Si consuma meno acqua ma se ne disperde di più

Istat, in Italia rete idrica colabrodo: «Si perde il 42% dell’acqua immessa in rete»

Si tratta di 156 litri al giorno per abitante. Quanto basterebbe a soddisfare ogni anno le esigenze idriche di circa 44 milioni di persone

[10 Dicembre 2020]

L’acqua è un bene sempre più prezioso in tempi di siccità e crisi climatica, ma se in Italia ne consumiamo di meno paradossalmente ne sprechiamo di più a causa di una rete idrica che si fa più vecchia ogni anno che passa: è quanto emerge dal report Istat sul Censimento delle acque per uso civile, pubblicato oggi con dati 2018.

Secondo i dati raccolti da Istat il volume di acqua per uso potabile prelevato, per gli usi domestici, pubblici, commerciali, artigianali, nonché industriali e agricoli che rientrano nella rete comunale, è pari a 9,2 miliardi di metri cubi l’anno. E se è vero che partire dal 2008 i consumi idrici nei comuni italiani registrano una diminuzione costante riconducibile a molteplici fattori, nel 2018 per la prima volta in vent’anni a diminuire sono anche i prelievi di acqua per uso potabile (-2,7% sul 2015). Al contempo però cresce l’acqua che buttiamo via, perché neanche arriva al nostro rubinetto: nel 2018, il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua, calcolato come differenza tra i volumi immessi in rete e i volumi erogati, è pari a 3,4 miliardi di metri cubi».

Complessivamente si perde il 42,0% dell’acqua immessa in rete. Rispetto al 2015 si registra così un leggero incremento delle perdite totali percentuali di rete, pari a circa mezzo punto (erano il 41,4%), a conferma della «grave inefficienza dell’infrastruttura idropotabile.

«Nello specifico – argomenta Istat –  le perdite totali si compongono delle seguenti tipologie: una parte fisiologica, che incide inevitabilmente su tutte le infrastrutture idriche, che varia generalmente tra il 5% e il 10%; una parte fisica associata al volume di acqua che fuoriesce dal sistema di distribuzione a causa di vetustà degli impianti, corrosione, deterioramento o rottura delle tubazioni o giunti difettosi, componente prevalente soprattutto in alcune aree del territorio; una parte amministrativa, che determina anche una perdita economica per l’ente, legata a errori di misura dei contatori (volumi consegnati ma non misurati, a causa di contatori imprecisi o difettosi) e ad allacci abusivi (volumi utilizzati senza autorizzazione), stimata intorno al 3-5%. La presenza di perdite è anche direttamente proporzionale al numero di allacci e all’estensione della rete. In riferimento all’acqua prelevata dalle fonti di approvvigionamento, le perdite idriche totali in distribuzione ne rappresentano una quota pari al 37,2%».

In altre parole in Italia la dispersione in rete è quantificabile in 156 litri al giorno per abitante. Stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, per Istat il volume di acqua disperso nel 2018 soddisferebbe le esigenze idriche di circa 44 milioni di persone per un intero anno.

Una situazione oggettivamente drammatica che appare legata a doppio filo ai modelli di gestione presenti lungo lo Stivale, evidentemente ancora molto lontani da modelli di efficienza industriale. Mentre l’acqua è da sempre un bene comune, il dibattito sulla risorsa idrica si è accapigliato in questi anni attorno a un’interpretazione distorta del referendum “sull’acqua pubblica” del 2011, mentre ad oggi i principali problemi legati alla dispersione idrica riguardano proprio gli enti locali perché sono loro – nella stragrande maggioranza dei casi – a gestire direttamente sia la risorsa sia l’infrastruttura: «I gestori che operano in Italia nel campo dei servizi idrici per uso civile nel corso del 2018 sono 2.552; nell’83,0% dei casi si tratta di gestori in economia (2.119), ovvero enti locali, e nel restante 17,0% di gestori specializzati (433)», come precisa l’Istat. Sottolineando che «sebbene il numero di gestori attivi nel settore si sia molto ridotto (7.826 nel 1999), persiste una spiccata parcellizzazione gestionale», che evidentemente non aiuta a ridurre le perdite di rete.

Come messo recentemente in evidenza nel corso del Forum sul servizio idrico sostenibile organizzato da Legambiente, per colmare il gap infrastrutturale accumulato nei decenni passati sono necessari ingenti investimenti, il cui finanziamento e la cui concreta realizzazione sul piano tecnico possono essere assicurati solo da soggetti industriali qualificati. Anche (ma non solo) di proprietà totalmente pubblica, l’importante è che a contare siano l’efficienza è la possibilità di investire. Come ricordato nell’occasione dal vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo, gli investimenti delle utility che 10 anni fa si attestavano sui 0,5 miliardi annui, oggi ammontano a 3 miliardi annui e potrebbero salire a circa 30 miliardi nei prossimi 5 anni: occorre proseguire su questa rotta. Rapidamente però, perché nel mentre – come appare evidente dai dati Istat – la rete idrica nazionale continua a sbriciolarsi sotto il peso degli anni.

L. A.