Bracconaggio, Cabs: Il Veneto ha un grosso problema con la caccia

E la procura di Spoleto propone la non punibilità per un cacciatore sorpreso a bracconare

[11 Febbraio 2021]

Secondo lo studio “Calendario del cacciatore bracconiere” del Cabs, che raccoglie su base giornaliera tutte le informazioni disponibili sulla stampa relative a reati commessi da cacciatori e bracconieri ai danni della fauna selvatica sul territorio italiano, «Nella stagione venatoria appena conclusasi il Veneto si guadagna il 5° posto – dopo Lombardia, Campania, Calabria e Sicilia – come Regione più afflitta dai reati di caccia.  In effetti il Veneto è l’unica regione d’Italia ad avere ben due blackspot del bracconaggio, come individuati da ISPRA, le Prealpi venete e il delta del Po/Laguna di Venezia, quest’ultimo un potenziale rifugio per centinaia di migliaia di anatre in arrivo da tutta Europa che passerebbero volentieri l’inverno nell’ultima estesa area umida italiana, se questa non diventasse un vero e proprio buco nero, con migliaia di appostamenti da caccia in ogni dove e migliaia di esemplari uccisi ogni giorno».

Andrea Rutigliano, coordinatore della campagna Cabs contro il bracconaggio nel Delta, denuncia che è «Particolarmente grave è la situazione nelle Aziende Faunistico Venatorie –- le cosiddette valli, da dove provengono raffiche di fucile tali, che la caccia qui assomiglia più che altro ai fuochi artificiali di capodanno. Sono stato più volte sugli argini delle valli e il quadro è impietoso: si vedono cadere gli uccelli dal cielo come foglie dagli alberi in autunno».

Per l’associazione di volontari specializzata nell’antibracconaggio, nata a Bonn ma attiva dal 1985 anche in Italia,  «In questo contesto di forte impatto sulla biodiversità i controlli sono insufficienti. A fronte dei 40.000 cacciatori veneti (a cui si aggiungono i cacciatori VIP di altre regioni per la “privilegiata” caccia nelle valli) i numeri la Polizia provinciale sono scesi da 188 agenti a 146 effettivi, mentre il numero di denunce si è dimezzato, dalle 173 del 2009 alle 99 del 2019. La Regione ha disposto l’istituzione di un corpo di vigilanza regionale nel 2017 e nel 2019 ha dichiarato di volersi attivare per incrementare il personale preposto alla vigilanza venatoria, ma per il momento, a parte la dichiarazione di intenti, non è stato fatto ovviamente nulla».

Come aveva evidenziato nel 2019 il consigliere regionale del PD Andrea Zanoni, «Che il Veneto avesse un rapporto piuttosto incestuoso con la caccia e le sue declinazioni illegali – accusa il CABS – era chiaro già da tempo: bastava guardare al trattamento da cittadini di serie A riservato ai cacciatori, liberi di spostarsi in tutto il territorio per sparare a caprioli, anatre, allodole o tordi, mentre il resto dei cittadini di serie B erano costretti dentro al loro Comune. Oppure a giudicare dai 900.000 euro stanziati a favore delle associazioni venatorie per attività di lotta al bracconaggio e poi spesi dalle stesse con cene, cenette e taglio dell’erba».

Ma il Cabs dice che a sparigliare le carte in questi ultimi due anni è stato l’intervento dei Carabinieri forestali che, forti dei nuclei della Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati a Danno di Animali (Soarda) che intervengono in realtà di forte bracconaggio e dove il personale locale non sia numericamente sufficiente a far fronte a situazioni di illegalità diffusa, «Sono stati in grado di rompere il senso di impunità fra i cacciatori lagunari. La dedizione di militari che non hanno esitato ad appostarsi per ore giorno e notte su scanni, isole e barene, con pioggia e nebbia, ha reso possibile mettere di fronte alle proprie responsabilità decine delle centinaia di cacciatori, che ogni giorno violano le leggi, nella loro avidità di uccidere quante più anatre selvatiche possibile».

Il Cabs si augura che «La magistratura valorizzi il duro lavoro dei militari e dia il suo contributo a favore della biodiversità. imponendo sanzioni esemplari ai denunciati e non invece archiviando per tenuità del fatto come troppo spesso è stato il caso nel recente passato. La società ormai considera inaccettabile accanirsi contro la fauna selvatica, per di più violando le norme, mentre abbiamo osservato spesso come per i magistrati in Veneto queste non siano che bazzecole di particolare tenuità. Chissà cosa ne pensano le centinaia di migliaia di anatre massacrate ogni anno nelle aree del Delta del Po».

Ma le notizie che vengono da un’altra regiuone, l’Umbria, non fanno ben sperare in questo senso.

E’ lo stesso Cabs a rivelare che «Se la cava con una pacca sulle spalle il cacciatore umbro denunciato dai Carabinieri forestali per aver commesso ben 18 reati in sequenza: abbattimento per 17 volte di fringuelli, specie protetta, e uso di un riproduttore elettronico per attrarli a portata di fucile. Ora la procura di Spoleto, applicando con molta generosità l’articolo 131bis del codice penale, ha suggerito la non punibilità dell’uomo per “l’esiguità” del danno commesso. Una interpretazione piuttosto ardita della norma che in realtà esclude la non punibilità dei reati minori, se perpetrati in danno di animali e quando vi sia una ripetizione comprovata dell’atto stesso».

Alex Heyd, direttore generale del Cabs, sostiene che «La magistratura diventa in questi casi una inaspettata alleata dei cacciatori bracconieri. Ci sarebbe da chiedere al pubblico ministero se uccidere 17 esemplari di specie protette non sia grave, che cosa lo sia. Già la legge sulla caccia prevede banali reati contravvenzionali puniti con multe rimaste ferme agli anni ’90, che infatti non spaventano più nessuno. Ogni tentativo di inasprirle si scontra infatti con la lobby dei cacciatori, evidentemente interessati a non dare troppo fastidio a chi braccona. Ma se neanche queste ammende vengono date, allora proprio si vuol dire che la fauna selvatica torna a essere res nullius, altro che patrimonio indisponibile dello Stato».

Le denunce del Cabs confermano che l’Italia è una terra di passaggio di milioni di uccelli, ma anche la patria di migliaia di bracconieri, «Per lo più cacciatori allergici alle regole che rispondono col piombo alla perdita di biodiversità che stiamo causando su tutti i fronti – dicono al Cabs – Di fatto il nostro Paese è considerato il peggior Stato europeo per livelli di bracconaggio e numero di uccelli uccisi illegalmente. E l’Umbria ha una sua forte responsabilità in questo quadro negativo: è la Regione meno trasparente sotto tutti gli aspetti: dal 2014 non trasmette nessuna informazione al Governo sul numero di verbali e controlli in materia di caccia (come da obbligo ex art. 33 legge 157/92), due procure su tre non hanno inviato i dati richiesti per il rapporto zoomafia della LAV. Alla disamina del CABS risultano esistenti solo 31 agenti di polizia provinciale dei 136 che c’erano nel 2013 e in questo senso l’Umbria è la regione con il peggior rapporto cacciatore-agente, con un agente ogni 864 cacciatori. Ma il quadro peggiora se si considera che il numero di denunce realizzate dalle polizie provinciali è zero negli ultimi 5 anni. A far rispettare la legge sulla caccia rimangono praticamente pochi carabinieri forestali e le guardie venatorie volontarie del WWF con una media di 40 denunce ogni anno. Un po’ poche considerando la forte tendenza al bracconaggio in Umbria. forse anche troppe per qualche magistrato».