Creature simili a primati vivevano nell’Artico quando era una palude lussureggiante e calda

Fossili di 52 milioni di anni fa dimostrano come i quasi primati (e non solo) riuscissero a sopravvivere al buio per mesi

[31 Gennaio 2023]

Lo studio “Basal Primatomorpha colonized Ellesmere Island (Arctic Canada) during the hyperthermal conditions of the early Eocene climatic optimum”, pubblicato su PLOS ONE da Kristen Miller, Kristen Tietjen e K. Christopher Beard del Biodiversity Institute and Natural History Museum dell’università del Kansas – Lawrence, ha identificato due specie sorelle di quasi primati, chiamate “primatomorfi”, risalenti a circa 52 milioni di anni fa, come le più antiche ad aver abitato a nord del circolo polare artico.

Secondo la Miller,  «Entrambe le specie – Ignacius mckennai e I. dawsonae – discendono da un comune antenato diretto a nord che possedeva lo spirito giusto per andare coraggiosamente dove nessun primate è mai giunto prima».  Ignacius mckennai e Ignacius dawsonae , che erano strettamente imparentate con i primati, avevano le dimensioni di un piccolo gatto o di un coniglio.

Gli esemplari sono stati scoperti sull’isola di Ellesmere, Nunavut, in Canada, in strati di sedimenti legati al primo Eocene, un’epoca di temperature più calde che potrebbero farci capire come se la caveranno gli ecosistemi nei prossimi anni a causa del cambiamento climatico causato dall’uomo, che però è molto più veloce di quasi tutti cambiamenti climatici subiti dal nostro pianeta in precedenza.

Il team ha studiato 8 campioni di frammenti di denti e mascelle trovati vicino a Bay Fiord, nell’isola centrale di Ellesmere. I fossili erano al Canadian Museum of Nature di Ottawa e gli esperti del Museo Nacional de Ciencias Naturales  di Madrid sono stati in grado di creare modelli 3D dettagliati dei denti. Questi modelli sono stati confrontati con quelli altri 95 primati fossili, tra cui Ignacius che viveva a sud dell’isola di Ellesmere, e specie viventi, come le scimmie titi, saki e uakari del Sud America, adattate a mangiare cibi più duri. I risultati comparativi mostrano che «I primati di Ellesmere avevano caratteristiche dentali distintive, come molari a corona bassa, adatti a mordere e masticare cibi duri. I segni muscolari hanno mostrato che le specie dell’isola di Ellesmere avevano anche mascelle inferiori adattate per forze di morso più elevate».

La Miller evidenzia che «Nessun parente dei primati era mai stato trovato a latitudini così estreme. Di solito si trovano intorno all’equatore nelle regioni tropicali. Sono stata in grado di fare un’analisi filogenetica, che mi ha aiutato a capire in che modo i fossili dell’isola di Ellesmere sono collegati a specie trovate alle medie latitudini del Nord America, luoghi come New Mexico, Colorado, Wyoming e Montana. Anche giù in Texas abbiamo alcuni fossili che appartengono a questa famiglia».

Durante i giorni caldi dell’Eocene, l’isola canadese di Ellesmere sarebbe stata quasi irriconoscibile per noi: Beard la paragona a «Una palude di cipressi della Georgia che è stata trasportata a nord del circolo polare artico. Questo ecosistema che esisteva sull’isola di Ellesmere 52 milioni di anni fa semplicemente non esiste sulla Terra di oggi»,

Le condizioni più recenti sull’isola un tempo paludosa e che il freddo estremo e la siccità hanno trasformato in un deserto polare, hanno conservato un’ampia documentazione fossile. Quando ci vivevano questi stretti cugini evolutivi dei primati, il circolo polare artico era molto più caldo e costituiva un ecosistema boreale che ospitava numerosi dei primi vertebrati cenozoici, inclusi antichi coccodrilli, tartarughe giganti e animali simili al moderno tapiro.  Gli inventari delle piante mostrano che i parenti dei primati vivevano in foreste umide di sequoie e cipressi. Nell’area prosperavano anche foreste decidue di olmi, ontani, betulle e sicomori.  Ma come oggi era per lo più buio per metà dell’anno. Secondo la Miller, «Questa oscurità potrebbe aver indotto entrambe le specie a sviluppare denti e mascelle più robusti rispetto ad altri parenti dei primati dell’epoca. Molto di quel che facciamo in paleontologia è guardare i denti: conservano il meglio». La scienziata e il suo team hanno analizzato la microtomografia ad alta risoluzione dei denti fossili descritti nello studio e la Miller rivela che «I loro denti sono semplicemente super strani rispetto ai loro parenti più stretti. Quindi, quello che ho fatto negli ultimi due anni è stato cercare di capire cosa mangiassero e se mangiavano materiali diversi rispetto ai loro simili della media latitudine».

Il team dell’università del Kansas  ritiene che il cibo fosse molto più difficile da trovare durante i bui mesi invernali, quando i parenti artici dei primati  erano probabilmente costretti a consumare materiale più duro. L’autore corrispondente Chris Beard. Aggiunge: «Pensiamo che qesta sia stata probabilmente la più grande sfida fisica dell’ambiente antico per questi animali. Come si fa a superare 6 mesi di buio invernale, anche se fa abbastanza caldo? I denti e persino i muscoli della mascella di questi animali sono cambiati rispetto ai loro parenti stretti delle medie latitudini. Per sopravvivere a quei lunghi inverni artici, quando i cibi preferiti come la frutta non erano disponibili, dovevano fare affidamento su “cibi di ripiego” come noci e semi».

Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che entrambe le specie erano leggermente più grandi dei loro parenti più stretti meridionali, un gruppo di cugini dei primati chiamati plesiadapiformi. La Miller spiega che «Erano ancora piuttosto piccoli. Alcuni plesiadapiformi delle medie latitudini del Nord America sono davvero, davvero minuscoli. Naturalmente, nessuna di queste specie è imparentata con gli scoiattoli, ma penso che sia la creatura più vicina che abbiamo che ci aiuti a visualizzare come avrebbero potuto essere. Erano molto probabilmente molto arboricoli, quindi vivevano sugli alberi per la maggior parte del tempo».

I ricercatori hanno battezzato entrambe le specie fossili in onore di una coppia di paleontologi che hanno lavorato sull’isola di Ellesmere decenni fa e una di loro era un’allieva della Kansas University pioniera delle donne nel campo della paleontologia. Beard raconta che «Mary Dawson era una persona straordinaria. Ha conseguito il dottorato alla KU negli anni ’50 ed è stata tra le prime, se non la prima, donna americana a ottenere un dottorato. in paleontologia e una delle prime donne a farsi un nome come paleontologa negli Stati Uniti. Ho lavorato a stretto contatto con Mary per più di 20 anni nella mia precedente carriera al Carnegie Museum, dove ha trascorso tutta la sua carriera. Mary era a capo di un grande progetto sull’isola di Ellesmere. Era naturale che dessimo il suo nome a una delle specie. L’altra specie prende il nome da Malcolm McKenna, un contemporaneo, intimo amico e collega di Mary Dawson e un mio ex mentore».

In realtà, le specie fossili Ignacius mckennai e I. dawsonae facevano parte di una collezione di fossili lasciati da Dawson e McKenna per ulteriori analisi. Beard ricorda ancora: «Mary e Malcolm mi hanno lasciato in eredità quei fossili e mi hanno chiesto di studiarli. Ho detto: “Sì, certo, sono felice di farlo”.  Si sono semplicemente riposati,  come un buon vino e sono migliorati sempre di più nel tempo fino a quando Kristen non si è presentata ed era chiaro che Kristen aveva tutto ciò che serviva per portare la palla in rete».

Tornando alla ricerca più attuale, Beard dice che «E’ interessante notare che non tutti i primati o i loro parenti che esistevano in quel momento sono stati in grado di colonizzare l’isola di Ellesmere. Quindi apparentemente c’era qualcosa di speciale in questo particolare lignaggio che ha permesso loro di farlo». L’ibernazione, o almeno l’ingresso in uno stato prolungato di torpore, era una possibile soluzione. E’ rara tra i primati, ma il lemure nano chirogaleo dalla coda grossa (Cheirogaleus medius)  utilizza questa strategia per sopravvivere alla stagione secca di 7 mesi del Madagascar. Ma su Ellesmere Island, i denti e le mascelle degli animali suggeriscono una storia diversa.

Jaelyn Eberle dell’università del Colorado Boulder, un paleontologo dei vertebrati specializzato in mammiferi fossili e che non ha partecipato al nuovo studio ma che in precedenza aveva dimostrato che alcuni grandi mammiferi artici hanno cambiato la loro dieta per sopravvivere all’inverno, aveva estratto gli isotopi di carbonio e ossigeno dai denti fossili del Coryphodon, un animale estinto simile a un ippopotamo, scoprendo che questi antichi animali passavano dalle piante e foglie estive a cibi invernali come ramoscelli e funghi. Commentando il nuovo studio su Smithsonian Magazine, Eberle ha detto: «Sospetto che con questi primati abbia molto senso che mangiassero qualcosa di completamente diverso in inverno per sopravvivere. I paleobotanici non sono del tutto sicuri di quali tipi di risorse invernali fossero disponibili sull’isola di Ellesmere nell’Eocene. Per quanto riguarda le prove botaniche, le piante fossili, ci sono poche cose che si allineano con i tipi di frutti o semi di cui si parla, ma in realtà non abbiamo molti frutti o semi fossili. Quindi c’è ancora un po’ di lavoro da fare.”

Sulla base di un’ampia analisi morfologica, gli scienziati ritengono che sia Ignacius dawsonae che Ignacius mckennai discendessero probabilmente da un’unica specie ancestrale che per prima colonizzò l’Alto Artico. «Se questo è vero, allora l’Artico stesso diventa un piccolo laboratorio di evoluzione per i pochi animali fortunati che sono in grado di arrivarci», spiega ancoraBeard.

Eberle  fa notare che «Gli scienziati non sempre sanno perché alcuni animali, come le creature simili ai tapiri, che apparentemente prosperassero nell’Artico caldo, raramente si trovano alle medie latitudini. Altrettanto sconcertante è il motivo per cui altre specie, come i cavalli comunemente trovati  nei siti dell’Eocene più a sud, non vivevano nell’Artico. I ricercatori lavorano lassù da oltre quattro decenni e nessuno ha recuperato un dente di cavallo. La fauna nell’Artico è bizzarra. Le cose che accadono nell’Artico sono insolite e l’assenza di cose, come la mancanza di un solo cavallo nell’Artico, è altrettanto intrigante.   La domanda da un milione di dollari sul perché alcune specie siano sopravvissute lì e altre no è quel che sta cercando di scoprire anche questo studio».

Gli autori cdel nuovo studio ritengono che  «Gli adattamenti mostrati da entrambe le specie artiche durante un periodo di riscaldamento globale, dimostrino come alcuni animali potrebbero probabilmente evolvere nuovi tratti in risposta ai cambiamenti climatici guidati dall’attività antropica odierna». La Miller concorda:  «Dimostra come qualcosa come un primate o un parente di un primate specializzato in un ambiente può cambiare in base al cambiamento climatico. Penso che probabilmente quello che dice è che l’areale dei primati potrebbe espandersi con il cambiamento climatico o spostarsi almeno verso i poli piuttosto che verso l’equatore. La vita inizia a diventare troppo calda lì, forse avremo molti taxa che si spostano da nord a sud, piuttosto che l’intensa biodiversità che vediamo oggi all’equatore».

Anche se il ghiaccio si scioglierà e le temperature aumenteranno, il futuro Artico sperimenterà ancora lo stesso tipo di ciclo di luce annuale e di abbondanza e carestia che ha avuto 50 milioni di anni fa. E i potenziali nuovi arrivati ​​nell’area dovranno affrontare le stesse sfide affrontate dagli antichi cugini dei primati.

Beardconclude: «E’ vero che alcuni tipi di animali che non ti aspetteresti nell’Artico sono stati in grado di colonizzarlo- Tapiri, coccodrilli, animali simili a primati: potrebbero raggiungerlo. Ma non è che le cateratte si apriranno completamente in modo che nell’Artico ci sarà ogni animale subtropicale della Terra. Qualsiasi nuova specie che si sposta in un Artico in fase di riscaldamento, come quelle antiche, dovrà sviluppare i propri modi di vivere nell’oscurità».