Aree protette e diritti umani, le ONG: «Il settore della conservazione ha bisogno di cambiamenti radicali e ramificati»

«Uccisioni, torture, violenze sessuali e fisiche e intimidazioni non hanno posto nella conservazione»

[26 Novembre 2020]

Rainforest Foundation UK (RFUK), Forest Peoples Programme, IWGIA e Almáciga Grupo Intercultural hanno commentato con una dichiarazione congiunta il rapporto  “Embedding Human Rights in Nature Conservation: From Intent to Action” commissionato dal Wwf International a un autorevole panel di esperti e coraggiosamente e integralmente reso noto dall’associazione ambientalista per rispondere alla forte pressione mediatica innescata proprio dalle denunce delle 4 ONG e di Survival International.   

Secondo RFUK, Forest Peoples Programme, IWGIA e Almáciga, il rapporto conferma che «Il Wwf ha finanziato e fornito supporto tecnico a progetti di conservazione che sono stati pieni di violazioni dei diritti umani tra cui stupri, omicidi e intimidazioni, e il Wwf non è riuscito a trattare adeguatamente questi problemi. L’indipendent review sulle violazioni dei diritti umani nei programmi del Wwf include risultati seri sulla risposta del Wwf a uccisioni, torture, violenza sessuale e fisica e intimidazioni contro le popolazioni indigene e le comunità locali collegate alle operazioni del Wwf in diverse aree del mondo. Il rapporto sottolinea anche gravi carenze nella cultura organizzativa del Wwf, caratterizzata da una mancanza di trasparenza, responsabilità e impegno incoerente per i diritti umani. Nei casi peggiori, il Wwf non ha indagato sulle violazioni dei diritti umani portate alla sua attenzione, apparentemente per non turbare i suoi rapporti con il governo».

Le ONG dicono che «Le pratiche imperfette evidenziate in questo rapporto che consentono e facilitano le violazioni dei diritti umani devono cessare e il Wwf deve adottare ulteriori misure concertate per garantire che avvenga. Chiediamo al Wwf di attuare integralmente le raccomandazioni del rapporto, commissionare un’indagine sulla piena portata delle violazioni dei diritti umani nei suoi programmi, scusarsi senza riserve con i sopravvissuti agli abusi compiuti in loro nome e fornire risarcimenti alle persone colpite, ove appropriato».

La dichiarazione congiunta evidenzia in particolare la situazione del Parco Nazionale di Salonga nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), dove il rapporto rileva che, nonostante accuse di abusi sessuali e fisici da parte di ranger segnalate ai dirigenti del Wwf nella Rdc nel 2016, non è stata attuata un’indagine pianificata «apparentemente per la preoccupazione che così facendo avrebbe incontrato la resistenza dell’ICCN»<, l’Institut Congolais pour la Conservation de la Nature, l’agenzia statale per la conservazione della Rdc. Una successiva indagine, svolta nel 2019 dopo altre accuse arrivate sui media, «Ha identificato accuse diffuse di abusi estremamente gravi da parte di guardie ecologiche e personale dell’esercito, comprese accuse di omicidi multipli, stupri, torture e percosse».  Le 4 ONG denunciano che «Ad oggi, poche delle misure correttive promesse dal Wwf sono state attuate e l’organizzazione non ha fornito alcun supporto o ha dato un supporto inadeguato alle vittime nella richiesta di riparazione».

RFUK, Forest Peoples Programme, IWGIA e Almáciga danno comunque – a differenza di Survival International – un  giudizio positivo sul rapporto perché il panel indipendente «Sottolinea la necessità di una sostanziale e pratica integrazione delle competenze in materia di diritti umani in tutto il Wwf, nonché una maggiore trasparenza da parte dell’organizzazione. Il rapporto del gruppo indipendente fornisce anche un contributo significativo per chiarire gli obblighi e le responsabilità delle organizzazioni di conservazione rispetto ai diritti umani. E’ importante sottolineare che riconosce che le organizzazioni multinazionali per la conservazione hanno le stesse responsabilità delle imprese nel rispetto dei diritti umani ai sensi degli UN Guiding Principles on Business and Human Rights. Questa è una gradita conferma alla luce dell’enorme – e sempre più commerciale – scala di intervento delle organizzazioni per la conservazione in tutto il mondo».

Si tratta di situazioni completamente diverse da quelle dei Parchi Nazionali europei, gestiti da istituzioni o direttamente da agenzie statali che fanno capo ai ministeri dell’ambiente, mentre le ONG protezioniste di solito gestiscono piccole oasi che spesso appartengono alle stesse associazioni gestrici. Quelle descritte nel rapporto sono situazioni nelle quali governi autoritari, ma con una debole governance, affidano a grandi associazioni protezionistiche internazionali la gestione di enormi aree protette o di riserve integrali dove abitano popoli tribali che per sopravvivere sfruttano da sempre le risorse ambientali e della fauna e della flora.

Ma hanno certamente ragione le ONG quando nella loro dichiarazione congiunta scrivono che «Le violazioni dei diritti umani subite dalle popolazioni indigene e dalle comunità locali elencate nel rapporto evidenziano questioni fondamentali che sorgono nel settore della conservazione nel suo insieme, non isolato dal Wwf. La causa alla base di questi abusi, come riconosciuto in questo rapporto, è l’esclusione dei popoli indigeni e di altre comunità con diritti consuetudinari collettivi dai loro territori ancestrali. La frequenza e la gravità degli abusi è stata esacerbata dalla crescente militarizzazione – con scarsa o nessuna supervisione – delle aree protette, soprattutto in contesti in cui sono diffuse violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza. Invitiamo altre organizzazioni per la conservazione, nonché i finanziatori della conservazione, a leggere attentamente questo rapporto e valutare e modificare le proprie pratiche in linea con le raccomandazioni formulate».

Una preoccupazione che ha ben presente anche l’Onu, che ha promosso il target del 30% di aree terrestri e marine protette, già fatto proprio dall’Unione europea,  visto che – come ricorda Survival International – Il 18 novembre l’United Nations development programme (Undp) ha risposto alle accuse sugli abusi commessi da guardaparco finanziati dal Wwf nel Nord della Repubblica del Congo annunciando la decisione di terminare il sostegno al suo progetto ” ‘Integrating Transboundary Biodiversity Conservation into the Basins of the Republic of Congo” e che procederà a «reimpostare in modo fondamentale» il suo lavoro nell’area. Ma L’Undp ha anche confermato che continuerà a sostenere la tutela dell’ambiente nella Repubblica del Congo e a lavorare con il Wwf.

L’approccio di RFUK, Forest Peoples Programme, IWGIA e Almáciga, che si ritengono parte della grande famiglia ambientalista, è diverso da quello di Survival e infatti dicono che «Il settore deve trasformarsi per garantire il rispetto dei diritti umani delle popolazioni indigene e delle altre comunità locali interessate dai progetti di conservazione, compreso il loro diritto alle loro terre abituali e alla protezione dalla violenza, dalle intimidazioni e dagli abusi. Questa trasformazione è urgentemente necessaria, sia per porre fine alle violazioni sia per passare a un approccio alla conservazione guidato dalla comunità che riconosca che la conservazione sostenibile delle terre delle popolazioni indigene è più efficace e duratura quando si basa su un possesso sicuro».

Secondo la dichiarazione congiunta, «Il rapporto è anche tempestivo poiché i governi stanno attualmente negoziando un obiettivo globale per aumentare radicalmente l’area del globo sotto una qualche forma di status protetto. L’obiettivo attualmente proposto è il 30% della superficie terrestre del globo entro il 2030, quasi il doppio rispetto alla percentuale odierna del 15,4%. Questo rapporto evidenzia i pericoli molto reali e significativi che sono associati a tale obiettivo se viene applicato in paesi in cui le popolazioni indigene ei diritti delle comunità locali non sono riconosciuti o rispettati e se non include esplicitamente impegni per aumentare l’area di terra sotto sicurezza titolo per i popoli indigeni e le comunità locali».

Quindi un invito a procedere con cautela e nel dovuto rispetto del ruolo che devono svolgere nella protezione della natura e della biodiversità le popolazioni autoctone che vivono nei loro territori ancestrali, e non un no netto come quello del direttore generale di Survival International, Stephen Corry, che sminuisce anche l’indubbia portata dell’indipendente review: «Un altro dei tanti rapporti interni sugli abusi dei diritti umani del Wwf conferma quanto denunciamo da decenni. Oggi la conservazione sta riformulando la sua narrativa per includervi il sostegno ai diritti indigeni. L’abbiamo già sentita fare discorsi simili in passato ma sul campo sembra essere cambiato ben poco. Le terre dei popoli indigeni devono essere effettivamente riconosciute come loro, e deve essere rispettato il loro diritto di rifiutare interventi esterni che non vogliono, compresi i cosiddetti progetti “verdi”. Ottengono risultati di conservazione migliori delle ONG che li maltrattano e li minacciano. Se vogliamo davvero proteggere la biodiversità, dobbiamo lasciare spazio ai popoli indigeni».

Un approccio molto diverso da quello – ugualmente molto duro verso il Wwf – del direttore esecutivo della Rainforest Foundation UK  Joe Eisen: «Questo rapporto atteso da tempo mette a nudo i fallimenti del Wwf nella protezione dei diritti umani di coloro che sono coinvolti dai suoi programmi e di un modello di conservazione antiquato che dovrebbe essere consegnato alla storia. Eppure la risposta del Wwf mostra una totale mancanza di contrizione o responsabilità per questi fallimenti. Ora abbiamo bisogno di un cambio di paradigma che metta le comunità locali e le popolazioni indigene, non le organizzazioni internazionali, al centro degli sforzi di conservazione. Il futuro del nostro pianeta dipende da questo»

Per Helen Tugendhat, coordinatrice programmi di Forest Peoples, «Questo rapporto indica giustamente l’esclusione delle popolazioni indigene e delle comunità locali dalle loro terre e territori abituali come il “peccato originale” che è alla base delle gravi violazioni dei diritti umani che registra. Dobbiamo prendere in considerazione la protezione di tali diritti e il sostegno alla proprietà e alla gestione locale come un elemento centrale nella riduzione delle violazioni dei diritti umani e nella tutela degli ecosistemi che si proteggono».

Signe Leth, senior advisor di IWGIA, conclude: «I diritti dei popoli indigeni devono essere al centro delle azioni di conservazione per evitare ulteriori violazioni dei diritti da parte del settore. Una parte integrante di questo è il riconoscimento del contributo delle popolazioni indigene alla conservazione. L’80% della biodiversità rimanente è nelle terre delle popolazioni indigene e tuttavia molti dei maggiori conservazionisti agiscono come se sapessero fare meglio di loro. Questo rapporto mostra chiaramente il contrario».