Biodiversità: gli ambientalisti delusi dai risultati del meeting Cbd di Ginevra

Proteggere il 30% della terra e del mare è solo l'inizio. Preoccupazioni per la COP15 di Kunming

[30 Marzo 2022]

Mentre la Convention on biological diversity cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno dei risultati del meeting di Ginevra in vista della 15esima conferenza della parti di Kunming (COP15 Cbd) , Li Shuo, Energy Policy Officer for Greenpeace East Asia, non è molto soddisfatto: «La sessione di Ginevra lascia la COP15 su un terreno instabile. Con così poco tempo a disposizione per Kunming, la parti hanno alla fine  preso a calci la lattina fino alla fine della strada. Questo processo è stato finora mal progettato e deludente. Prima di Kunming, abbiamo bisogno di un serio lavoro intersessione per far avanzare questioni come l’attuazione e la finanza.  Con così tante questioni in sospeso, il tempo non è dalla parte della Cina. In qualità di presidente della COP15, la Cina dovrebbe elaborare un piano di emergenza per fornire un pacchetto complesso con qualità e ambizione».

Secondo An Lambrechts, stratega senior della campagna sulla biodiversità di Greenpeace International, «Ciò di cui abbiamo un disperato bisogno in vista della COP15 è l’ambizione e un solido quadro di attuazione. Il tempo per le distrazioni è scaduto. Tornare indietro sugli obiettivi di Aichi del 2010 è inaccettabile. Non accettare meccanismi che garantiscano l’attuazione è imperdonabile. Proteggere almeno il 30% del mare e della terra a livello globale è il minimo e questo non può essere fatto senza le popolazioni indigene, le comunità locali e il fronte che nette al centro i diritti alla terra».

In effetti, due settimane di colloqui intesi per preparare un accordo globale per invertire la distruzione della biodiversità hanno portato solo a piccoli passi avanti. Ma ora gli ambientalisti chiedono ai governi di mettere in campo sulla biodiversità lo stesso tipo di leadership e di urgenza che ha portato all’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.

Il direttore generale del Wwf  International, Marco Lambertini, ha detto a Deutsche Welle che «Questo potrebbe essere per molti aspetti un momento davvero storico che aspettavamo da molto tempo. Nelle ultime due settimane, penso che abbiamo fatto un passo avanti significativo su una serie di elementi molto importanti del biodiversity framework. Ma molti progressi devono ancora essere fatti. Mentre andiamo avanti, la leadership politica sarà fondamentale per risolvere alcuni dei punti più difficili e per guidare il consenso. E quindi chiediamo ai capi di stato, primi ministri e ministri dell’ambiente di guidare quella leadership».

Quello che è venuto fuori dal meeting Cbd di Ginevra non è nemmeno una bozza di

Framework, è un disordinato mix di testi tra parentesi che presentano più opzioni per  paragrafi – a volte con significati completamente diversi – da definire in un secondo momento. Il problema e è che si va avanti – o meglio si resta fermi –  a secondi momenti. ED è significatoivo che dopo Ginevra sia stato annunciato un altro round negoziale pre-Kunming a Nairobi per dare forma al testo finale.

Lo stesso vice segretario esecutivo della Cbd, David Cooper, ha ammesso che il testo uscito da Ginevra è veramente disordinato ma  ha evidenziato che «Questa è una parte essenziale del processo e un segno di progresso. Il lato positivo è che ci sono tutti gli elementi che le diverse parti vorrebbero vedere in questi obiettivi e traguardi. Naturalmente, ci sono stati momenti nelle discussioni in cui ci sono state difficoltà. E dobbiamo riconoscere che i Paesi avranno interessi diversi, anche se hanno tutti un interesse comune nell’affrontare la sfida della crisi della biodiversità. Quindi, in generale, penso che i Paesi siano stati abbastanza costruttivi nel cercare di conciliare le loro differenze».

Per Lambertini, «Una delle principali vittorie di questa conferenza è stata l’inclusione di un obiettivo per il 2030 nella bozza di framework. La cosa più impressionante e più eccitante … è che ora abbiamo nella bozza di accordo: una “Mission 2030”.  Ci sono stati alcuni Paesi che chiedevano solo una “Vision 2050”. E, francamente, con l’urgenza che c’èin giro, era uno scherzo. per essere molto schietti. Così abbiamo spinto molto e, alla fine, abbiamo ottenuto l’accordo su una “Mission 2030” che abbraccia effettivamente un obiettivo globale davvero ambizioso per la natura».

Ma la Lambrechts conferma che i risultati del meeting sono stati deludenti «Ci aspettavamo che sarebbe stato complesso,  ma è stato deludente vedere che è rimasto complesso fino alla fine e che non ci sono stati molti progressi». Però, anche per l’esponente di Greenpeace «Il testo disordinato contiene ancora una formulazione promettente su alcune delle questioni che Greenpeace considera critiche, inclusi i popoli indigeni e i diritti delle comunità. Tuttavia, la continua inclusione di alcuni dei testi tra parentesi meno ambiziosi apre la prospettiva di un accordo annacquato a Kunming».

L’accordo finale deve ancora superare grossi ostacoli, il più significativo dei quali è il modo in cui verrà finanziata qualsiasi azione di tutela della biodiversità globale e come verrà misurato il raggiungimento degli obiettivi. Tutti i Paesi riconoscono che sono necessari più soldi per far fronte alla perdita di biodiversità – stimata in 100-150 miliardi di dollari in più ogni anno – ma poi si dividono sulla provenienza di questi fondi. E la fine dei sussidi alle attività che distruggono la natura è un’altra questione spinosa.

Sullo sfondo c’è il clamoroso fallimento degli obiettivi di Aichi, dovuto anche a uno scarso monitoraggio. Intanto, alcuni Paesi, a cominciare dal Brasile e dall’Argentina, stanno cercando di ostacolare il progresso dei negoziati della Cbd. L’Unione europea, a causa della guerra in Ucraina, ha messo in standby l’attuazione delle direttive su biodiversità e agricoltura e a Ginevra ha tenuto un basso profilo, menbtre la presidenza cinese della COP15 Cbd è accusata dagli ambientalisti di non mostrare la leadership richiesta a un paese ospitante.

Una componente fondamentale dell’intero accordo, la condivisione aperta del sequenziamento genetico, ha trovato un consenso in extremis  ma all’ultimo minuto ha dovuto affrontare il dissenso della Bolivia, nonostante il testo fosse stato concordato.

A fare un passo avanti è stata l’India: Vinod Mathur, a capo della National Biodiversity Authority ha detto all’AFP che «La conservazione può avvenire solo quando si fornisce alle specie un po’ di spazio per vivere». Sebbene l’obiettivo del 30% sia globale, l’India sta già cercando di aumentare il 22% del suo territorio già protetto da parchi nazionali e riserve delle tigri. Ma Mathur ha fatto notare che  «Espandere le aree protette esistenti sarebbe molto difficile. Il mio dipartimento ha passato mesi a setacciare il Paese per trovare candidati che soddisfacessero i criteri più flessibili, compresi territori di proprietà di aziende private. Sta cambiando la narrativa».

Scienziati e ambientalisti  ammoniscono i governi e ricordano che garantire che a Kunming  venga approvato un accordo efficace è fondamentale: «La perdita di biodiversità è una forza distruttiva che minaccia l’umanità tanto quanto il cambiamento climatico,  con la Terra già alle prese con la sua sesta estinzione di massa».

Per Kirsten Thonice. del Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (PIK) e relatrice al meeting di ginevra per  il Leibniz-Forschungsnetzwerk Biodiversität (LFN) «Il mondo ha solo un decennio per invertire la tendenza contro la perdita di biodiversità, compresi accordi sorprendenti, definizione del quadro della governance e attuazione su scala locale e globale. Più aspettiamo, più ritardiamo le decisioni, peggio sarà. E poi dovremo iniziare a prendere decisioni e a implementare  politiche molto più severe, che rischiano di destabilizzare le società o di metterle sotto stress. Quindi non possiamo perdere tempo. Siamo al punto in cui non possiamo permetterci di fallire. Abbiamo bisogno di una qualche sorta di accordo».

Trevor Sandwith, direttore del Center for Conservation Action dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN)  è fiducioso: «Penso che il mondo intero sia abbastanza convinto che la conservazione della natura sia essenziale per il futuro del pianeta, anche le grandi imprese e l’industria. Ma mentre un obiettivo percentuale è facile da raggiungere e  facile da misurare, racconta solo una parte della storia. Il mondo non è riuscito quasi del tutto a raggiungere una serie simile di obiettivi decennale fissati nel 2010 nell’ambito della Convention on biological diversity dell’Onu. Per evitare gli errori del passato, l’equità e l’efficacia saranno fondamentali nel modo in cui le aree protette sono governate e gestite. Questo è particolarmente preoccupante per le popolazioni indigene, che svolgeranno un ruolo decisivo nel raggiungimento dell’obiettivo del 30%. Secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite sull’impatto dei cambiamenti climatici, gestiscono territori che ospitano l’80% della biodiversità rimanente della Terra».

Le other effective area-based conservation measures” (OECMs) rappresentano un approccio più flessibile alla conservazione all’interno del processo Cbd, che consente l’inclusione di territori dove ci sono anche attività antropiche. Ma dopo anni di emarginazione e di tentativi spesso riusciti di cacciarli dalle loro terre, i rappresentanti dei popoli indigeni vogliono assicurazioni che le loro comunità dovranno dare il consenso se le loro terre diventeranno aree protette. Jennifer Tauli Corpuz, dell’ONG Nia Tero, che fa parte del caucus indigeno della Cbd, ha ricordato che «L’intera nozione di conservazione fortezza non è stata positiva per le popolazioni indigene».

Secondo l’ultimo rapporto “Protected Planet” del World Conservation Monitoring Center dell’United Nations environment programme (Unep) nel 2020 il mondo aveva raggiunto l’obiettivo di proteggere il 17% degli habitat terrestri, ma ha mancato l’obiettivo del 10% percento per le aree marine e costiere, fermandosi a poco più del 7%.

Gli OECM sono stati formalmente definiti nel 2018 e, secondo Heather Bingham, che guida l’iniziativa Protected Planet, «Stanno già facendo un’enorme differenza nelle statistiche. Ma in futuro la misurazione del successo deve andare oltre la semplice dimensione e posizione del territorio conservato. E’ una grande sfida. Sappiamo dove si trovano le aree protette, ma non sappiamo quanto bene stiano facendo».

Nuovi metodi di monitoraggio potrebbero includere sia le tecnologie satellitari che più solidi rapporti locali su cosa succede nel tempo nelle areee protette terrestri e marine.

Linda Krueger di The Nature Conservancy ha concluso: «Deve esserci uno “sniff test”. Dobbiamo vedere che la biodiversità viene mantenuta e/o migliorata. E un obiettivo del 30% non deve distrarre dagli sforzi per coltivare la biodiversità ovunque, dall’aumento degli spazi verdi nelle città alla riduzione dell’uso di pesticidi in agricoltura. Abbiamo davvero bisogno del 100%. Abbiamo già perso troppa natura».