Bolivia, quando gli incendi in Amazzonia sono “socialisti”

La politica forestale del comunista Evo Morales (quasi) come quella del neofascista Jair Bolsonaro. Critiche e proteste di ambientalisti e scienziati

[3 Settembre 2019]

Nel sud dell’Amazzonia Boliviana, nel dipartimento di Santa Cruz, gli incendi stagionali hanno incenerito più di un milione di ettari, tanto che il presidente socialista Evo Morales ha dovuto interrompere la sua campagna elettorale, bersagliato dalle critiche di chi lo accusa per la sua politica agricola che favorirebbe l’abbattimento della foresta per far posto agli appezzamenti agricoli e ai pascoli.

Mentre il mondo si occupava, giustamente, del disastro ambientale provocato in Brasile dalle politiche del presidente neofascista Jair Bolsonaro, secondo un rapporto della Fundación Amigos de la Naturaleza (Fan) pubblicato dall’agenzia IPS, a fine agosto in Bolivia la superficie distrutta dagli incendi aveva raggiunto i 2,1 milioni di ettari. La più colpita è la regione di la Chiquitania, nel dipartimento di Santa Cruz, ai confini col Brasile, dove sono accorsi vigili del fuoco, militari, specialisti anti-incendio dei Paesi vicini in aiuto dei volontari locali che aiutavano il personale di emergenza.

Secondo il rapporto Fan, al 30 agosto era bruciata il 64% della superficie del dipartimento di Santa, 1,4 milioni di ettari, dopo veniva il Beni con il 29% e 639.678 ettari. Probabilmente, diversamente dal Brasile, non si tratta di un record: nel 2010 in Bolivia la superficie bruciata raggiunse quasi  i 10 milioni di ettari, ma la stagione secca dura per tutto settembre e in molti temono che ci si possa avvicinare a quel dato disastroso.

Le critiche al governo socialista riguardano soprattutto la mancanza di prevenzione e il troppo tempo che Morales ha aspettato (come Bolsonaro) per dichiarare lo stato di emergenza, mentre manteneva una politica all’espansione agricola e zootecnica nella regione amazzonica. L’opinione pubblica internazionale, troppo presa da quel che sta succedendo in Brasile (ma l’attenzione è già calata) ha praticamente ignorato gli incendi in questo Paese senza accesso al mare, dove la difesa della biodiversità è persino scritta nella Costituzione, nonostante il fascista Bolsonaro e il comunista Morales abbiano fatto praticamente gli stessi errori di gestione. Il risultato è che la Bolivia, il cui territorio è ricoperto per il 48% da foreste, sta lottando senza grandi risultati contro incendi che minacciano anche aree abitate.

L’Autoridad de Fiscalización y Control Social de Bosques y Tierra della Bolivia dice che in soli 5 anni, tra il 2012 e il 2017, solo nel dipartimento di Santa Cruz è stato deforestato un milione di ettari e il 64% è avvenuto illegalmente, senza nessun permesso. Secondo le associazioni ambientaliste, degli 8 Paesi amazzonici, la Bolivia è quello che ha la maggior percentuale di deforestazione.

Alla Fan dicono che gli incendi di questa estate sono stati favoriti anche da una fortissima siccità e da temperature elevate costantemente intorno ai 40° C. Ma la vera causa è il fuoco usato come strumento per disboscare: «E’ una pratica usata dalle comunità campesinas per “bonificare” le terre destinate all’allevamento». Le associazioni ambientaliste accusano Morales di aver favorito gli incendiari con l’approvazione del decreto 3973 che, all’artico 5 «Autorizza l’abbattimento di alberi per le attività agro-zootecniche sulle terre private e comunitarie». Insomma, in Bolivia, a differenza che in Brasile, il governo non punta a favorire i grossi fazendeiros a discapito degli indios, ma il risultato è lo stesso.

Per difendersi dalle critiche, il ministro dello sviluppo rurale della Bolivia, César Cocarico,  ha detto che «I media, a causa di un’informazione di parte e gestita politicamente, hanno indicato come colpevole il decreto 3973, pero l’unica cosa che ha fatto è ampliare (i benefici) al dipartimento del Beni».

Ma l’ondata di incendi fuori controllo è scoppiata in piena campagna elettorale per le elezioni generali del  20 ottobre nelle quali Morales, un indios aymara al potere dal 2006, si candida per la quarta volta consecutiva come presidente, dopo aver modificato in tal senso . tra le polemiche, la Costituzione, e tutti i sondaggi lo danno vincente.

Il 29 agosto, poco prima dell’inizio poco dell’esportazione di 24 tonnellate di carne bovina boliviana verso la Cina, in aiuto di Morales e del suo governo è venuto dalla Federación de Ganaderos del Beni, e il presidente della Confederación de Ganaderos de Bolivia, Óscar Pereyra, stima che «Le vendite permetteranno guadagni per 800 milioni di dollari».

Ma il costo ambientale è enorme. Marco Gandarillas, del Centro de Documentación e Información Bolivia (Cedib), ha detto all’IPS che «Per dimensione e intensità degli incendi, possiamo parlare di una catastrofe ambientale. E’ stata colpita una gran parte della foresta secca chiquitana (dipartimento de Santa Cruz) e sono stati duramente colpiti il Pantanal, la sabana e il  chaco e, naturalmente, l’Amazonia nel territorio boliviano».

Il 27 agosto il Cedib ha organizzato il seminario “Incendios en Bolivia. Análisis desde las dimensiones agraria, ambiental y social” e nel suo intervento Gonzalo Colque, della Fundación Tierra, ha ribadito che «Il cambiamento della politica agricola avvenuto dal 2011, ha portato alla flessibilità dei requisiti che ha permesso che, tra il 2011 e il 2018, fino a 7 milioni di ettari di terra diventassero di proprietà. Il 57% delle stesse terre ora sono in mano a medi e grandi proprietari, il che può far capire gli interessi che sono in gioco».

Miguel Ángel Crespo, di ProBioma, ha aggiunto che «Questo cambiamento si può verificare con la produzione di coltivazioni: dal 2010 è diminuita la produzione di cereali o di patate a vantaggio delle oleaginose. Questo trend domostra la priorità dello Stato di fronte alla prodizione di alimenti e l’ampliamento della frontiera agricola, sopattutto con l’approvazione di leggi legate all’introduzione di soia transgenica (1098 e 3307). Questo ampliamento si indirizza ad aree come il Pantanal e la Chiquitanía, che sono terre a vocazione forestale, con poca possibilità per la produzione agricola. Così, l’ampliamento della frontiera agricola non risponde alle necessità della popolazione e si concedono suoli senza vocazione agricola».

Alicia Tejada, una ricercatrice indipendente, denuncia «L’assenza di una politica agricola in tutte le istanze di governo. Il fatto è che questa assenza è pianificata per smantellare i vincoli normativi esistenti sulle aree forestali. Quel che viene messo in discussione ora è il modello di sviluppo cruceño, che non potrebbe esserci senza questi incentivi, risorse, crediti, perdono, flessibilità delle regole. E’ questa situazione ha portato al fatto che negli ultimi 20 anni respirare fumo sia diventato una consuetudine».

Rubén Arias, di Contiocap, ha lanciato un allarme per gli incendi nella valle di Tucabaca, «Un’area protetta che ospita la foresta secca meglio conservata del mondo e che apporta il 25% delle acque al bacino della Plata e del Rio delle Amazzoni».

Secondo l’ambientalista, gli incendi sono legati alle frane e all’ingresso nell’area dell’industria mineraria, «contro la quale la comunità è ferma nella sua resistenza alle attività estrattive».

Rubén Darío Ortiz, della  Coordinadora Nacional de Defensa de Territorios Indígenas y Áreas Protegidas de Bolivia, ha detto all’IPS che «I danni alla natura non sono quantificabili. Alcuni sono irrecuperabili perché in aree che ospitavano una grande biodiversità che è rappresentata da più di 10 ecosistemi vitali. La foresta secca chiquitana meglio conservata al mondo produce acqua dolce che ha origine nelle sue serranías  e che lungo i suoi affluenti arriva fino al bacino del  Pantanal Otuquis e alimenta il bacino della Plata (Paraguay), uno dei più importanti dell’America del Sud».

Ma se Morales ha ancora grande presa sull’opinione pubblica boliviana, l’ambiente si è dimostrato più volte il suo tallone di Achille e per le strade di La Paz, Santa Cruz, Cochabamba, Tarija e Sucre, centinaia di manifestanti hanno già protestato contro la politica agraria governativa e per chiedere l’abrogazione del decreto 3973.

Morales è molto criticato per aver cominciato a preoccuparsi degli incendi solo 23 giorni dopo che l’amministrazione del  dipartimento de Santa Cruz aveva lanciato il primo allarme il 26 luglio. 23 giorni nei quali sono andati in fumo più di mezzo milione di ettari di foresta. Finora, Morales non ha voluto dichiarare l’emergenza nazionale ma, a differenza di Bolsonaro, ha cambiato idea  sul suo rifiuto iniziale di accettare gli aiuti della cooperazione internazionale, dando il via libera all’arrivo di esperti nella lotta agli incendi boschivi e agli aerei antincendio “Supertanker” statunitensi e ad aiuti russi con un aereo Ilyushin IR79.

Oltre alla devastazione della fauna e della flora, Gandarillas si rammarica per l’impatto sulle aree protette di San Matías e Otuquis, nella Chiquitania amazzonica, dove l’incendio ha colpito il 70% e conclude: «I danni alla popolazione delle aree incendiate, stimate in oltre 200.000 persone, saranno gravi. Sarà interessato il turismo ecologico basato sui paesaggi naturali, mentre la siccità produrrà impatti sulle diverse attività nella zona. Sarà complicato e difficile riprendersi da questo disastro causato dalla mano dell’uomo».