Campi coltivati al posto delle foreste: in Brasile a rischio la cultura dei cebi barbuti

Su Superquark servizio sui pericoli che corrono le culture uniche di queste rare scimmie

[29 Luglio 2020]

Oggi, nel programma Superquark di Rai1 andrà in onda il servizio “Salvate la cultura dei cebi”, realizzato con la collaborazione dell’ Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc), che illustra i risultati dello studio “Rare Bearded Capuchin (Sapajus libidinosus) Tool-Use Culture is Threatened by Land use Changes in Northeastern Brazil”, pubblicato sull’International Journal of Primatology da un team internazionale di ricercatori e che rivela che «La tradizione culturale dei cebi barbuti, scimmie sudamericane che usano strumenti, rischia di scomparire a causa della conversione agricola delle aree forestali». Partendo dal caso dei cebi barbuti, lo studio propone un nuovo criterio di tutela e conservazione delle specie in pericolo.

Al Cnr-Istc  spiegano che «L’intelligenza dei cebi è, per molti aspetti, pari a quella degli scimpanzé, il primate evolutivamente più vicino alla specie umana. Nella Fazenda Boa Vista nel sud del Piauí, Stato del nordest del Brasile, i cebi barbuti (Sapajus libidinosus) utilizzano pesanti percussori e incudini di pietra per rompere il guscio durissimo delle noci di palma. Mentre i cebi che vivono nelle mangrovie del Morro do Boi, Stato del Maranhão circa 1.200 km più a nord, usano strumenti di legno per aprire molluschi e granchi».

Però lo studio del team guidato da Andréa Presotto, biogeografa dell’università statunitense di Salisbury (Usa) e al quale hanno collaborato anche Elisabetta Visalberghi e Noemi Spagnoletti del Cnr-Istc, avverte che «Le tradizioni animali sono sempre più minacciate dall’impatto umano sugli habitat naturali».

La Visalberghi, una primatologa, ricorda che «Queste scimmie imparano ad usare strategicamente strumenti in pietra o legno prendendo parte alla vita del gruppo, da una generazione all’altra. I loro comportamenti sono socialmente trasmessi, vengono acquisiti dai giovani che quotidianamente partecipano alle attività dei membri più esperti del gruppo, ma ci mettono anni e anni per imparare».

La Presotto aggiunge che «Purtroppo, Piauí e Maranhão si trovano in un’area interessata da un piano di espansione agricola iniziato trent’anni fa, che ne sta velocemente riducendo la biodiversità, mettendo a rischio la sopravvivenza di molte specie animali. Nello studio abbiamo analizzato immagini satellitari di Fazenda Boa Vista: nel 1987 non c’erano terreni agricoli, mentre abbiamo verificato un drastico cambiamento tra il 2000 e il 2017, con un aumento delle aree coltivabili di oltre il 350%. Proiezioni al 2034 prevedono un’ulteriore diminuzione delle aree umide e rocciose a causa dell’erosione del suolo. A Morro do Boi la situazione non è migliore. Già nel 1987 il 2% dell’area era stata convertita all’agricoltura, ma fra 2000 e 2017 l’agricoltura intensiva è aumentata del 323% e la simulazione indica che nel 2034 metà della foresta di mangrovie sarà convertita e/o degradata».

Anche la Spagnoletti, una primatologa che collabora con il Cnr-Istc, evidenzia che «La degradazione dell’habitat minaccia la sopravvivenza di queste popolazioni di cebi e le loro tradizioni culturali, che sono uniche. L’uso di strumenti dipende non solo dalle condizioni ambientali, come la disponibilità di frutti di palma e la presenza di rocce da usare come incudini, ma anche dalle tradizioni messe a punto solo da alcune popolazioni. I criteri finora utilizzati per pianificare gli interventi delle politiche di conservazione delle specie riguardano diversità genetica e consistenza numerica. Oggi diventa fondamentale considerare se una certa popolazione possiede tradizioni culturali non presenti altrove: la stessa logica che si applica alla tutela delle popolazioni umane che rischiano di scomparire. I Sapajus libidinosus che vivono a Fazenda Boa Vista possiedono numerose tradizioni assenti altrove che non possiamo permetterci di perdere».

La Visalberghi conclude: «Tutelare le popolazioni animali che possiedono conoscenze culturali uniche è importante come proteggere l’habitat in cui la specie vive. Due articoli pubblicati su Science, nel 2019, da Philippa Brakes dell’Università di Exeter e Hjalmar Kühl del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, con i loro collaboratori, illustrano questo concetto con vari esempi. Nei gruppi matriarcali degli elefanti, le femmine adulte con più esperienza sono il punto di riferimento del gruppo: un piano per tutelare questa specie dovrebbe quindi concentrarsi sulle femmine adulte piuttosto che sui giovani. E per quanto riguarda gli scimpanzé, l’uomo distrugge, con le risorse naturali dove vivono, anche i processi di apprendimento sociale dei loro comportamenti culturali».