Capire quanto sono in salute gli ecosistemi marini per proteggerli e utilizzarli meglio

Fornisce un approccio più preciso per la gestione e il ripristino attivi degli habitat marini

[16 Agosto 2022]

Lo studio “Inclusion of condition in natural capital assessments is critical to the implementation of marine nature-based solutions”, pubblicato recentemente su Science of The Total Environment da un team di ricercatori britannici dell’università di Portsmouth e del Plymouth Marine Laboratory, aiuta a migliorare la comprensione del legame tra la “salute” dell’habitat marino e fornitura di servizi ecosistemici, utilizzando indicatori comparabili delle condizioni degli habitat marini e costieri, per poter prendere decisioni più informate sulla gestione della conservazione e del loro ripristino.

Lo studio ha mostrato che «Includendo i dati sulle condizioni nelle valutazioni del capitale naturale e delle soluzioni basate sulla natura in un’area di studio specifica, il beneficio previsto del servizio ecosistemico, come i nutrienti e i seppellimento del carbonio nei sedimenti, potrebbe essere aumentato fino al 67%».

I Solent Marine Sites (SEMS) del Regno Unito sono stati utilizzati come area caso di studio per dimostrare come lo “stato ecologico” della direttiva quadro sulle acque del Regno Unito e dell’UE (WFD) e altri indicatori delle condizioni dell’ecosistema (stato o qualità) possono essere associati alle informazioni sull’estensione dell’habitat, per fornire un approccio più preciso e su misura al capitale naturale per il ripristino attivo degli habitat costieri e marini.

Al Plymouth Marine Laboratory sottolineano che «Sebbene la condizione dell’habitat sia comunemente riconosciuta come importante in molti studi sul capitale naturale o sui servizi ecosistemici, raramente viene considerata in modo approfondito e questi collegamenti sono anche raramente quantificati. Pertanto, si proponiamo che permanga un gap di prove essenziali intorno al legame tra le condizioni dell’ecosistema e la fornitura di servizi ecosistemici e che ciò potrebbe portare a una drastica sottovalutazione degli habitat marini e costieri. Allo stesso modo, è probabile che questo sia vero per le aree che sono state sopravvalutate a causa di uno stato di condizione inferiore al previsto e che quindi potrebbero essere a rischio di sfruttamento eccessivo».

Una delle autrici dello studio, Nicola Beaumont del Plymouth Marine Laboratory, ha evidenziato che «Nelle grandi aree marine protette (AMP), come l’area caso di studio SEMS, le soluzioni basate sulla natura potrebbero apportare benefici normativi ai servizi ecosistemici ampi ma non calcolati in un arco di tempo rilevante al raggiungimento di obiettivi ambientali legislativi, come gli obiettivi della direttiva quadro sulle acque del Regno Unito che mirano a raggiungere lo stato “Buono” in tutti i bacini idrografici del Regno Unito entro il 2027».
Lo studio ha infatti esaminato come le SEMS potrebbero “funzionare” in futuro se fossero soddisfatti determinati standard di condizioni. Gli scenari futuri di ripristino nell’area dei casi di studio hanno mostrato che «I vantaggi normativi aggiuntivi del raggiungimento dello stato ecologico “Buono” sono di 376 milioni di sterline all’anno, ma potrebbero arrivare fino a 1,218 miliardi di sterline se lo stato fosse “Alto” e tutti gli obiettivi di creazione dell’habitat fossero raggiunti».
Secondo l’autore principale,  Stephen Watson dell’università di Portsmouth e del Plymouth Marine Laboratory, «Questo studio dimostra che gli indicatori di condizione sono in grado di dimostrare la salute di un habitat marino e il potenziale per la fornitura sostenibile a lungo termine di servizi ecosistemici da risorse di capitale naturale. Le valutazioni del capitale naturale che si concentrano solo sul flusso dei benefici dei servizi ecosistemici piuttosto che sulla condizione dello stock (habitat o biodiversità) possono portare a una sottovalutazione o sopravvalutazione dei benefici dei servizi ecosistemici e quindi aumentare il rischio di decisioni aziendali sbagliate o tentativi di ripristino falliti, ad esempio sfruttamento eccessivo delle risorse dell’ecosistema dovuto alla mancanza di comprensione della “salute” dell’ecosistema in questione».

Un’alta autrice dello studio, Joanne Preston dell’Università di Portsmouth, conclude: «Questa evidenza del potenziale valore del ripristino e dell’importanza di includere gli stati delle condizioni nelle valutazioni è molto importante da prendere in considerazione quando si investe nella conservazione e nel ripristino degli ecosistemi acquatici, come richiesto dall’United Nations Decade on Ecosystem Restoration (2021−2030) e, più in generale, nelle strategie politiche per il blue carbon».