi e alle ragazze di Vele Spiegate che «La cattiva gestione dei rifiuti urbani è la causa principale dell’inquinamento da plastica, dunque la prima area di intervento è la governance dei rifiuti. Dalla raccolta differenziata in casa alle infrastrutture per il ritiro, dal trasporto allo smaltimento e al riciclo dei rifiuti, esiste un’intera filiera da potenziare». Il progetto prevede la raccolta, la diffusione e la promozione delle migliori pratiche nel settore, grazie a workshop di condivisione con le amministrazioni locali in Liguria, Toscana e in alcune località francesi. L’Elba ha già ospitato il primo workshop a Marciana Marina, a bordo di Goletta Verde, ma altri ne seguiranno per approfondire il problema e sviluppare linee guida da adottare per migliorare la gestione dei rifiuti in Comuni come quelli elbani e della costa toscana che aderiscano alla Carta del Santuario Pelagos.

I ricercatori di ExpeditionMed spiegano ancora che «La parte di ricerca scientifica prevede la raccolta di campioni in mare aperto, nelle zone di accumulo dei rifiuti marini che coincidono quelle di alimentazione dei cetacei e in tre grandi fiumi e tre porti (nel fiume Arno e nel porto di Pisa in Toscana, nel fiume Golo e nel porto di Bastia in Corsica, nel fiume Varo e nel porto di Nizza in Costa Azzurra). Su questi campioni saranno effettuate le analisi del DNA per la definizione delle comunità di organismi presenti nella Plastisfera del Santuario Pelagos». Le attività di campionamento di svolgono durante la navigazione di Expédition MED e. come accaduto all’Elba, vedono il coinvolgimento di studenti, volontari e ricercatori in un’attività di citizen science che dureranno tutto il mese di luglio. Durante la navigazione viene effettuato anche il monitoraggio dei macrorifiuti galleggianti applicando il protocollo del progetto europeo MedSeaLitter e i dati, raccolti, andranno ad arricchire il database del MarineLitter Watch costruito dall’Agenzia europea per l’ambiente.

Ma Pelagos Plastic Free non si ferma alla ricerca punta anche alla sensibilizzazione e all’attivazione di target specifici, dagli amanti del mare come sub e turisti, a chi ci lavora a pieno contatto, come i pescatori. Giornate di pulizia delle spiagge e dei fondali, esibizioni itineranti, percorsi didattici e formativi per gli insegnanti e moduli specifici per i corsi diving».

Nell’incontro tra gli scienziati di Expadition MED di Pelagos Plstic Free e i giovanissimi volontari di Vele Spiegate è stato sottolineato che «Si stima che, nelle acque dell’Arcipelago Toscano, la plastica in superficie raggiunga picchi di densità pari a 10 kg/km2, una delle concentrazioni più elevate nel Mar Mediterraneo e negli oceani di tutto il mondo». Quello che è nato è un nuovo ecosistema per le comunità microbiche: «La plastica è un materiale durevole, che permane nell’ambiente per centinaia di anni – dicono i ricercatori – e ha diversi impatti sugli organismi marini. A causa della loro densità alcuni dei polimeri plastici più comuni galleggiano in superficie, zona in cui numerose specie si nutrono. L’ingerimento di detriti plastici può causare inedia, soffocamento, ostruzione dell’apparato digerente, e può esporre gli organismi marini alle sostanze tossiche contenute o adsorbite dalla plastica (ftalati, policlorobifenili, ecc…), con conseguenti disordini endocrini». Gli scienziati, che hanno fatto un emozionante incontro proprio nel Mar Tirreno con un branco di capodogli fermi in superficie, spiegano che «La vita microscopica (la “Plastisfera”) che prolifera su queste piccole isole di detriti plastici galleggianti può percorrere lunghe distanze. Inoltre, durante il percorso, queste comunità microbiche possono acquisire una composizione di specie diversa da quella presente in mare aperto. La distinzione tra le comunità microbiche della Plastisfera e quelle della superficie acquatica circostante rende la plastica un habitat del tutto nuovo. Nuove opportunità di dispersione degli organismi patogeni. I mammiferi marini potrebbero essere esposti a stress ambientali causati da inquinanti chimici, tossine algali e nuovi patogeni. Per i cetacei è ormai appurato, a livello mondiale, che l’inquinamento chimico ha aggravato l’insorgere di diverse patologie e che l’inquinamento biologico è in aumento. Questo problema può essere esacerbato proprio dalla plastica, le cui elevate quantità rilasciate nell’ambiente marino negli ultimi cinquant’anni accrescono di fatto le possibilità di dispersione di patogeni dannosi per gli umani e per gli organismi marini».

I ricercatori di Pelagos Plastic Free evidenziano che «Studi effettuati nel Nord Atlantico attribuiscono l’aumento osservato nella popolazione dei batteri Vibrio all’incremento della temperatura dell’acqua e, per via del cambiamento climatico, la temperatura del mare sta aumentando anche nel Mar Mediterraneo e nel Santuario Pelagos. Bisogna dunque iniziare a monitorare le comunità microbiche che compongono la Plastisfera e valutare i potenziali rischi che rappresentano per i cetacei del Santuario».

Il monitoraggio e l’identificazione dei microrganismi che vivono sulla plastica e la stima dei rischi connessi (patogeni, specie tossiche) sono aree di ricerca prioritarie a livello del Mediterraneo (Unep 2015) e internazionale (Gesamp 2016). Fino ad oggi, solo uno studio (Expédition Med, 2017) ha analizzato la Plastisfera in mare aperto nel Mediterraneo, ma il Santuario Pelagos non era incluso.  Il problema è che la Plastisfera  si espande nelle zone di alimentazione della balenottera comune: «L’impatto delle micro e meso plastiche sulle grandi specie filtratrici come la balenottera comune (Balenoptera physalus) è un campo di ricerca ancora inesplorato – spiegano ancora gli scienziati –  La maggior parte degli studi condotti sinora si è concentrata sul potenziale accumulo nell’organismo della balenottera comune di additivi rilasciati dai frammenti di plastica ingeriti, o sui composti chimici tossici adsorbiti e concentrati sulla plastica (Fossi et al. 2012, 2016). Tuttavia, la plastica può avere impatto sulle balenottere comuni anche a causa degli organismi potenzialmente patogeni che ne colonizzano la superficie».

Nel Mediterraneo, le balenottere si nutrono soprattutto di krill presente nelle aree ad elevata produttività, che sono spesso associate a zone di accumulo, ma Expadition MED ricorda che «Tuttavia, lo stesso meccanismo che induce la concentrazione del plancton in una determinata area, agisce anche sui frammenti di plastica galleggianti, cosicché le balenottere comuni che si nutrono nel Santuario Pelagos quasi certamente incorrono nell’ingestione di micro e mesoplastiche. L’ipotesi trova conferma dalle biopsie effettuate su balenottere comuni del Mar Mediterraneo che indicano concentrazioni di composti chimici e additivi della plastica, tossici e persistenti, più elevate rispetto a quelle effettuate su individui della stessa specie che vivono in aree meno inquinate, come il Mare di Cortez in Messico, e dal fatto che sussiste una sovrapposizione tra le zone di concentrazione di macro e microplastiche e le zone di alimentazione delle balenottere comuni».

Anche se l’opinione pubblica è sempre più preoccupata, politica e governi sono in ritardo: «Sono passati quasi dieci anni dal recepimento della Direttiva Europea Marine Strategy e l’obiettivo del “buono stato” da raggiungere per i mari degli stati membri, entro il 2020, sembra ancora molto lontano – dicono Expedition MED e Legambiente – specialmente per il descrittore numero 10 che prevede che “le proprietà e le quantità dei rifiuti in mare non causino danni all’ambiente marino e costiero”. Un problema ubiquitario, che non risparmia aree di pregio come quella del Santuario dei Cetacei. Ogni anno dagli 8 ai 20 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, e nel Mar Mediterraneo ci sono 250 miliardi di frammenti di plastica che galleggiano in superficie. La plastica rappresenta il materiale più presente, con percentuali che arrivano al 95% dei rifiuti accumulati tra coste, superficie marina, colonna d’acqua e fondali. Ciò che vediamo sulla superficie del mare è solo la punta dell’iceberg, perché la plastica è presente anche nella colonna d’acqua e in quantità ancora maggiori sui fondali marini, dove si stima che superi le 100 milioni di tonnellate».

La conclusione è ormai nota: «La cattiva gestione dei rifiuti urbani è la principale fonte del marine litter ed è urgente sviluppare sinergie tra amministrazioni, lavoratori del settore marittimo e cittadini, per creare consapevolezza e promuovere buone pratiche che incrementino il riutilizzo, il riciclaggio e il corretto smaltimento di rifiuti affinché si riduca la produzione di nuovi rifiuti marini».