Oltre 25 milioni le tonnellate prodotte ogni anno, per un valore di 6,4 miliardi di dollari

C’è altro oltre il sushi: boom dell’industria mondiale delle alghe

Ma se vuole essere sostenibile deve imparare le lezioni dell’agricoltura e dell’acquacoltura

[6 Settembre 2016]

Secondo il rapporto “Safeguarding the future of the global seaweed aquaculture industry”, pubblicato dall’università delle Nazioni Unite e dalla Scottish association for marine science (Sams), le alghe stanno trovando un numero sempre maggiore di utilizzi:  dal cibo e fertilizzanti ai prodotti farmaceutici e ai gel industriali che sta portando alla rapida crescita di un’industria che però potrebbe rimanere vittima delle stesse insidie che hanno fatto fallire precedenti esperienze sia in agricoltura che nell’acquacoltura.

Avvalendosi dell’esperienza di 21 istituzioni di tutto il mondo e dell’ Institute for water, environment and health (Iweh) canadese dell’UN University e Sams ha pubblicato un policy advice  sulla fiorente e multimiliardaria industria delle alghe, perché eviti  costosi e attui le migliori pratiche, che presenta anche casi di studio eclatanti come quelli dei gamberetti e delle banane.

Gli autori fanno notare che «le fattorie di alghe producono oggi più di 25 milioni di tonnellate annue. Il valore globale del raccolto, 6,4 miliardi di dollari (2014), è superiore a quello dei limoni e limes  di tutto il mondo. L’ agricoltura delle alghe dalla  fine degli anni ’50  è cresciuta fino a diventare un’industria che offre occupazione sostenibile alle economie  in via di sviluppo ed emergenti, in particolare la Cina (che produce oltre la metà del totale mondiale di alghe – 12,8 milioni di tonnellate) e l’Indonesia (27% della produzione mondiale – 6,5 milioni di tonnellate). Altri produttori principali sono la Repubblica di Corea e le Filippine».

Tra i molti benefici ad ampio raggio del settore il rapporto cita:

Con la pesca ormai arrivata al limite delle risorse, la coltivazione di alghe aiuta a colmare un vuoto ed «è ampiamente percepita come uno dei tipi di attività di acquacoltura più favorevoli all’ambiente, in quanto non richiede alimentazione o fertilizzanti aggiuntivi», dicono gli autori. Quindi è stata attivamente promossa da iniziative dei governi, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, dove molte comunità hanno un accesso ridotto a mezzi di sussistenza alternativi o sono coinvolte in metodi di pesca distruttivi come la pesca con la dinamite.

Sempre più spesso, la coltivazione di alghe marine viene integrata con la piscicoltura intensiva per fornire nursery per specie di pesci e crostacei commerciali e per filtrare le sostanze nutrienti indesiderate, migliorare l’ambiente marino e ridurre l’eutrofizzazione. Indirettamente, la coltivazione di alghe ha ridotto la pesca eccessiva in molte regioni, fornendo alle comunità costiere mezzi di sostentamento alternativi. In alcuni posti, le donne sono diventate economicamente attive  per la prima volta.

La maggior parte delle alghe prodotte viene utilizzata per il consumo umano, gran parte del resto  come additivi nutriente per mangimi o come fertilizzanti. Negli ultimi dieci anni, la coltivazione di alghe marine ha visto una rapida espansione grazie alla crescente domanda per la produzione di prodotti farmaceutici, nutraceutici antimicrobici, così come per le applicazioni biotecnologiche. Oggi le alghe vengono utilizzate per produrre alcuni dentifrici, prodotti per la cura della pelle e cosmetici, vernici e prodotti industriali, tra cui adesivi, coloranti e gel. Le alghe vengono utilizzate anche per combattere l’erosione delle spiagge.

Gli autori del rapporto avvertono che «Tuttavia, la rapida espansione di qualsiasi industria può portare a conseguenze ecologiche e sociali impreviste». Gli esempi non mancano: le comunità che dipendono da una sola coltura per il loro sostentamento diventano altamente vulnerabili ad un possibile focolaio di malattia, come è accaduto nelle Filippine tra il 2011 e il 2013, quando un batterio che sbianca i rami di una specie di alghe pregiate ha  causato una perdita devastante per le comunità coinvolte, stimato in oltre 310 milioni di dollari. La principale autrice dello studio, Elizabeth J. Cottier-Cook del Sams, evidenzia che «La rapida crescita coltivazione di alghe marine a livello globale sarà un bene per il commercio e aprirà una gamma di nuovi prodotti, ma dobbiamo anche cercare di ridurre al minimo gli eventuali effetti negativi che questa industria re può avere sugli ambienti marini costieri. L’industria delle alghe deve essere sviluppata in modo sostenibile, tenendo in considerazione non solo come massimizzare i profitti, ma di mantenendo più elevati standard di biosicurezza per impedire l’introduzione di parassiti e malattie. sarà anche fondamentale sviluppare nuovi ceppi di alghe resistenti alle malattie autoctone, per quanto possibile».

Gli autori dicono che «Il settore ha bisogno di stare in guardia contro i parassiti non autoctoni e gli agenti patogeni, di promuovere la diversità genetica degli stock di alghe e di  aumentare la consapevolezza sugli errori nelle pratiche di gestione delle fattorie (ad esempio mettendo le reti per la coltivazione troppo vicine tra loro, rendendo il raccolto più vulnerabili al  trasferimento di malattie e ai disastri naturali). Inoltre, l’uso illegale di alghicidi/pesticidi, con conseguenze sconosciute, ma probabilmente pregiudizievoli per l’ambiente marino più ampio, i conflitti fra utilizzatori per le preziose risorse costiere e la crescente insoddisfazione per i prezzi bassi per i  raccolti, possono tutti avere come  risultato impatti negativi per l’industria».

Gli esperti fanno notare che la domanda crescente deve fare i conti con l’ambiente marino e la competizione per lo spazio marittimo (energie rinnovabili, acquacoltura, pesca…) e che questo richiede un  nuovo coordinamento e la cooperazione tra i vari utenti, un approccio di gestione ecosistemico e la pianificazione dello spazio marittimo per l’acquacoltura, insieme a regolamenti che proteggano l’ambiente marino in generale. Nidhi Nagabhatla,dell’ Iweh, fa notare che «C’è una domanda sempre crescente di interventi nell’ambiente marino attraverso l’energia rinnovabile, l’acquacoltura tradizionale, la pesca  ei trasporti, per cui dobbiamo garantire che qualsiasi nuova industria lavori accanto a questi settori al fine di preservare e anzi migliorare, la salute del nostro oceani».

In poche parole, secondo il rapporto, i punti chiave per l’industria alghe sono: Biosicurezza: impedire l’introduzione di malattie e parassiti alloctoni e agenti patogeni; Investire nella valutazione del rischio e nella diagnosi precoce delle malattie; Costruire il know-how e la capacità dell’industria; Pianificazione Cooperativa per anticipare e risolvere i conflitti tra gli interessi in competizione per risorse marine costiere finite; Stabilire le politiche e le istituzioni di gestione a livello nazionale e internazionale