Quale governance per le utility italiane?

Valotti (Utilitalia): «Una buona governance vuol dire aziende più efficienti e quindi migliori servizi ai cittadini»

[27 Giugno 2019]

Per i servizi pubblici, che sia nel comparto dell’acqua, dei rifiuti, dell’elettricità o del gas, la prima esigenza per il cittadino-consumatore come per l’ambiente che ci offre risorse o assorbe i nostri impatti, è la stessa: godere di un servizio efficace ed efficiente, che sappia rispondere ai bisogni senza sprechi. E questa qualità del servizio, come spiega Giordano Colarullo – direttore generale di Utilitalia, la federazione nazionale che riunisce le aziende di settore, dove gli azionisti sono soggetti pubblici in circa l’80% dei casi – passa «necessariamente attraverso delle imprese che hanno effettivamente capacità di fare impresa, di governance». Ovvero? Per riflettere su quale sia la governance migliore per le utility italiane, Utilitalia ha presentato oggi a Roma la ricerca “La corporate governance nelle public utilities italiane”, messa a punto dall’Università Bocconi. «Con oggi apriamo un nuovo filone di lavoro, al focus tradizionale affianchiamo analisi più introspettive su cosa possiamo fare tutti noi – spiega il presidente di Utilitalia Giovanni Valotti – un ruolo che Utilitalia vuole avere è anche quello di mettere sul banco, presentare analisi approfondite e fare proposte di miglioramento».

Innanzitutto, il panorama delle aziende dei servizi pubblici nel nostro Paese – spiega lo studio, che offre una mappa sistematica su un campione di 367 imprese associate Utilitalia – mostra una duplice connotazione in base al livello di aggregazione territoriale: ci sono imprese di medie e piccole dimensioni che operano maggiormente a livello locale in un unico settore (il 68% sono mono-utility), con capitale interamente pubblico; sull’altro versante, imprese miste a prevalenza di capitale pubblico che mostrano una maggiore tendenza all’aggregazione territoriale, hanno abitualmente un fatturato più alto, un numero maggiore di dipendenti e sono in grado di diversificare la propria attività. Le imprese di maggiore dimensione garantiscono economie di scala e migliori prestazioni in termini di efficienza ed efficacia.

Lo studio racconta di come i Cda di queste imprese abbiano una composizione del board di medie dimensioni, una forte tendenza ad accentrare le funzioni direttive in poche figure di leadership (ad e presidente), con particolare rilievo per la figura del presidente che nel 52% dei casi è dotato di deleghe e poteri esecutivi. La valutazione delle variabili “demografiche” registra alcuni elementi: la necessità di incrementare la presenza di donne nel board (la media è del 30%) anche perché il dato scende ancora di più nel caso dell’amministratore unico (7%); un forte legame degli amministratori con il territorio in cui opera l’impresa (circa l’80% risiede nella provincia di attività); la recente tendenza all’introduzione di figure nuove all’interno del board – la seniority media è di circa 2 anni – sintomo di un’esigenza di rinnovamento anche se non viene associata una riduzione dell’età media degli amministratori (superiore ai 52 anni).

L’identikit delle imprese della federazione offre anche alcune evidenze sul rapporto con i controlli esterni, in particolare con l’ente pubblico di riferimento che risulta essere particolarmente pervasivo e si estende a differenti aspetti della vita di impresa, non solo strategici ma anche organizzativi, con riguardo ad esempio alle politiche del personale; questo però non si traduce in situazioni di conflitto o in ingerenza sull’autonomia manageriale, anche nel caso di società in house. «I controlli esterni – spiega la ricerca – vengono percepiti come particolarmente onerosi, soprattutto quelli di natura amministrativa e legale, l’Anac in primis». Per conto, le imprese hanno rafforzato i propri sistemi di controllo interno, con maggior riguardo al controllo di gestione e al ruolo dell’organismo di vigilanza.

In definitiva, per quanto riguarda la “ricetta” di Utilitalia per la buona governance, la federazione ritiene necessario da una parte ridefinire gli ambiti di intervento del proprietario pubblico con riferimento alle scelte di pianificazione e indirizzo strategico dell’attività d’impresa, dall’altra limitare il numero e la pervasività dei controlli esterni e attuare un processo di semplificazione normativa. «Un modello di governance strutturato, moderno, efficiente è il primo elemento per l’autonomia delle aziende», osserva Valotti.

Inoltre, rafforzare la componente esecutiva all’interno del board per valorizzare le capacità manageriali ai vertici d’impresa, superare i vincoli sulla remunerazione dei vertici delle aziende pubbliche per dare un ulteriore stimolo al processo di managerializzazione delle figure di leadership per attrarre le migliori competenze. Dalla ricerca emerge anche come sia fondamentale diffondere una cultura aziendale sempre più orientata al risultato, così come riscrivere il concetto di trasparenza con particolare attenzione al valore generato e a quello distribuito; e riflettere sulla composizione del Cda, diversificandolo con l’inclusione di un maggior numero di amministratori donne, di giovani e non necessariamente legati al territorio in cui opera l’impresa. «Una buona governance – ha spiegato il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti – vuol dire aziende più efficienti e quindi migliori servizi ai cittadini. Dalla ricerca emerge come il comparto stia evolvendo verso forme societarie più mature: una trasformazione che è fondamentale per restare al passo con i tempi».