Biggeri: «Le matrici animali sono di gran lunga più contaminate rispetto a quelle vegetali»

Veneto, l’inquinamento da Pfas negli alimenti è più esteso del previsto

Greenpeace: «D’altra parte cosa possiamo aspettarci dal governo di una Regione che ha fatto dell’inerzia il suo mantra?»

[25 Novembre 2021]

Lo studio “Sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) negli alimenti dell’area rossa del Veneto”, realizzato da ricercatori delle Università di Firenze e Padova, col contributo di Greenpeace e dal comitato delle Mamme No Pfas, mostra che la presenza di questi inquinanti negli alimenti provenienti dalla zona rossa – l’area del Veneto più contaminata da Pfas – non è uniforme nei vari Comuni

Oltre all’area del plume di contaminazione (la parte dell’acquifero sotterraneo che trasporta le sostanze inquinanti), centrata su Lonigo, anche i prodotti animali e vegetali prelevati lungo la direttrice del fiume Fratta, nei comuni di Montagnana, Bevilacqua e Terrazzo, mostrano infatti elevate probabilità di essere contaminati.

La ricerca si basa sui dati ufficiali della Regione Veneto che nei mesi scorsi le Mamme No Pfas e Greenpeace avevano ottenuto con una richiesta di accesso agli atti.

«Si conferma una contaminazione diffusa negli alimenti provenienti dall’area rossa che pone importanti interrogativi sulle modalità con cui questa distribuzione si è determinata – spiega il co-autore della ricerca Annibale Biggeri, professore ordinario di Statistica medica dell’Università di Firenze – Le matrici animali sono di gran lunga più contaminate rispetto a quelle vegetali e mostrano una differente presenza delle singole molecole: informazioni preziose per disegnare correttamente le future campagne di monitoraggio».

Dallo studio, i cui esiti dipendono in larga parte dai criteri geografici che hanno guidato il campionamento effettuato dalla Regione e dal ricevimento, solo parziale, degli esiti analitici, emerge che le concentrazioni di Pfas negli alimenti non solo differiscono in base alla matrice alimentare considerata, ma anche per tipo di molecola. Nei prodotti di origine vegetale, infatti, sono più presenti i Pfas a catena corta (Pfba, Pfpea e Pfhxa). Al contrario, nei prodotti di origine animale risultano più abbondanti i composti a catena lunga.

«È paradossale che ancora una volta siano Greenpeace e le Mamme No Pfas a svolgere il ruolo che spetterebbe agli enti preposti, appellandosi agli scienziati per cercare di comprendere appieno come i Pfase si distribuiscano negli alimenti provenienti dai comuni dell’area rossa – dichiarano in una nota congiunta l’associazione ambientalista e il comitato – D’altra parte, che cosa possiamo aspettarci dal governo di una Regione che a partire dal 2017, anno dell’ultimo monitoraggio, non è stato in grado di analizzare alcun nuovo campione e ha fatto dell’inerzia il suo mantra? Ci auguriamo che il nuovo monitoraggio, promesso di recente da alcuni funzionari regionali in seguito alle nostre denunce, tenga conto delle gravi criticità che interessano gli alimenti provenienti da tutta l’area attraversata dal fiume Fratta, e non solo dal tratto che ricade nella zona rossa».