30ennale della legge sulle aree protette: il bilancio di Legambiente

Tutelato più dell’11% del territorio. Aggiornare la normativa e creare nuove aree protette per raggiungere l'obiettivo di tutelare il 30% del territorio e del mare entro il 2030

[6 Dicembre 2021]

«Trent’anni fa nasceva la legge 394/91 sulle aree protette. Una normativa che in questi 30 anni ha fatto nel complesso bene al Paese in termini di crescita di aree protette, tutela e conservazione della biodiversità e habitat, riscoperta dei territori, contribuendo a dare una spinta importante all’economia locale, alla promozione dello sviluppo sostenibile e alla creazione di nuovi posti di lavoro nel settore turistico e nell’economia green». E’ quanto emerge dalla fotografia scattata da Legambiente nel report “La Legge Quadro sulle Aree naturali protette compie 30 anni” dedicato alle legge 394, nel quale  fa un bilancio, con numeri alla mano, di questi 30 anni indicando anche criticità e sfide future da affrontare.

In occasione del 30ennale della legge 394, Legambiente con la sua campagna Unfakenews smonta tre bufalei ambientali ricordando che: 1) Non è vero che i parchi nazionali impediscono lo sviluppo economico. Nei 24 Parchi nazionali italiani, che interessano circa 1,5 milioni di ettari, pari al 5,1% del territorio nazionale, sono presenti 328mila imprese, di cui il 13,1% sono imprese giovani (under 35) e il 26,8% imprese femminili. Queste realtà sono una parte importante delle imprese della green economy, che impiegano oltre 3 milioni di lavoratori e generano un valore aggiunto di oltre 100 miliardi di euro, pari al 10,6% dell’intera economia del nostro Paese. 2) Non è vero che nessuno vuole i Parchi nel proprio territorio. I comuni dei soli Parchi nazionali sono 550, per una popolazione di 706.058 abitanti. Di questi nessuno preme per uscirne, mentre ci sono Parchi che hanno allargato i loro confini. 3) Se nasce un Parco non si potrà più fare agricoltura. Falso. 752.400 ettari di territorio dei Parchi nazionali (il 50,9% del totale nazionale) è interessato da attività agricole con 55.000 occupati diretti e una diffusione di imprese agricole del 21,4% (a livello nazionale è il 13%). L’agricoltura dei Parchi è un modello di efficacia e competitività per i piccoli produttori che hanno saputo rispondere alla nuova richiesta dei consumatori, i quali sempre di più preferiscono produzioni biologiche e a basso impatto.

Il Report ricorda che «Più dell’11% del territorio nazionale è oggi sottoposto a tutela: la legge 394/1991 ha garantito nella Penisola la crescita della aree protette che sono passate dal 3% all’11%.  Si tratta di uno dei sistemi nazionali di tutela della natura più consistente dell’Unione Europea, dove la media dei territori protetti è del 5%». La superficie protetta in Italia è il doppio della media europea e conserviamo la gran parte del patrimonio di biodiversità (1/3 della fauna e il 50% delle specie floristiche del continente europeo, in territori che non sono wilderness ma contengono oltre 800 mila imprese che operano nei settori dell’agricoltura, pesca, zootecnia, foreste e turismo (bioeconomia). L’Italia in totale conta 871 tra parchi e riserve (nazionali, regionali e locali) e aree marine con oltre 5milioni di ettari di territorio protetto a terra e a mare, e copre una percentuale dell’11% del territorio nazionale, coinvolge tutte le regioni e 2.500 comuni (la gran parte piccoli o piccolissimi) con una popolazione complessiva di 10 milioni di cittadini residenti.

La legge ha, inoltre, permesso la nascita dell’Ente parco come un nuovo soggetto istituzionale autonomo – oggi sono quasi 200 –; ha consentito di riscoprire territori di pregio fino ad allora marginali che hanno ritrovato interesse e ricevuto risorse pubbliche per invertire le dinamiche di sviluppo. Ad esempio l’istituzione dei Parchi nazionali ha fatto emergere nuove geografie territoriali sconosciute (es. il Cilento o i Monti Sibillini), fatto emergere realtà fino al 1990 conosciute per fatti negativi (es. Aspromonte per i sequestri, l’Asinara per il carcere), invertito la tendenza al degrado e abbandono del territorio (es. Cinque Terre, Vesuvio). E poi ci sono i grandi successi raggiunti nella conservazione di habitat e specie e le storie di valorizzazione del territorio. Dieci le storie virtuose raccontate da Legambiente: si va, ad esempio, dalle faggete vetuste italiane – inserite nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO riconoscendo 13 siti italiani tra i beni seriali transazionali (diffusi in più paesi e nel caso delle faggete sono 18 i paesi) non solo per l’eccezionale valore universale delle faggete ma anche l’efficacia delle azioni di conservazione effettuate dalle aree protette interessate dal riconoscimento – alla tutela del camoscio appenninico salvato dall’estinzione – agli inizi del ‘900 erano 40 esemplari, oggi se ne contano circa 3.000 –  passando alla fioritura della Piana di Castelluccio tutelata dal Parco nazionale dei Monti Sibillini – grazie all’insistenza del Parco si è riusciti a prevenire e regolamentare, questa estate, i flussi turistici nella Piana. E poi i progetti di conservazione dei muretti a secco delle Cinque Terre, il Parco nazionale più piccolo d’Italia, che fanno bene al clima, al turismo e alla viticoltura di qualità per arrivare alla storia del Parco Nazionale del Vesuvio, che ha sede nel Palazzo Mediceo di Ottaviano, per anni dimora del boss della camorra Raffaele Cutolo e poi bene confiscato dallo Stato. Il Parco è presidio di un territorio per troppi anni violato dall’abusivismo edilizio e dalla criminalità organizzata».

Per Stefano Ciafani, presidente nazione di Legambiente, «Se oggi l’Italia è leader in Europa nell’impegno per la tutela della biodiversità, la presenza e diffusione di specie e habitat di interesse comunitario sul territorio e per la qualità delle aree e dei paesaggi protetti il merito è certamente della legge 394/91 che ha saputo “regolare” le esigenze di conservazione della natura con quelle di crescita sostenibile di un complesso sistema di ambiti territoriali protetti. Trent’anni fa noi di Legambiente avevamo visto giusto nel chiedere con forza la creazione di un sistema di aree protette nel Paese e di scommettere sui parchi per tutelare e creare sviluppo, per alimentare quella rete di piccola imprenditoria fatta di produttori agricoli e artigianali di qualità, guide ed educatori ambientali, operatori del turismo slow e quanti altri hanno presidiato anche in questi anni complicati, territori tanto straordinari quanto difficili e marginali. Ora è importante continuare a percorrere questa strada che si è intrapresa, ricordando che la transizione ecologica passa anche da qui. Per questo sarà fondamentale coinvolgere i territori, a partire dalle aree interne, e le comunità locali. Non dimentichiamo che la rete dei parchi ha garantito la tenuta fisica di tanta parte del nostro territorio, nella lotta alle frane e al dissesto idrogeologico, ma anche la tenuta sociale, quel livello cioè di coesione fatto di piccole comunità che continuano ad abitare e a rendere produttivi i luoghi più belli del nostro Paese».

Secondo il Cigno Verde il bilancio  di questo 30ennale della legge 394/91 è nel complesso positivo, ma  «Non bisogna dimenticare alcune criticità come il mancato aggiornamento in questi anni della normativa, la cui riforma è stata interrotta nel 2018. Assenza di modelli partecipativi, scarse risorse tecnico-scientifiche, disomogeneità di fondi e organici tra i parchi nazionali e le altre aree protette sono i punti dolenti di una normativa che deve essere al più presto rivista».  La modifica e l’aggiornamento della legge 394/91 è una necessità evidenziata da più parti, dalla fine degli anni ’90, e un obiettivo che negli anni si è provato a raggiungere ma senza risultati positivi: la discussione sulla riforma organica della legge è iniziata nel 2009 ma è fallita nel 2018, nel mentre per Legembiente «Ci sono stati parziali aggiustamenti fatti autonomamente del Governo e del Parlamento, con modifiche non sempre coerenti e senza nessun coinvolgimento o dibattito nella società, in particolare la governance, che ha visto la riduzione da 12 a 8 i componenti del consiglio direttivo, e la modifica della procedura di nomina del presidente e del direttore, ma senza toccare i nodi veri utili a sanare alcune mancanze della legge dovute al tempo che passa».

Per Legambiente, «E’ fondamentale aggiornare la normativa che risente del tempo e delle nuove competenze che si vogliono affidare ai parchi (le funzioni che avevano le province nelle politiche di area vasta, la gestione dei siti natura 2000, la sorveglianza dopo l’accorpamento del Corpo Forestale dello Stati nell’Arma dei Carabinieri ad esempio), per poter gestire al meglio i successi nel campo della conservazione della biodiversità (si salvano dall’estinzione i camosci ma cresce anche la presenza di cinghiali e di altre specie invasive), per promuovere l’agricoltura biologica e frenare il consumo di suolo e produrre beni e prodotti agricoli riducendo le emissioni in atmosfera e il consumo di risorse naturali».

Un capitolo particolare dovrà essere dedicato alle aree marine protette, colmando un gap d’attenzione già presente nella formulazione originaria della legge quadro. «Non dimentichiamo  – evidenzia Legambiente – che l’Italia oggi dispone della più importante e più estesa rete di aree marine protette del Mediterraneo, con una varietà di ambienti e di eccellenze che spazia dal parco archeologico sommerso di Baia e Gaiola alle ultime dune dell’Adriatico, dai graniti paleozoici e le praterie di Posidonia di Tavolara al coralligeno di Porto Cesareo. Infine in questo processo di aggiornamento della normativa sarà fondamentale garantire una partecipazione e un dibattito pubblico attraverso la terza Conferenza nazionale delle aree protette che chiediamo da anni di realizzare.

E poi c’è l’urgenza di creare nuove aree protette per raggiungere l’obiettivo di tutelare il 30% del territorio e del mare entro il 2030 come chiesto dall’Europa. Per questo oggi l’associazione ambientalista ha organizzato una serie di flash mob territoriali, dalla Lombardia alla Sicilia, per chiedere l’istituzione di 52 aree naturali protette, di cui 26 nuove nella Penisola e altre 26, tra Parchi nazionali e Aree marine protette, in fase istitutiva da tempo di cui si sollecita una rapida conclusione dell’iter.

Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente, conclude: «La riforma della legge deve ripartire da qui: riconnettere le comunità locali con la natura, la bellezza e la biodiversità, sentendosi allo stesso tempo protagoniste dell’enorme sforzo nazionale e globale che l’Italia e l’intera umanità devono compiere per impedire l’estinzione di massa della biodiversità e il riscaldamento del pianeta, per salvare la casa comune della quale le aree protette sono le fondamenta sempre più indispensabili. Altra sfida importante riguarda l’istituzione di nuove aree protette, come ci chiede da tempo la scienza e l’Europa, per raggiungere l’obiettivo di tutelare il 30% del territorio e del mare entro il 2030. Più biodiversità contro la crisi climatica è un obiettivo raggiungibile e alla portata del nostro Paese, a condizione che si vada oltre le enunciazioni di principio e si proceda in maniera concreta e con la convinzione necessaria. Per questo oggi Legambiente in molte regioni d’Italia ha organizzato una serie di flash mob territoriali proprio per chiedere ciò. Inoltre l’11 dicembre, saremo a Scerni, in provincia di Chieti, con il Forum Appennini per parlare del ruolo strategico che la dorsale appenninica riveste e della road map da mettere in campo da qui ai prossimi anni».