Il discorso del premier in Senato, dove in serata si terrà il voto di fiducia

Il programma Draghi: «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta»

Con la pandemia «si è aggravata anche la povertà, gravi e con pochi precedenti storici gli effetti sulla diseguaglianza»

[17 Febbraio 2021]

Europeista, ambientalista e (almeno a parole) attento ai sempre più dolorosi gap di povertà e disuguaglianza che la pandemia sta allargando nel Paese: nel suo discorso programmatico al Senato, dove stasera si misurerà con il primo voto di fiducia, Mario Draghi sembrerebbe quasi un uomo moderno del centro-sinistra (o meglio, liberal direbbero gli americani) non fosse che nel suo Governo – visti gli equilibri politici che lo sostengono – militano sei ministri della destra moderata o della neodestra (ex?) sovranista e populista.

Saranno gli atti dell’esecutivo nascente a indicare dove penderà maggiormente l’ago della bilancia, ma oggi il premier ha mostrato almeno una visione ampia e pragmatica dei problemi che si troverà molto presto da affrontare. Non solo di breve periodo.

Draghi condensa in una frase-simbolo il suo approccio verde a questi problemi: «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta».

«Quando usciremo, e usciremo – sottolinea Draghi – dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi sia stata simile ad una lunga interruzione di corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così. Il riscaldamento del pianeta ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute, dall’inquinamento, alla fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livello dei mari che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili. Lo spazio che alcune megalopoli hanno sottratto alla natura potrebbe essere stata una delle cause della trasmissione del virus dagli animali all’uomo».

Non a caso una delle poche citazioni che si concede Draghi è quella del suo amico Papa Francesco: “Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore”.

«Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede – continua Draghi – un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane. Anche nel nostro Paese alcuni modelli di crescita dovranno cambiare».

In quest’ottica «il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi». Per farlo, la «risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create».

Ma nel frattempo occorre fare i conti anche con una crescente insostenibilità sociale, oltre che ambientale: con la pandemia, riconosce Draghi, si è anche «aggravata la povertà. I dati dei centri di ascolto Caritas, che confrontano il periodo maggio-settembre del 2019 con lo stesso periodo del 2020, mostrano che da un anno all’altro l’incidenza dei «nuovi poveri» passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che oggi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta».

E a subire queste situazioni di profondo disagio sono soprattutto le stesse categorie che risultavano più esposte prima del Covid-19. «La pandemia – continua Draghi – ha finora ha colpito soprattutto giovani e donne, una disoccupazione selettiva ma che presto potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato. Gravi e con pochi precedenti storici gli effetti sulla diseguaglianza. In assenza di interventi pubblici il coefficiente di Gini, una misura della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, sarebbe aumentato, nel primo semestre del 2020 (secondo una recente stima), di 4 punti percentuali, rispetto al 34.8% del 2019. Questo aumento sarebbe stato maggiore di quello cumulato durante le due recenti recessioni. L’aumento nella diseguaglianza è stato tuttavia attenuato dalle reti di protezione presenti nel nostro sistema di sicurezza sociale, in particolare dai provvedimenti che dall’inizio della pandemia li hanno rafforzati. Rimane però il fatto che il nostro sistema di sicurezza sociale è squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi».

Per cambiare le carte in tavola l’occasione più ghiotta restano le risorse europee previste per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): «Avremo a disposizione circa 210 miliardi lungo un periodo di sei anni. Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia», ammonisce Draghi.

La bussola sarà appunto il Pnrr. Resta da «approfondire e completare» il lavoro abbozzato dal Governo Conte entro la fine di aprile: «Nelle prossime settimane rafforzeremo la dimensione strategica del Programma, in particolare con riguardo agli obiettivi riguardanti la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e delle acque, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione 5G. Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Unione Europea intende arrivare a zero emissioni nette di CO2 e gas clima-alteranti».

Senza dimenticare che oltre agli investimenti «il Next generation EU prevede riforme», e quelle cui Draghi metterà subito mano saranno «una riforma fiscale» e «quella della pubblica amministrazione». Più che il discorso programmatico di oggi saranno questi i primi passi, insieme alla revisione del Pnrr, per misurare davvero la sostenibilità del Governo nascente.