Forum Rifiuti: «L’Italia può diventare leader dell’economia circolare europea»

Ma il governo non fa la sua parte: pesa la «mancanza di una politica nazionale che la promuova»

[7 Ottobre 2015]

«L’economia circolare in Italia è senza rappresentanza, manca politica nazionale che la promuova». La seconda edizione del Forum rifiuti, in scena oggi e domani a Roma (residenza di Ripetta), si apre all’insegna del pragmatismo con le parole di Stefano Ciafani. «Nonostante tante buone pratiche ed esperienze di successo – spiega il vicepresidente di Legambiente, l’associazione ambientalista che insieme a La Nuova Ecologia e Kyoto Club promuove la due giorni del Forum – l’Italia non riesce a superare completamente l’emergenza rifiuti. Questo settore oggi non viene considerato nelle politiche governative, e lo dimostra anche la recente pubblicazione della bozza di decreto sull’incenerimento dei rifiuti in attuazione dell’articolo 35 del decreto Sblocca Italia, che prevede 12 nuovi inceneritori in Italia e che andrebbe sostituito con un nuovo testo per promuovere l’economia circolare sul territorio nazionale».

“L’emergenza rifiuti” italiana, d’altronde, è un’idra dalla molte teste, ma tutte in chiaro. Criticità note, in molti casi le stesse da decenni. A partire dalla mancanza di una contabilità affidabile e omogenea per le raccolte differenziate sul territorio nazionale (che il decreto Ronchi, anno 1996, prevedeva allora di introdurre entro sei mesi); la ancor più oscura dinamica dei rifiuti speciali, che sono 4 volte gli urbani ma per i quali secondo il presidente dell’Ispra a oggi «la certezza dell’informazione è fondamentale un’utopia»; e via giù a scendere, dall’incertezza informativa fino alla mancanza di impianti adeguati sul territorio e (dunque) alla diffusione delle ecomafie, fino alla cattiva comunicazione nel merito ai cittadini.

In osservanza del motto che vede il pesce puzzare sempre dalla testa, si tratta però di problemi riconducibili quasi in toto a due macroaree: la mancanza di una visione olistica e la presenza di incentivi economici controproducenti rispetto agli obiettivi che si dichiara di voler perseguire.

Ad esempio: la gerarchia europea dei rifiuti prevede di puntare, nell’ordine, sulla prevenzione, il riuso, il riciclo, il recupero di energia e infine sulla discarica; l’Italia si vede d’accordo, ma in realtà i costi di conferimento sono in generale più bassi per la discarica, la termovalorizzazione è incentivata e il riciclo no, mentre non esiste una politica industriale che guidi la riduzione dei rifiuti. Paradossi che potrebbero essere sanati, ancor prima cha da una rivoluzione culturale, con una semplice riallocazione delle risorse tra gli incentivi economici in campo. Una scelta apparentemente facile, ma che si continua ad ignorare.

Un problema affrontato di petto al Forum Rifiuti, dove Duccio Bianchi sottolinea come l’Italia abbia ancora «un grosso deficit commerciale nel settore del riuso dei materiali», con lo status quo degli acquisti verdi che ne è una chiara testimonianza. Lo stesso Ciafani evidenzia come «l’Italia ha un gran bisogno di politiche e impianti per il riuso e il riciclaggio e di un nuovo sistema di incentivi e disincentivi che rendano la prevenzione e il riciclo più convenienti, anche economicamente, rispetto al recupero energetico e allo smaltimento in discarica».

Per quanto riguarda invece la mancanza di visione olistica, è il vicepresidente del Kyoto club Francesco Ferrante a portarla sul banco degli imputati. Ponendo l’accento sulla «necessità di politiche che a partire dalle migliori esperienze già presenti sul territorio puntino innanzitutto sul recupero di materia, reso possibile anche dall’innovazione tecnologica». Ma, soprattutto, spiegando che «l’uso efficiente delle risorse è la vera chiave di volta per rilanciare l’economia e permettere al nostro Paese di affrontare il futuro».

Uso efficiente delle risorse che non può voler dire concentrarsi esclusivamente sulla gestione dei rifiuti, che per quanto determinante riguarda solo le code dei flussi di materia che attraversano il nostro sistema economico. Vera economia circolare è possibile pensarla e promuoverla solo partendo da una gestione più efficiente delle risorse naturali. A livello globale, nei prossimi 15 anni altre 2 miliardi di persone faranno il loro ingresso nella classe media, aumentando i propri consumi, e se dal 1900 a oggi l’uso delle risorse naturali è già decuplicato, raddoppierà ancora al 2030. L’Italia, un Paese manifatturiero ma povero di risorse minerali, può e deve aumentare la propria produttività (oggi ferma a 2,3 euro/kg) per rimanere competitiva. Una mossa doppiamente vincente: implementando un’economia più circolare in tutta Europa, il Pil dell’area guadagnerebbe l’11% entro il 2030, dimezzando al contempo le proprie emissioni di gas serra. Una «necessità ambientale e una chance interessante sul piano economico», per dirla con Ferrante.

È ora che il nostro Paese assuma il ruolo che gli compete, all’interno di questo scenario. «L’Italia – chiosa Ciafani – può diventare leader dell’economia circolare europea». Nonostante tutto.