Ambiente e guerra: la gestione sostenibile delle risorse naturali può ridurre il rischio di conflitti armati

«La protezione e la conservazione della natura dipendono in modo cruciale dal sostegno delle comunità indigene e locali e dai loro difensori ambientali»

[29 Aprile 2021]

«I Paesi in cui le risorse naturali come i terreni agricoli e l’acqua diventano scarse o degradate tendono ad essere più inclini ai conflitti». A rilevelarlo è il nuovo rapporto rapporto “Nature in a Globalised World: Conflict and Conservation” dell’International union for the conservation of nature (Icn) che esamina come l’ambiente influisce sui conflitti armati e come i conflitti a loro volta influenzano il mondo naturale e coloro che lavorano per conservarlo, concludendo che «La conservazione e la gestione sostenibile delle risorse naturali potrebbe contribuire ad aumentare le possibilità di costruire e preservare la pace». Per questo l’Iucn raccomanda «Opzioni politiche per affrontare i legami tra natura e conflitto».

Il rapporto è il primo della serie “Nature in a globalized world” e attinge da nuove analisi e sintesi della letteratura scientifica esistente. Presentandolo, il direttore generale dell’Iucn. Bruno Oberle ha sottolineato che «Il degrado della natura aumenta la probabilità di conflitti, mentre le guerre devastano non solo le vite, ma anche l’ambiente naturale. Sebbene non ci siano soluzioni semplici, questo rapporto Iucn raccomanda misure concrete per i responsabili politici per preservare la natura e contemporaneamente promuovere la pace».

Il rapporto rileva che «Il degrado della natura è associato a un aumento del rischio di conflitto». Gli autori hanno analizzato il modo in cui i conflitti armati degli ultimi 30 anni sono correlati alla disponibilità e alla produttività dei terreni coltivabili, alla prevalenza della siccità e alla percentuale della popolazione rurale di un Paese come misura della sua dipendenza dalla natura e hanno scoperto che «I Paesi sono più inclini ai conflitti quando sono disponibili meno terreni agricoli o se sono meno produttivi; quando sono più dipendenti dalle risorse naturali; o quando gli eventi di siccità sono frequenti».

Juha Siikam ä ki, economista capo dell’Iucn, fa notare che «Questi risultati suggeriscono che la conservazione, il ripristino e la gestione sostenibile delle risorse naturali possono aiutare a ridurre le pressioni che portano ai conflitti, migliorando le condizioni e la produttività del territorio. Man mano che il degrado ambientale e il cambiamento climatico si intensificano, diventa sempre più importante tenere conto dei legami tra guerra e natura nella formulazione della sicurezza, dello sviluppo e della politica ambientale».

A sua volta, un conflitto armato ha numerosi effetti negativi sulla natura. Secondo il rapporto, «Questi includono l’uccisione diretta della fauna selvatica per il cibo o il commercio, il degrado degli ecosistemi sia come tattica che come conseguenza della guerra e l’interruzione dell’attività di conservazione, ad esempio attraverso attacchi al personale dell’area protetta e ad altri ambientalisti».

Nature in a Globalised World: Conflict and Conservation” evidenzia che «I conflitti armati sono particolarmente diffusi in alcune delle regioni più ricche di biodiversità del mondo. I disordini civili e le esercitazioni militari rappresentano un rischio per oltre 200 specie minacciate, comprese specie iconiche come il gorilla orientale in pericolo di estinzione». Tuttavia, i conflitti sono meno frequenti all’interno dei confini delle aree protette di quanto sarebbe statisticamente prevedibile: «Le aree protette coprono circa il 15% del territorio, ma si sovrappongono solo al 3% degli oltre 85.000 eventi di conflitto negli ultimi 30 anni analizzati nel rapporto», dice l’Iucn.

Kristen Walker, presidente della Commission on environmental, economic and social policy dell’Iucn, ribadisce che «La conservazione, la gestione sostenibile ed equa della natura svolge un ruolo importante nella prevenzione dei conflitti e nella ricostruzione della pace. Ad esempio, sostiene i mezzi di sussistenza e il benessere delle comunità indigene e locali in tempi di pace e aiuta a ridurre il rischio di conflitti. Il rapporto va in entrambe le direzioni e la protezione e la conservazione della natura dipendono in modo cruciale dal sostegno delle comunità indigene e locali e dai loro difensori ambientali». Cioè proprio coloro che, dalla Colombia al Brasile, dall’Africa all’Asia sono più sotto attacco e pagano il più alto tributo di sangue per difendere il diritto alla terra e salvare la biodiversità autoctona.

Il rapporto raccomanda una serie di opzioni politiche che i responsabili delle decisioni per quanto riguarda conservazione della natura, costruzione della pace e organizzazioni militari possono attuare per mitigare e prevenire i conflitti armati. Queste misure includono il rafforzamento della governance delle risorse naturali attraverso misure come il processo decisionale inclusivo; migliorare la responsabilità e la trasparenza; riconoscere i diritti dei popoli indigeni e delle donne. Gli autori del rapporto raccomandano del rapporto raccomandano «L’istituzione di protezioni esplicite per lo staff delle aree protette, i difensori ambientali e altri ambientalisti e sanzioni contro coloro che commettono crimini di guerra ambientali».