Cambiamento climatico al lavoro: mutazioni irreversibili nei piccoli organismi marini

«Qualcosa mai visto prima dai biologi evoluzionisti e preoccupante per i biologi marini»

[3 Settembre 2015]

Le attività umane stanno provocando molti ed evidenti cambiamenti in tutti gli oceani e mari del mondo, dai vortici di spazzatura e dall’accumulo di rifiuti sui fondali, allo sbiancamento delle barriere coralline, all’invasione di specie aliene, ma probabilmente il cambiamento più drammatico e pericoloso sta avvenendo ad un livello troppo piccolo per poter essere visto da un occhio umano.

E’ quello che rivela il nuovo studio “Irreversibly increased nitrogen fixation in Trichodesmium experimentally adapted to elevated carbon dioxide” pubblicato su Nature Communications da un team di scienziati dell’ University of Southern California  (Esc) e della Woods Hole Oceanographic Institution  (Whoi) che spiegano: «Immaginate di essere in una macchina con il pedale del gas pigiato, che si dirige verso lo strapiombo di una scogliera. Metaforicamente parlando, questo è ciò che il cambiamento climatico farà al gruppo essenziale  di batteri oceaniche conosciuti come Trichodesmium». .

Il Trichodesmium (che i ricercatori abbreviano in “Trico“), è uno dei pochi organismi presenti nell’oceano che può fissare l’azoto atmosferico, rendendola disponibile per altri organismi. «E’ fondamentale – sottolinea il team statunitense – perché tutta la vita, dalle alghe alle balene, ha bisogno di azoto per crescere».

Il nuovo studio dimostra che «Cambiamenti delle condizioni dovuti ai cambiamenti climatici potrebbero mandare i Trico in overdrive», così non ci sarebbe modo di fermare una loro riproduzione veloce e la produzione di molto altro azoto e, se non saranno più in grado di “rallentare” i Trichodesmium  potrebbero alla fine divorare tutte le risorse disponibili, «Il che potrebbero innescare estese morie di questo microrganismo e degli organismi superiori che dipendono da lui».

Facendo accoppiare in laboratorio centinaia di generazioni di batteri, nel corso di quasi 5 anni, alle condizioni di elevata CO2 oceanica previste per il 2100, i ricercatori hanno scoperto che l’aumento acidificazione degli oceani fa evolvere i Trico che “lavorano” di più, «producendo il 50% e crescendo più velocemente». Il problema è che i batteri mutati non possono essere “spenti” anche se vengono riportati in condizioni con meno anidride carbonica. Il principale autore dello studio, David Hutchins del Marine Chemistry and Geochemistry Department del Whoi e che insegna anche all’Esc, sottolinea che «Inoltre, l’adattamento non può essere invertito nel corso del tempo:  qualcosa mai visto prima dai biologi evoluzionisti e preoccupante per i biologi marini. Perdere la capacità di regolare il tasso di crescita non è una cosa sana. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che questi tassi di crescita restino elevati quando non ci sono abbastanza nutrienti per continuare. Si tratta di una strategia perdente nella lotta per sopravvivere».

I Trico hanno bisogno di fosforo e ferro, che ci sono anche in mare ma in quantità limitata. Senza la possibilità di regolare la sua crescita, questi microrganismi turbo-potenziati potrebbe bruciare troppo in fretta tutti i loro  nutrienti disponibili e morire bruscamente, un evento che sarebbe catastrofico per tutte le altre forme di vita marna che hanno bisogno dell’azoto prodotto dai Trichodesmium  per sopravvivere .

«Alcuni modelli – evidenziano i ricercatori – prevedono che l’aumento l’acidificazione degli oceani aggraverà il problema della scarsità di nutrienti, aumentando stratificazione del mare, bloccando  nutrienti chiave per gli organismi che ne hanno bisogno per sopravvivere».

Hutchins sta collaborando con Eric Webb dell’Usc Dornsife e Mak Saito del Whoi per comprendere meglio quale sarà il futuro degli oceani modellato dai cambiamenti climatici e sono rimasti scioccati dalla scoperta di «Un cambiamento evolutivo che sembra essere permanente», qualcosa che Hutchins descritto come «Senza precedenti». Lo scienziato della Whoi ricorda che «Il Trico viene studiato da molo tempo.  Nessuno si aspettava che potesse fare qualcosa di così bizzarro. I biologi evoluzionisti sono interessati a studiare questo solo come un principio evolutivo di base».

Il team sta ora studiando il DNA del Trico per cercare di scoprire come e perché avvenga questa evoluzione irreversibile. All’inizio di quest’anno, una ricerca pubblicata su Pnas, (Trichodesmium genome maintains abundant, widespread noncoding DNA in situ, despite oligotrophic lifestyle), realizzata da un team di cui facevano parte sia Webb che Hutchins, aveva scoperto che il DNA del Trico contiene inspiegabilmente gli elementi che di solito si vedono solo in forme di vita superiori e Webb evidenzia che i risultati dei due studi  «Sono davvero sorprendenti. Inoltre, ci stanno dando una migliore, visione di come sarà l’impatto del  cambiamento climatico globale sul  Trichodesmium e sui vitali rifornimenti di nuovo azoto che fornirà in futuro alla rete alimentare marina».

Saito aggiunge che «C’è un sacco di interesse per capire come gli organismi risponderanno all’aumento di CO2. Questi risultati sono abbastanza sorprendenti nel determinare che l’importante microbo marino Trichodesmium si adatta ad una CO2 elevata, ma non può tornare indietro una volta che la CO2 si riduce di nuovo. Questo ha implicazioni non solo per la nostra comprensione dell’evoluzione e dei processi biochimici che sono alla base questo cambiamento irreversibile, ma anche per i responsabili politici, perché sottolineano l’urgenza di agire per ridurre le emissioni da combustibili fossili il più presto possibile».

Ma c’è ancora molto lavoro da fare. Prima di tutto, solo perché il Trichodesmium si comportata in questo modo non significa che tutte le specie di cianobatteri facciano la stessa cosa, inoltre ci sono molti altri fattori,  oltre ai livelli di CO2, che interesseranno in futuro gli ecosistemi. Come spiega sul Washington Post Elena Litchman, che insegna  ecologia acquatica alla Michigan State University e che non ha partecipato allo studio, «Quando si pensa al clima che cambia, non è solo l’innalzamento dell’anidride carbonica. Le temperature stanno diventando più calde, il che porterà forse a concentrazioni più basse di nutrienti».

In futuro, studi simili potrebbero modificare alcuni di questi fattori per vedere come reagiscono i cianobatteri. Comunque questa nuova ricerca non  è importante solo per gli organismi marini: quello che succede in mare ha conseguenza sul benessere umano, visto che molte comunità costiere si affidano agli oceani per il loro cibo e il loro reddito e che, indipendentemente da dove viviamo, al mare o nell’entroterra, tutti subiamo l’influenza dei microscopici abitanti del mare che sostengono la vita sul nostro pianeta.