L’esempio positivo dell’Indonesia e quello negativo del Messico

5,5 dollari al giorno di reddito di base per la conservazione potrebbero contenere la perdita di biodiversità

Sovvenzionare le persone che vivono nelle aree vulnerabili potrebbe costare meno degli aiuti finanziari alle industrie dannose per l'ambiente

[25 Maggio 2023]

 

Lo studio “A global conservation basic income to safeguard biodiversity”, pubblicato su Nature Sustainability da un team internazionale di ricercatori, rivela che con 5,5 dollari al giorno a persona, i governi potrebbero aiutare a proteggere gli ecosistemi fragili ed economicamente vitali e aumentare gli sforzi per conservare la biodiversità globale.

I ricercatori guidati da Emiel de Lange delle università di Edimburgo e di Oxford e del Wildlife Conservation Society Cambodia Program, spiegano che «L’introduzione di un reddito di base per la conservazione (conservation basic income – CBI) – pagamenti in contanti incondizionati dati alle persone che vivono in aree protette o accanto a specie a rischio – di 5,50 dollari  al giorno per le persone che vivono in aree protette nei Paesi a basso e medio reddito costerebbe circa 380 miliardi di sterline all’anno (437,37 miliardi di euro). I combustibili fossili e altre industrie dannose per l’ambiente ricevono circa 400 miliardi di sterline all’anno in sussidi governativi (460,39 miliardi di euro).

Il concetto di CBI è simile a quello del reddito di base universale tanto inviso alla destra italiana e globale, attraverso il quale le persone ricevono una determinata somma di denaro destinata a ridurre la povertà e migliorare il benessere. I ricercatori evidenziano che «I pagamenti potrebbero consentire alle persone di abbandonare attività e industrie che portano alla perdita di habitat, inquinamento e altre cause di perdita di biodiversità. Simili regimi di reddito garantito volti ad alleviare la povertà nei paesi a basso e medio reddito mostrano che possono anche ridurre la perdita di biodiversità riducendo attività come la deforestazione. Più di tre quarti delle persone che vivono nelle aree chiave della biodiversità del mondo si trovano in Paesi a basso e medio reddito, quindi l’uso del CBI dovrebbe essere prioritario in questi Paes».

Un team guidato dai ricercatori dell’università di Edimburgo ha utilizzato i dati pubblicamente disponibili per calcolare, in diversi scenari, i costi dell’implementazione di schemi CBI in tutto il mondo. Per ciascuno degli scenari, i ricercatori hanno utilizzato la modellazione al computer per studiare tre diverse tariffe di pagamento: una tariffa giornaliera fissa di 5,50 dollari; il 25% del PIL nazionale pro capite; tassi graduati basati sui livelli di reddito dei Paesi. I loro risultati dimostrano che «Il costo di uno schema CBI globale potrebbe variare tra  280 miliardi e  5,3 trilioni di sterline all’anno. Mentre il costo del CBI sarebbe superiore all’attuale spesa per la conservazione – circa 106 miliardi di sterline a livello globale nel 2020 – è una frazione dei 35 trilioni di sterline stimati nella produzione economica globale che dipende dalla natura».

Lo studio fa notare che «I finanziamenti per il CBI – che possono portare benefici alle persone, all’ambiente e alle economie – potrebbero essere garantiti reindirizzando il denaro pubblico che è attualmente utilizzato per sovvenzionare industrie dannose per l’ambiente».

Alcuni esempi esistono già: nel 2007, il governo indonesiano ha lanciato un programma per ridurre la povertà dando un contributo alle donne povere a condizione che mandino i loro figli a scuola e ricevano assistenza sanitaria di base. Questi pagamenti hanno avuto un sorprendente effetto collaterale: lo studio “Conditional cash transfers to alleviate poverty also reduced deforestation in Indonesia”, pubblicato su Science  nel giugno 2020 da Paul Ferraro e Rhita Simorangkir della Johns Hopkins University   ha scoperto che «Quando il denaro ha iniziato a fluire verso i vicini villaggi rurali la deforestazione è diminuita di circa il 30%» e Ferraro ha confermato che  «Modificati, ma persistenti, trasferimenti di denaro a famiglie estremamente povere possono fornire benefici sia sociali che ambientali». Ferraro e Simorangkir  pensano che la deforestazione sia se diminuita perché i modesti pagamenti – tra i 13 e i 40 dollari ogni tre mesi – erano sufficienti per impedire ai coltivatori di riso di disboscare preventivamente più terra come assicurazione contro un cattivo raccolto. Oppure queste entrate – minime per un europeo o uno statunitensa ma sostanziose per una donna povera indonesiana – hanno permesso tato le persone ad acquistare beni piuttosto che raccoglierli dalla foresta.

Qualche anno fa l’ONG Nature Needs More sveva proposto di testare il CBI nello Zimbabwe, ma il progetto è stato accantonato a causa di disordini politici nel Paese africano. E, mentre l’esempio dell’Indonesia è promettente, un programma simile in Messico  non è andato altrettanto bene: nel 2011, un team di ricercatori statunitensi ha scoperto che  quando i pagamenti per alleviare la povertà hanno iniziato ad arrivare e nelle comunità rurali, nelle vicinenze è raddoppiata la deforestazione  a causa di un aumento della domanda di carne bovina e latte. Insomma, solo perché un reddito di base è garantito non significa che sia garantito anche il modo in cui le persone reagiscono al CBI.

Come fa notare Warren Cornwall su Anthropocene, «Mentre i leader mondiali premono per proteggere il 30% degli habitat terrestri e oceanici entro il 2030, si teme che l’onere di tali sforzi possa ricadere in modo sproporzionato sulle persone che vivono vicino ai punti caldi della biodiversità , molti nei paesi più poveri. Solo per fare un esempio, diversi anni fa i boscimani indigeni San sono stati sfrattati dai tradizionali terreni di caccia in Botswana per far posto a una riserva di caccia». De Lange e il suo team cambiano questo paradigma della “conservazione colonialista” e sottolineano che «I pagamenti diretti alle persone che vivono in tali luoghi distribuiscono in modo più equo i costi e i benefici della conservazione perché i regimi di reddito di base migliorano il benessere, riducono la povertà e rimediano alle disuguaglianze», lasciando fare alle popolazioni autoctone quel che hanno fatto per secoli: tutelare il loro ambiente e le loro risorse vitali.

Nella versione più economica (351 miliardi di dollari all’anno), le persone nei Paesi a basso e medio reddito che vivono nei luoghi più ricchi di biodiversità della Terra, come le foreste pluviali nell’Africa sub-sahariana, riceverebbero pagamenti legati alla soglia di povertà nei loro Paesi. Questo equivarrebbe a 1,90 dollari al giorno nei Paesi più poveri, 3,20 dollari per i Paesi a basso reddito e 5,50 dollari per i Paesi leggermente più “ricchi”. Mentre per i Paesi emergenti sarebbero necessari almeno 21,70 dollari al giorno.

Il programma più ambizioso e costoso accumulerebbe un finanziamento annuale di 6,7 trilioni di dollari  – per arrivare fino al 25% della produzione economica nazionale pro capite – distribuiti a tutti gli 1,6 miliardi di persone che vivono sul 44% della terra considerata la più importante per la conservazione della biodiversità. Molto di più dei 133 miliardi di dollari che i Paesi di tutto il mondo spendono attualmente per la conservazione.

Da dove verrebbero tutti quei soldi? De Lange e i suoi coautori indicano una fonte: le tasse sulle attività distruttive per l’ambiente e sottolineano che «L’energia dannosa e la produzione agricola ricevono sussidi da 280 a 500 miliardi all’anno. È sufficiente per pagare 5,50 dollari al giorno a ciascuno dei 238 milioni di persone che vivono nelle aree protette nei Paesi più poveri».

De Lange conclude: «Affrontare le crisi climatiche e della biodiversità richiederà azioni ambiziose per trasformare le nostre economie e società. Il CBI è una proposta promettente per sostenere le popolazioni indigene e le comunità locali che salvaguardano la biodiversità e la terra del mondo e rimediano alle disuguaglianze globali. Il nostro studio dà numeri concreti a questa proposta, dimostrando che il CBI è un investimento ambizioso ma potenzialmente ragionevole. Il prossimo passo è realizzare programmi pilota CBI in collaborazione con le comunità indigene».