Col cambiamento climatico piccolo è meglio: le specie di uccelli più piccole cambiano più velocemente

Le dimensioni corporee delle specie di uccelli fanno prevedere il tasso di cambiamento in un mondo che si riscalda

[10 Maggio 2023]

Secondo lo studio “Body size predicts the rate of contemporary morphological change in birds”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori statunitensi e brasiliani guidato dalla biologa Marketa Zimova  dell’università del Michigan e dell’Appalachian State University, mentre il mondo si riscalda, in tutte le Americhe gli uccelli stanno diventando più piccoli e con ali più lunghe  e le specie dal corpo più piccolo stanno cambiando più velocemente.

Il nuovo studio combina i dati di due studi pubblicati in precedenza che hanno misurato i cambiamenti delle dimensioni del corpo e della lunghezza delle ali di oltre 86.000 esemplari di uccelli in 40 anni nel Nord e nel Sud America. Uno studio ha esaminato gli uccelli migratori uccisi dopo essersi scontrati con gli edifici a Chicago; l’altro riguardava gli uccelli non migratori catturati con le reti ornitologiche in Amazzonia.

I ricercatori evidenziano che «Sebbene i due dataset non si sovrappongano sia nella composizione delle specie che nella geografia e i dati siano stati raccolti in modo indipendente utilizzando metodi diversi, gli uccelli in entrambi gli studi hanno mostrato diminuzioni similmente diffuse delle dimensioni del corpo con aumenti simultanei della lunghezza delle ali».

La nuova analisi dei dati combinati ha rivelato uno schema ancora più sorprendente: «In entrambi gli studi, le specie di uccelli più piccole sono diminuite proporzionalmente più velocemente nelle dimensioni del corpo e sono aumentate proporzionalmente più velocemente nella lunghezza delle ali».

Uno dei due autori senior dello studio, l’ornitologo Benjamin Winger, curatore del Museo di Zoologia dell’università del Michigan (UM), sottolinea che «Le relazioni tra le dimensioni del corpo e i tassi di cambiamento sono notevolmente coerenti in entrambi i dataset. Tuttavia, il meccanismo biologico alla base del legame osservato tra le dimensioni del corpo e i tassi di cambiamento morfologico richiede ulteriori indagini»,

Sia gli studi svolti a Chicago che in Amazzonia hanno attribuito la riduzione delle dimensioni corporee delle specie all’aumento delle temperature negli ultimi 40 anni, suggerendo che «Le dimensioni corporee possono essere un fattore determinante delle risposte delle specie ai cambiamenti climatici». Ma i ricercatori aggiungono che «Anche così, il motivo esatto per cui le specie dal corpo più piccolo stanno cambiando più velocemente rimane una questione aperta».

Potrebbe darsi che gli uccelli più piccoli si stiano adattando più rapidamente alle pressioni evolutive. Ma i dati disponibili non hanno permesso al team di verificare se i cambiamenti di dimensione osservati rappresentano rapidi cambiamenti evolutivi in ​​risposta alla selezione naturale. L’altro co-autore senior del nuovo studio, l’evoluzionista Brian Weeks della School for Environment and Sustainability dell’UM aggiunge: «Se la selezione naturale svolge il ruolo nei modelli che abbiamo osservato, i nostri risultati suggeriscono che le specie di uccelli più piccole potrebbero evolversi più velocemente perché sperimentano una selezione più forte, sono più sensibili alla selezione, o entrambe le cose. In ogni caso, la dimensione corporea sembra essere un mediatore primario delle risposte degli uccelli al cambiamento climatico contemporaneo».

Quindi, se gli uccelli dal corpo più grande stanno rispondendo più lentamente al cambiamento globale, qual è la prognosi per i prossimi decenni, mentre le temperature continuano a salire? La Zimova risponde: «I nostri risultati suggeriscono che le grandi dimensioni corporee potrebbero esacerbare ulteriormente il rischio di estinzione limitando il potenziale di adattamento al cambiamento antropogenico rapido e in corso. Al contrario, l’effetto della dimensione corporea sui tassi evolutivi potrebbe aumentare la persistenza di piccoli taxa se la loro morfologia in rapida evoluzione riflette una risposta adattativa più rapida alle mutevoli condizioni».

Il nuovo studio ha analizzato i dati di 129 specie di uccelli: 52 specie migratorie nidificanti in Nord America e 77 specie residenti in Sud America. Gli 86.131 campioni sono stati raccolti all’incirca nello stesso periodo utilizzando tecniche diverse. L’uccello più piccolo tra le specie di Chicago era il fiorrancino americano  (Regulus satrapa) che in media pesa 5,47 grammi, e il più grande era il grackle comune (Quiscalus quiscula) con 107,90 grammi. Tra le specie amazzoniche, la ninfa dei boschi dalla codaforcuta (Thalurania furcata) era la più piccola con 4,08 grammi, e la più grande era il motmot capoblu (Momotus momota) con 131 grammi.

Il dataset nordamericano è costituito da uccelli recuperati dallo staff e dai volontari del Field Museum di Chicago dopo collisioni con edifici cittadini. Per ciascuno dei 70.716 individui, l’ornitologo del Field Museum David Willard – autore del nuovo studio – ha misurato la lunghezza del becco, la lunghezza delle ali, la massa corporea e la lunghezza del tarso e ora dice che «Gli uccelli raccolti dalle collisioni di finestre a Chicago stanno fornendo informazioni sui cambiamenti morfologici legati al clima che cambia. E’ estremamente gratificante vedere i dati di questi uccelli analizzati per una migliore comprensione dei fattori che guidano questi cambiamenti»

Il dataset dell’Amazzonia contiene misurazioni di 15.415 uccelli non migratori catturati nella foresta pluviale, misurati e poi rilasciati. Durante il periodo di studio sono state costantemente registrate due misurazioni: la massa e la lunghezza dell’ala.

All’UM spiegano che «I dataset ampi e complementari hanno fornito un’opportunità unica per verificare se due tratti fondamentali dell’organismo – dimensioni del corpo e lunghezza di una generazione – hanno modellato le risposte degli uccelli ai rapidi cambiamenti ambientali. Tra i biologi, si presume ampiamente che la durata della generazione di una specie, definita come l’età media degli individui che producono prole, sia un importante predittore della sua capacità di adattarsi ai rapidi cambiamenti ambientali. Si prevede che gli organismi a vita più breve che si riproducono su scale temporali relativamente brevi, come i topi, si evolvano più velocemente delle creature con generazioni più lunghe, come gli elefanti, perché i topi hanno opportunità più frequenti di utilizzare le mutazioni genetiche casuali generate durante la riproduzione».

Gli autori del nuovo studio pubblicato su PNAS hanno utilizzato modelli statistici per testare l’importanza sia della lunghezza della generazione che delle dimensioni corporee delle specie nel mediare i tassi di cambiamento morfologico negli uccelli. Dopo aver controllato le dimensioni corporee, non hanno trovato alcuna relazione tra la durata della generazione e i tassi di cambiamento nelle specie di uccelli nordamericane. I dati sulla durata delle generazioni non erano disponibili per gli uccelli sudamericani, quindi non sono stati inclusi in quella parte dell’analisi. Ma il nuovo studio ha dimostrato che «La dimensione corporea media di una specie era significativamente associata ai tassi di cambiamento misurati sia negli uccelli di Chicago che in quelli dell’Amazzonia. Le dimensioni del corpo possono essere un prezioso predittore della capacità di adattamento e della misura in cui l’evoluzione contemporanea può ridurre il rischio di estinzione tra le specie».