Anche gli springhares sono bioflorescenti, ma diventano rossi e arancioni

E’ la prima biofluorescenza ben documentata di un mammifero eutero del Vecchio Mondo ed è basata sulla porfirina

[25 Febbraio 2021]

Gli springhare sono mammiferi notturni della famiglia di roditori Pedetidae, che comprende solo due specie viventi, entrambe endemiche dell’Africa: la lepre saltatrice cafra (Pedetes capensis) vive nell’Africa meridionale; e lo springhare dell’Africa orientale (Pedetes surdaster) vive in alcune aree di Kenya e Tanzania. Su tratta di erbivori notturni che vivono in aree semi-aride, animali solitari che , si riparano nelle loro tane durante il giorno. Questi elusivi roditori salterini sono ora entrati a far parte del sempre meno esclusivo club delle specie bioflourescenti, ma con una caratteristica che li distingue dalle altre: sotto la luce ultravioletta la loro biofluorescenza assume colorazioniche vanno dal rosso all’arancio e con sfumature rosa.

Infatti, lo studio “Vivid biofluorescence discovered in the nocturnal Springhare (Pedetidae)”,pubblicato su  Scientific Reports, un team di ricercatori statunitensi guidato dal Northland College, ha esaminato 14 esemplari museali di springhare: 8 esemplari di Pedetes capensis raccolti in Angola e Botswana, e 6 esemplari di Pedetes surdaster raccolti in Kenya e Tanzania. I ricercatori hanno anche osservato e fotografato la biofluorescenza su 5 esemplari viventi di Pedetes capensis  allevati in cattività all’’Henry Doorly Zoo and Aquarium di Omaha – Nebraska e in un individuo del Mesker Park Zoo & Botanic Garden a Evansville – Indiana, e dicono che «Tutti gli individui hanno mostrato una biofluorescenza da arancione a rossa, sebbene gli scienziati abbiano osservato variazioni nell’intensità della biofluorescenza tra gli individui».

Come spiega il principale autore dello studio,  Erik Olson dei dipartimenti environmental sciences e natural resources del Northland College, «La biofluorescenza, l’assorbimento di lunghezze d’onda corte della luce e la riemissione di lunghezze d’onda maggiori della luce, è stata sempre più osservata in un’ampia gamma di invertebrati, pesci, rettili, anfibi e uccell. Nell’ambioto dei mammiferi, la biofluorescenza è stata osservata negli scoiattoli volanti placentati del Nuovo Mondo, negli opossum marsupiali del Nuovo Mondo e nell’ornitorinco monotremo  di Australia e Tasmania» poi la biofluorescennza è stata osservata anche nei diavoli della Tasmania, nelle echidna e nei vombati.

Ma per quanto riguarda gli springhare c’è una novità: «Abbiamo scoperto una biofluorescenza a base di porfirina originale e vivace in Pedetidate, il che rappresenta la prima biofluorescenza ben documentata di un mammifero eutero del Vecchio Mondo – evidenzia Olson – Abbiamo osservato la fluorescenza delle singole fibre capillari elastiche e la variazione in presenza di fluorescenza all’interno delle singole fibre capillari, il che suggerisce che  la fluorescenza è distribuita attraverso lo spessore della cuticola ed è assente dal nucleo e dalle punte delle fibre capillari. Il fatto che la biofluorescenza non sia stata facilmente rimossa tramite il lavaggio e che fosse presente sui campioni museali risalenti al 1905, suggerisce che per i Peditidae la biofluorescenza è una parte dell’anatomia fisica delle fibre dei peli».

Olson e il suo team si sono imbattuti nel bagliore bioflorescente mentre analizzavano, uno dopo l’altro con una luce UV, il contenuto di cassetti contenenti resti di mammiferi conservati nella collezione di storia naturale del Field Museum di Chicago.  Ma successivamente la biofluorescenza rossa è apparsa più vividamente negli springhare vivi che negli esemplari museali, il che mostra che si degrada con il passare del tempo.

Gli autori dello studio sottolineano che «Le implicazioni ecologiche della biofluorescenza negli springhare rimangono sconosciute. Tuttavia, come altri animali biofluorescenti, sono notturni. La biofluorescenza nei mammiferi è stata rilevata principalmente nelle specie notturne-crepuscolari e sensibili ai raggi UV, e la visione UV dei colori sembra essere ecologicamente importante per molti mammiferi notturni-crepuscolari. Anche se non siamo in grado di determinare il motivo per cui i Pedetidi esibiscono la biofluorescenza, le nostre osservazioni aggiungono ulteriore supporto all’ipotesi che la biofluorescenza e le lunghezze d’onda UV della luce possano essere ecologicamente importanti per i mammiferi notturni-crepuscolari. Le nostre osservazioni suggeriscono anche che la biofluorescenza potrebbe essere distribuita in modo più ampio nei mammiferi rispetto al passato».

Itervistato da IFLScience, Olson  ha soiegato: «Ipotizziamo che, se i loro predatori sono sensibili ai raggi UV, il modello unico che abbiamo osservato potrebbe funzionare come una sorta di mimetizzazione contro i predatori. Tuttavia, c’è una possibilità che questo tratto non abbia mai avuto alcun significato ecologico. Si tratta di pura speculazione, e fino a quando non ci saranno studi comportamentali e studi che valutano la sensibilità spettrale degli springhare e dei loro predatori, sarà difficile confermarlo».

Quando il team di Olson ha condotto un’analisi chimica dei peli degli springhare, ha scoperto che dei pigmenti chiamati porfirine erano i principali responsabili della biofluorescenza degli animali. Olson ha detto a IFLScience  che la presenza di queste porfirine potrebbe anche essere un sottoprodotto di una malattia. «Negli esseri umani, la sovrapproduzione di porfirine è caratteristica di una malattia chiamata porfiria. Gli springhare potrebbero depositare o stoccare nella loro pelliccia le porfirine in eccesso, che altrimenti potrebbero causare malattie. Se questo s fosse  vero, allora gli springhare potrebbe potenzialmente aiutarci a capire meglio la malattia della porfiria».