Aree protette, direttori si nasce o si diventa? L’albo, la casta e la preparazione che non c’è

[5 Aprile 2017]

Quando è stata promulgata la legge quadro sulle aree protette – ormai quasi ventisei anni fa – la disciplina degli impiegati dello Stato era regolata dal d.p.r. 3/1957 e dalla l. 312/1980. Da poco erano state varate, quali novità dirompenti, la l. 241/1990, sul procedimento amministrativo e la l. 142/1990, sugli enti locali (autonomie locali). Era ancora lontano il d.lgs. n. 29/1993, sul pubblico impiego, cui si deve principalmente la strutturazione della “nuova” figura del dirigente e, così, le c.d. “Leggi Bassanini” (1997-1999), con – fra altro – la nota separazione tra politica ed amministrazione (che, però, nonostante le comuni idee di senso contrario, non è dovuta agli enti parco, giacché questi non sono enti territoriali, difettando del carattere di politicità, inteso come generalità dei fini e potere di autodeterminazione dei medesimi).

Ovvio, quindi, costruire l’organizzazione dell’Ente parco attorno ad una figura preminente di azione e rappresentanza legale, il presidente, cui affiancare una direzione tecnica, competente nelle azioni amministrative meramente esecutive e “non generali” di conservazione della natura.

Con quest’intento, la prima stesura dell’art. 9 comma 11 prevedeva che il direttore del parco fosse nominato dal ministro dell’ambiente «previo concorso pubblico per titoli ed esami di dirigente superiore del ruolo speciale di “Direttore di parco” […] ovvero con contratto di diritto privato stipulato per non più di cinque anni con soggetti iscritti in un elenco di idonei all’esercizio dell’attività di direttore di parco, istituito e disciplinato con decreto del Ministro dell’ambiente». Come gli altri organi era prevista una durata in carica di soli cinque anni confermabili una sola volta. Ne risultava che il direttore era da intendersi inquadrato a livello giuridico ed economico in un’amministrazione diversa da quella cui veniva chiamato a prestare servizio.

La legge 426/1998 ha rivisto tale norma modificandola per così com’è ora vigente: «il direttore del parco è nominato, con decreto, dal Ministro dell’ambiente, scelto in una rosa di tre candidati proposti dal consiglio direttivo tra soggetti iscritti ad un albo di idonei all’esercizio dell’attività di direttore di parco istituito presso il Ministero dell’ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli. Il presidente del parco provvede a stipulare con il direttore nominato un apposito contratto di diritto privato per una durata non superiore a cinque anni».

L’«albo dei direttori di parco» è stato istituito solo nel 1999, raccogliendovi all’interno i direttori già in carica e quelli reclutati nel 1994, e quindi pubblicato nel 2004 con un elenco di 265 nominativi. Giammai è stato aggiornato con cadenza biennale (nel 2005 sono stati inseriti due nominativi in esecuzione di giudicati amministrativi, nel 2010 altri sei nominativi in esito alla prima vera e propria riapertura concorsuale dell’albo) come previsto nello stesso decreto ministeriale istitutivo, con l’ovvio risultato che tolti i deceduti, per buona parte gli iscritti sono ormai collocati (o da collocare) a riposo per raggiunti limiti di età o non nominabili per altri motivi di legge.

Peraltro, rispetto al numero degli idonei iscritti all’albo, si era fortemente consolidata, alternandosi nelle cabine di comando dei 23 parchi nazionali, una stretta rosa di direttori, obsolescente e poco preparata ai mutati cambiamenti normativi, che ha creato fortissime nicchie di privilegio. E’ molto recente la denuncia della percezione di compensi a volte superiori a 150.000 mila euro l’anno a fronte di un non commisurato impegno organizzativo e di altrettanto non corrispondenti responsabilità gestionali, e ciò in violazione di ogni contesto normativo di dirigenza pubblica, sovente autoattribuita, magari come “direttori generali”. E vi è anche la palese e reiterata violazione della legge quadro, allorché, dopo i primi cinque anni di contratto calavano per mano di presidenti o commissari reiterate conferme o proroghe in assenza di una nuova procedura di selezione pubblica. E tutto ciò con con buona pace per la “rigorosa vigilanza” di Via Cristoforo Colombo.

E’ stato dirompente, tuttavia, il mutato quadro normativo in cui devono operare gli enti parco. La quotidianità del direttore oggi prevede una particolare competenza in materia di appalti pubblici, di procedimento amministrativo, di contabilità pubblica, di gestione del personale, di trasparenza, di sicurezza sul lavoro, di valutazioni ambientali, che nulla ha più a che fare con gli “esperti in materia naturalistico-ambientale” e che difficilmente si sposa con i titoli formativi e curriculari di coloro che ricoprono o hanno ricoperto tali incarichi in forza dell’«albo». Di fatto il direttore del parco deve essere (o saper essere) soltanto un bravo dirigente di una pubblica amministrazione, anche proveniente dalle libere professioni, con una forte preparazione giuridico-amministrativa. Inutile che sappia di ecopatologia della fauna selvatica, di biologia dei grandi carnivori, o di botanica, quando per questo esistono e devono esistere gli uffici ed i servizi, nel mentre deve impegnare la propria attività con atti e provvedimenti giuridicamente corretti e rispettosi di una quantità di normative (inimmaginabili ai tempi dell’istituzione dell’albo).

E allora: la proposta normativa in discussione è assolutamente condivisibile nella parte in cui prevede che il direttore del parco assicuri «la gestione amministrativa complessiva dell’Ente ed eserciti le funzioni di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» (organizzazione degli uffici e gestione dei rapporti di lavoro). Così il direttore deve assicurare l’attuazione «dei programmi ed il conseguimento degli obiettivi fissati dal Presidente e dal Consiglio direttivo, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettere da d) a e-bis), del citato decreto legislativo n. 165 del 2001» (valutazione del personale ed assegnazione delle risorse); «ad esso spetta l’adozione dei connessi atti anche a rilevanza esterna» (e su questo passaggio era possibile chiarire meglio le competenze sul rilascio del nulla-osta posto che la giurisprudenza amministrativa – del tutto ignorata dal Ministero – le riconosce sussistenti unicamente in capo al presidente).

Il direttore – giammai “generale” – è scelto, così, sulla base di una selezione pubblica fra «i dirigenti pubblici, funzionari pubblici con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica di riferimento, persone di comprovata esperienza professionale di tipo gestionale o ambientale, soggetti che abbiano già svolto funzioni di direttore di enti di gestione di aree protette nazionali o regionali per almeno tre anni nonché persone che abbiano esperienza di gestione di aree marine protette per il medesimo periodo». E fin qui ci siamo. Così come per le previsioni in materia di aspettativa e di retribuzione (finalmente).

L’impianto scricchiola allorché prevede che la selezione pubblica si svolga nelle mani di una commissione di tre esperti: due designati dall’ente parco ed uno dal ministero. Tale commissione riduce i partecipanti alla selezione a tre e fra questi il presidente sceglie (nomina) il direttore in assoluta discrezionalità.

Il punto debole della catena è rappresentato proprio dalla figura del presidente.

Se fino ad oggi abbiamo visto direttori più o meno carismatici e presidenti un po’ meno, o molto meno o decisamente assenti, e se oggi la figura del direttore è totalmente mutata al punta tale da pretendere un esperto giuridico-amministrativo e non più un bravo naturalista, biologo o quant’altro, la competenza naturalistica della governance ‘deve’ essere assicurata presso gli altri organi che – sempre in base alla legge – dettano l’orientamento dell’azione amministrativa del direttore, e cioè il presidente ed il consiglio direttivo.

Per il primo ci siamo già espressi (https://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/capitani-lungo-corso-nei-parchi-presidenti-quiescenza/), quanto al consiglio direttivo è sufficiente che il ministro rispetti la lettera della legge sulla peculiare competenza dei nominati e non adoperi piuttosto il “manuale Cencelli”.

Tornando al direttore, sarebbe bene che la selezione pubblica della commissione, curriculare e per prove valutative giuridico-amministrative, quantomeno regali oggettivamente «un» vincitore.

E tutto ciò in un disegno più complessivo di creazione di un percorso di formazione specifica dei dipendenti ed amministratori di parco, sempre più indispensabile.