Muroni: «Si tratta di una manovra che colpisce per quello che non c’è»

Tutto quello che (non) c’è per lo sviluppo sostenibile in legge di Bilancio

Al Parlamento bastano 4 pagine per sintetizzare gli interventi su ambiente, energia e territorio. Torna la decrescita, ma non sarà felice

[31 Dicembre 2018]

Con 313 voti a favore e 70 contrari raccolti alla Camera, la legge di Bilancio gialloverde è stata definitivamente approvata sull’onda di aspre critiche: la manovra prende vita spinta esclusivamente dalle forze di maggioranza M5S e Lega a colpi di fiducia, con i voti contrari di Forza Italia e FdI mentre Pd, Leu e +Europa non hanno partecipato alla votazione per protesta a causa di un dibattito parlamentare pressoché assente.

Di certo il testo finale della legge di Bilancio non brilla per chiarezza: in barba a ogni sbandierata volontà di semplificazione sulle pagine del Parlamento è possibile consultare il ddl così come configurato al 23 dicembre dopo le modifiche – radicali, a seguito del confronto con Bruxelles – del Senato (820 pagine), insieme alla seconda nota di variazioni (altre 734 pagine). Difficile raccapezzarsi? Dal Parlamento il 27 dicembre aiutano con un agile bigino in due volumi (rispettivamente da 351 e 396 pagine per passare in rassegna 19 articoli di legge, il primo dei quali composto da 1.143 commi), oltre a un quadro di sintesi degli interventi (119 pagine).

Neanche il Parlamento ha avuto modo di discutere i provvedimenti che è stato chiamato a votare, ma fare un primo bilancio su quelli volti allo sviluppo sostenibile purtroppo non è difficile. «Si tratta di una manovra che colpisce per quello che non c’è – sintetizza Rossella Muroni, deputata LeU ed ex presidente di Legambiente – Non punta sullo sviluppo sostenibile, non dà risposte sul fronte dell’economia circolare, non investe sulla mobilità sostenibile e addirittura taglia i finanziamenti per la cura del ferro. La sola misura sulla mobilità elettrica, quella sull’ecotassa, è un emendamento fatto male, presentato di notte che ha avuto il solo effetto di contrapporre chi teme la fine del mondo con chi teme la fine del mese. Ancora. La manovra non tocca quei 16 miliardi di euro di sussidi dannosi per l’ambiente che avrebbero potuto e dovuto essere allocati per altre finalità, non stabilizza l’ecobonus ma lo proroga di un solo anno e non tocca i canoni concessori. Non è all’altezza neanche la politica energetica», soprattutto se in parallelo si osserva che la transizione energetica del Paese è in peggioramento ormai da otto trimestri consecutivi e che gli obiettivi a medio-lungo termine per lo sviluppo delle energie rinnovabili si stanno nel mentre allontanando sempre di più.

La delusione nel mondo ambientalista è palpabile. Mentre secondo il Wwf «per l’Italia il 2018 è stato un anno in cui, spesso, alle attese non sono seguiti i fatti», Legambiente scende nel dettaglio della legge di Bilancio affermando che «non costruisce sulle politiche ambientali, energetiche e climatiche un duraturo volano di sviluppo per il Paese».

Per rendersene conto in prima persona è sufficiente dare un’occhiata alla sintesi degli interventi previsti in legge di Bilancio che ha elaborato il Parlamento: a fronte del già citato profluvio di commi di legge bastano 4 pagine (che per comodità riportiamo di seguito in allegato, ndr) per affrontare i provvedimenti dedicati ad ambiente, territorio ed energia. Un quadro del resto coerente con il “contratto di governo” stipulato a suo tempo tra M5S e Lega, che allo sviluppo sostenibile dedica solo obiettivi vaghi e neanche un risultato quantificabile.

A maggior ragione duole notare che la legge di Bilancio non favorisce neanche uno sviluppo economico tout-court, ma anzi lo ostacola: come certifica infatti Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (qui l’analisi completa, ndr), da una parte nel 2019 tornerà a salire la pressione fiscale – dal 42% al 42,4% del Pil –, dall’altra risulta già oggi palese che la legge di Bilancio «è chiaramente recessiva nel 2020-2021, lo dice anche il governo». E la colpa non è certo delle modifiche arrivate dopo la trattativa con l’Unione europea, dato che le cose stanno così almeno da quando lo stesso ministro Tria le ha esposte al Parlamento a ottobre, durante un’audizione.

La legge di Bilancio giallo-verde non è la prima a portare zero benefici economici al Paese (è il caso ad esempio della prima manovra targata Renzi, secondo le stime allora prodotte da Istat), ma dal “Governo del cambiamento” è arrivato un passo in più, o meglio un segno meno: sarà decrescita, e neanche felice.