Antropausa da Covid-19: l’impatto umano sulla fauna selvatica

Un team internazionale di scienziati sta studiando come gli animali hanno risposto alla forte riduzione delle attività antropiche durante la pandemia di Covid-19

[23 Giugno 2020]

Il nuovo studio COVID-19 lockdown allows researchers to quantify the effects of human activity on wildlife”. Pubblicato su Nature Ecology & Evolution dai ricercatori della COVID-19 Bio-Logging Initiative – recentemente formatasi sotto l’ombrello dell’International Bio-Logging Society, in collaborazione con Movebank research platform e Max Planck-Yale Center for Biodiversity Movement and Global Change –  spiega come la ricerca durante l’attuale devastante pandemia di coronavirus possa ispirare «strategie innovative per condividere lo spazio su questo pianeta sempre più affollato, con benefici sia per la fauna selvatica che per l’uomo».

In tutto il mondo, molti hanno bloccato gran parte delle attività economiche per impedire la diffusione del Covid-19 e i ricercatori guidati da Christian Rutz, del Centre for biological diversity dell’università di St Andrews e del Radcliffe Institute for Advanced Study dell’ Harvard University, hanno chiamato “antropausa” questo periodo di mobilità umana insolitamente ridotta e dicono che «Può fornire preziose informazioni sulle interazioni uomo-natura».

All’università scozzese di St Andrews ricordano che  «Negli ultimi mesi ci sono stati innumerevoli post sui social media che hanno segnalato insoliti incontri con la fauna selvatica. Osservazioni aneddotiche, in particolare delle aree metropolitane, suggeriscono che la natura ha reagito al blocco. Sembra che non ci siano solo più animali del solito, ma ci sono alcuni visitatori sorprendenti: sono stati avvistati puma aggirarsi per le strade del centro di Santiago, in Cile, e recentemente i delfini si sono presentati in acque atipicamente calme nel porto di Trieste, in Italia».

Per altre specie, la pandemia potrebbe aver creato delle difficoltà. I ricercatori fanno l’esempio di animali che si sono abituati a vivere negli ambienti urbani, come gabbiani, ratti o scimmie,  che «Possono avere difficoltà a sbarcare il lunario senza accesso al cibo umano», mentre «In aree più remote, la ridotta presenza umana può potenzialmente mettere a rischio le specie in via di estinzione, come rinoceronti o rapaci, a rischio di bracconaggio o persecuzione».

Gli autori dello studio sottolineano che «la priorità della società deve essere quella di affrontare l’immensa tragedia umana e le difficoltà causate dal Covid-19». Ma sostengono che «Non possiamo permetterci di perdere l’opportunità di tracciare, per la prima volta su scala veramente globale, la misura in cui la moderna mobilità umana influisce sulla fauna selvatica».

E’ per affrontare questo compito che i ricercatori hanno recentemente costituito la COVID-19 Bio-Liative Initiative, un consorzio internazionale che esaminerà i movimenti, il comportamento e i livelli di stress degli animali, prima, durante e dopo il lockdown del  Covid-19, utilizzando i dati raccolti da “bio-logger”, i dispositivi elettronici applicati su diversi animali.

Rutz, che è presidente dell’International Bio-Logging Society, spiega: «In tutto il mondo, i biologi sul campo hanno dotato gli animali di dispositivi di localizzazione in miniatura. Questi bio-logger forniscono una miniera d’oro di informazioni sui movimenti e sul comportamento degli animali, che ora possiamo sfruttare per migliorare la nostra comprensione delle interazioni uomo-fauna selvatica, con vantaggi per tutti».

Il team integrerà i risultati di un’ampia varietà di animali, tra cui pesci, uccelli e mammiferi, nel tentativo di creare un quadro globale degli effetti del lockdown globaleo.

Francesca Cagnacci, ricercatrice senior della Fondazione Edmund Mach di Trento e principale ricercatrice di Euromammals research network, sottolinea che «La comunità della ricerca internazionale ha risposto rapidamente al nostro recente invito a collaborare, offrendo oltre 200 dataset per analisi. Siamo molto grati per questo supporto».”

Ma cosa sperano di capire gli scienziati? Uno degli autori dello studio, Matthias-Claudio Loretto del Max-Planck-Institut für Verhaltensbiologie, è convinto  che sarà possibile rispondere a domande precedentemente irrisolte: «Saremo in grado di indagare se i movimenti degli animali nei territori moderni sono influenzati principalmente dalle strutture costruite o dalla presenza degli esseri umani. Questo è un grosso problema».

Jim Smith dell’università di Portsmouth, che non ha partecipato all’attuale studio  ha fatto invece parte del team di quello che potrebbe essere considerato il primo studio sull’antropausa: un’indagine a lungo termine sui cambiamenti nel territorio abbandonato e contaminato intorno alla centrale nucleare di Chernobyl e ha detto in un’intervista a BBC News: «Solo pochi anni dopo l’evacuazione della zona di esclusione, i ricercatori bielorussi e ucraini hanno scoperto che le specie associate all’uomo – come piccioni e ratti – stavano scomparendo, ma gli animali selvatici – cinghiale, cervo e lupo – si stavano moltiplicando. Ancora abbandonata più di 30 anni dopo, la zona è diventata un esempio iconico di rigenerazione accidentale. Con i loro grandi costi economici e umani, Covid e Chernobyl ci hanno costretto a premere il pulsante pausa al nostro danno ambientale. Far cessare del tutto alcuni di questi impatti sarà difficile, ma saremo aiutati da ciò che possiamo imparare da questi eventi estremi».

Martin Wikelski, direttore del Max-Planck-Institut für Verhaltensbiologie e ricercatore capo del Cluster of Excellence Center for the Advanced Study of Collective Behaviour dell’Universität Konstanz è convinto che «Queste intuizioni ispireranno a loro volta proposte innovative per migliorare la coesistenza uomo-fauna selvatica. Nessuno sta chiedendo che gli esseri umani rimangano bloccati permanentemente. Ma possiamo scoprire che cambiamenti relativamente minori nei nostri stili di vita e nelle nostre reti di trasporto possono avere potenzialmente benefici significativi sia per gli ecosistemi che per gli umani».

Il team di ricerca conclude: «La ricerca coordinata globale sulla fauna selvatica durante questo periodo di crisi offrirà agli esseri umani opportunità impreviste di creare una convivenza reciprocamente vantaggiosa con altre specie e di riscoprire quanto sia importante un ambiente sano per il nostro benessere».