Un'analisi approfondita dei fossili marini della maggior parte degli ultimi mezzo miliardo di anni.
Dopo le estinzioni di massa cambiano i modelli di estinzione e di origine delle specie
Primo passo verso la previsione di come si svolgerà l'evoluzione dopo l'attuale crisi di estinzione
[8 Ottobre 2021]
Lo studio “Mass extinctions alter extinction and origination dynamics with respect to body size”, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B da Pedro Monarrez e Jonathan Payne della Stanford University e Noel Heim della Tufts University, ha scoperto un modello sorprendente di come la vita riemerge da un cataclisma e mostra che «Le normali regole dell’evoluzione delle dimensioni corporee cambiano non solo durante l’estinzione di massa, ma anche durante il successivo recupero».
Alla Stanford ricordano che «Dagli anni ’80, i biologi evoluzionisti hanno discusso se le estinzioni di massa e i recuperi che ne fanno seguito intensificano i criteri di selezione dei tempi normali o spostano fondamentalmente l’insieme di tratti che contrassegnano i gruppi di specie per la distruzione. Il nuovo studio ha trovato prove per quest’ultimo fenomeno in un’ampia analisi dei fossili marini della maggior parte degli ultimi mezzo miliardo di anni».
Gli autori dello studio scrivono¨ «Se e come le dinamiche evolutive cambiano sulla scia dell’annientamento globale ha profonde implicazioni non solo per comprendere le origini della moderna biosfera, ma anche per prevedere le conseguenze dell’attuale crisi della biodiversità»,. E Monnarez, della Stanford’s School of Earth, Energy & Environmental Sciences (Stanford Earth), aggiunge: «In definitiva, vogliamo essere in grado di esaminare i reperti fossili e utilizzarli per prevedere cosa si estinguerà e, cosa più importante, cosa ritornerà. Quando osserviamo da vicino 485 milioni di anni di estinzioni e recuperi negli oceani del mondo, sembra esserci uno schema in ciò che ritorna in base alle dimensioni corporee in alcuni gruppi».
La nuova ricerca si basa sul precedente studio “Body size, sampling completeness, and extinction risk in the marine fossil record”, pubblicato a gennaio su Paleobiolgy da Payne ed Heim che ha esaminato le dimensioni corporee e il rischio di estinzione tra i generi degli animali marini, scoprendo che, «In media i generi più piccoli hanno la stessa probabilità o più probabilità di estinguersi rispetto ai loro parenti più grandi». Il nuovo studio ha scoperto che questo modello è vero in 10 classi di animali marini per i lunghi periodi di tempo tra le estinzioni di massa. Ma anche che «Le estinzioni di massa scuotono le regole in modi imprevedibili, con l’estinzione che rischia di diventare ancora maggiore per i generi più piccoli in alcune classi e mentre i generi più grandi perdono in altre».
I risultati dimostrano che generi più piccoli di classi come quella dei crinoidi – i gigli di mare – «Avevano sostanzialmente più probabilità di essere spazzati via durante gli eventi di estinzione di massa. Al contrario, durante gli intervalli di “background” non sono emerse differenze di dimensioni rilevabili tra vittime e sopravvissuti». Tra i trilobiti, un gruppo eterogeneo lontanamente imparentato con i moderni limuli, le possibilità di estinzione diminuivano leggermente con le dimensioni del corpo durante gli intervalli di background, ma aumentavano di circa 8 volte con ogni raddoppio della lunghezza del corpo durante l’estinzione di massa.
Quando hanno guardato oltre i generi marini che si sono estinti per considerare quelli che sono stati i primi del loro genere, gli autori hanno scoperto un cambiamento ancora più drammatico nei modelli delle dimensioni corporeo prima e dopo le estinzioni: «Durante i periodi di background, i generi di nuova evoluzione tendono ad essere leggermente più grandi di quelli che erano venuti prima. Durante il recupero dall’estinzione di massa, lo schema si capovolge e diventa più comune per i creatori nella maggior parte delle classi siano minuscoli rispetto alle specie sopravvissute al cataclisma».
I ricercatori evidenziano che «I generi di gasteropodi, comprese le lumache di mare, sono tra le poche eccezioni al modello build-back-smaller pattern. I generi di gasteropodi che hanno avuto origine durante gli intervalli di recupero tendevano ad essere più grandi dei sopravvissuti alla catastrofe precedente». Quindi, «La selettività sulle dimensioni corporee è più pronunciata, indipendentemente dalla direzione, durante gli eventi di estinzione di massa e i loro intervalli di recupero rispetto ai tempi di background».
Payne, Dorrell William Kirby Professor alla Stanford Earth, sottolinea che «La nostra prossima sfida è identificare le ragioni per cui così tanti originatori dopo l’estinzione di massa sono piccoli». Gli scienziati non sanno ancora se queste ragioni potrebbero riguardare le condizioni ambientali globali, come bassi livelli di ossigeno o temperature in aumento, o fattori legati alle interazioni tra gli organismi e l’ambiente circostante, come la scarsità di cibo o la carenza di predatori. Secondo Payne, «Identificare le cause di questi schemi può aiutarci non solo a capire come è nato il nostro mondo attuale, ma anche a proiettare la risposta evolutiva a lungo termine all’attuale crisi di estinzione».
Si tratta dell’ultimo di una serie di studi pubblicati dal team di ricerca di Payne che sfruttano analisi statistiche e simulazioni al computer per scoprire le dinamiche evolutive nei dati sulle dimensioni corporee dei reperti fossili marini. Nel 2015, il team ha reclutato stagisti e studenti universitari per aiutarlo a calcolare, da fotografie e illustrazioni, le dimensioni corporee e il volume di migliaia di generi marini. Il dataset risultante includeva la maggior parte dei generi di animali invertebrati fossili noti alla scienza ed era almeno 10 volte più grande di qualsiasi precedente compilazione di dimensioni del corpo di animali fossili.
Da allora il team ha ampliato il datset lo ha sondato per i modelli, scoprendo, tra l’altro, che «Le dimensioni corporee più grandi sono diventate uno dei maggiori fattori determinanti del rischio di estinzione per gli animali oceanici per la prima volta nella storia della vita sulla Terra».
Per il nuovo studio, Monarrez, Payne ed Heim hanno utilizzato i dati sulle dimensioni corporee dei reperti fossili marini per stimare la probabilità di estinzione e di origine in funzione delle dimensioni corporee nella maggior parte degli ultimi 485 milioni di anni. Associando i loro dati sulle dimensioni del corpo con i record di occorrenza dal Paleobiology Database accessibile al pubblico, sono stati in grado di analizzare 284.308 occorrenze fossili per animali oceanici appartenenti a 10.203 generi. Payne fa notare che «Questo dataset ci ha permesso di documentare, in diversi gruppi di animali, come cambiano i modelli evolutivi quando arriva un’estinzione di massa».
Altri paleontologi hanno osservato che, dopo estinzioni di massa, gli animali di corporatura più piccola diventano più comuni nei reperti fossili, un fenomeno che viene spesso chiamato “Effetto Lilliput”, I risultati del nuovo studio suggeriscono che la fisiologia animale fornisce una spiegazione plausibile per questo modello. Gli autori hanno trovato il classico schema di contrazione nella maggior parte delle classi di animali marini con bassi livelli di attività e metabolismo più lento: «Le specie di questi gruppi che si sono evolute per la prima volta subito dopo un’estinzione di massa tendevano ad avere corpi più piccoli di quelli che si sono originati durante gli intervalli di background. Al contrario, quando nuove specie si sono evolute in gruppi di animali marini più attivi con un metabolismo più veloce, tendevano ad avere corpi più grandi sulla scia dell’estinzione e corpi più piccoli durante i periodi normali».
I risultati presentano l’estinzione di massa come un dramma in due atti e Payne conclude seguendo questo canovaccio: «La parte dell’estinzione cambia il mondo rimuovendo non solo molti organismi o molte specie, ma rimuovendoli in vari modelli selettivi. Quindi, il recupero non è uguale solo per tutti coloro che sopravvivono. Una nuova serie di biases entra in scena nel modello di recupero. E’ solo combinando entrambi che si può davvero capire il mondo che avremo cinque o 10 milioni di anni dopo un evento di estinzione».