Cresciute del 202% in 2 anni le foreste disboscate dai cercatori d’oro nell’Amazzonia brasiliana

Greenpeace: «L’estrazione illegale distrugge a un ritmo allarmante un ecosistema vitale non soltanto per le popolazioni indigene che in quelle terre vivono, ma per l’intero pianeta»

[12 Aprile 2023]

Nei primi due anni del Governo Bolsonaro, dal 2019 al 2021, la distruzione di foreste nelle terre indigene di Kayapó, Munduruku e Yanomami, nell’Amazzonia brasiliana, è cresciuta del 202% rispetto al decennio precedente.

Allargando il quadro d’osservazione, tra il 2010 e il 2021 sono scomparsi circa 20 mila ettari di foresta amazzonica, solo a causa dell’estrazione illegale d’oro.

Sono questi i nuovi, allarmanti dati comunicati da Greenpeace, sottolineando che l’estrazione illegale di oro implica anche l’utilizzo di grandi quantità di mercurio, metallo inquinante che finisce per disperdersi nell’ambiente, fiumi inclusi, contaminando la fonte di cibo e di acqua potabile per le popolazioni indigene; l’invasione di questi territori da parte di garimpeiros (cercatori d’oro) intensifica inoltre conflitti, criminalità e rischio di malattie.

«L’estrazione illegale di oro distrugge a un ritmo allarmante aree preziose della foresta amazzonica, un ecosistema vitale non soltanto per le popolazioni indigene che in quelle terre vivono, ma per l’intero pianeta», commenta Martina Borghi, responsabile Campagna Foreste di Greenpeace Italia.

La distruzione dell’Amazzonia è dunque un problema che ci riguarda da vicino, in tutti i sensi. Nel 2022, ricorda ancora Greenpeace, l’Italia era al sesto posto a livello mondiale per valore di oro importato, al primo nell’Ue e al terzo in Europa (dopo Svizzera e Regno Unito), per un valore economico di circa 186 milioni di dollari.

Ovviamente altri Paesi industrializzati sono coinvolti nella rapina per l’oro in corso in Amazzonia. Un’indagine diffusa oggi da Greenpeace East Asia documenta infatti «il ruolo chiave dei macchinari pesanti prodotti dall’azienda coreana di costruzioni Hd Hyundai construction equipment (Hd Hce)».

I sorvoli condotti da Greenpeace Brasile hanno infatti permesso di individuare 176 macchinari pesanti, di cui 75 (il 43%) secondo gli ambientalisti «sono appartenenti alla divisione edilizia della multinazionale del gruppo Hyundai», conosciuto in Europa soprattutto come colosso delle auto.

“«Aziende come Hyundai devono mettere il pianeta al di sopra dei loro profitti e impedire che i propri macchinari vengano usati per continuare a degradare terre indigene e aree protette», conclude Borghi.

Secondo Greenpeace, Hyundai avrebbe già oggi gli strumenti per farlo «grazie a un sistema di gestione remota che utilizza Gps per raccogliere dati sui macchinari, in modo anche da poterne delimitare i confini dell’area di lavoro».