La crisi climatica si abbatte (anche) sulle api: a rischio il miele toscano

Cia: «Lo scorso anno la produzione non c’è praticamente stata, e le previsioni per l’annata 2020 non sono per niente positive»

[11 Febbraio 2020]

La crisi climatica in corso non risparmia ovviamente la Toscana, dove il 2019 è stato il quinto anno più rovente dal 1955 e quest’inverno «eccezionalmente caldo» non dà tregua: anomalie che flagellano anche le api e la conseguente produzione di miele, che si attesta ormai a livelli drammatici rispetto all’andamento storico. Come spiegano infatti dalla Cia – Agricoltori Italiani della Toscana, dopo l’annus horribilis 2019 con le produzioni che sono precipitate (fino al -85%), anche l’annata in corso non promette bene a causa di un inverno mite che farebbe presupporre una primavera fredda.

«Le previsioni per l’annata 2020 non sono per niente positive – sottolinea Franco Masotti, presidente Gie Apicoltura della Cia Toscana – con un andamento climatico con un inverno con temperature superiori alla media, farebbe prevedere una stagione come quella passata quando il freddo è arrivato ad aprile e maggio, danneggiando irreparabilmente la fioritura di piante ed alberi. Lo scorso anno la produzione non c’è praticamente stata in Toscana ed in Italia, dobbiamo sperare che nonostante un inverno caldo il grande freddo non venga a primavera inoltrata». Con il freddo in primavera, inoltre, le api non escono dalle arnie e gli apicoltori devono intervenire per nutrirle, con un forte aumento dei costi di produzione, in particolare per chi fa nomadismo visto che deve aggiungere i costi del gasolio. «Minore produzione (di miele, ma anche propoli, pappa reale) significa apicoltori che smettono l’attività – aggiunge Masotti –, e quindi meno api, perché senza gli apicoltori non ci sarebbero nemmeno le api. C’è bisogno che la politica a livello europeo faccia un passo in avanti, qualcosa si è mosso (stop ad alcuni neonicotinoidi) ma serve di più».

In Toscana gli apicoltori censiti sono 5.800, con 100mila alveari presenti in anagrafe, equamente ripartiti tra stanziali e nomadi; il 65% sono produttori in autoconsumo e detengono il 15% degli alveari, mentre il restante 35% gestisce a fini produttivi l’85% del totale delle colonie.

«Oltre ad annate che possono essere climaticamente negative e con poca produzione, come l’ultima – commenta Luca Brunelli, presidente Cia Agricoltori Italiani della Toscana -, il settore deve fare i conti con la concorrenza del prodotto estero che merita molta attenzione non solo nei confronti degli agricoltori produttori di miele ma anche verso i consumatori. E’ necessario avere regole più attente a tutela del reddito e della competitività delle aziende, partendo dalla definizione di miele fra Europa e Cina».