Causa crisi si fanno meno figli e arrivano meno migranti, ma sui giovani non si investe

Addio Bel Paese: l’Italia è sempre più vecchia e meno attrattiva, cala anche la speranza di vita

Altro che stato stazionario, siamo già in retromarcia: la nuova demografia del Paese spiegata dall’Istat

[19 Febbraio 2016]

La demografia sta cambiando volto a quello che ancora è ovunque noto come il Bel Paese: nei dati raccolti e appena diffusi dall’Istat, l’Italia s’affaccia come un paese abbruttito dalla crisi, sempre meno attrattivo per i propri cittadini come per gli stranieri – stracciando in un sol colpo la retorica dell’invasione di immigrati –, dove si fanno meno figli e dove neanche la morte riesce e fermare il progressivo invecchiamento della popolazione.

Secondo gli indicatori demografici aggiornati dall’Istat, al 1° gennaio 2016 la popolazione totale in Italia risulta infatti composta da 60 milioni 656 mila residenti, con una riduzione nel 2015 di 139 mila unità (-2,3 per mille): «Un cambiamento rilevante nel contesto storico di un Paese che, dal 1952 in avanti, aveva sempre visto aumentare la popolazione, salvo – precisa l’Istituto di statistica – una riduzione congiunturale dello 0,1 per mille nel 1986». Le cause di questo declino sono molteplici. Spicca l’andamento degli stranieri residenti in Italia, che nel 2015 sono incrementati di appena «39 mila unità», trend al quale si accompagna una riduzione della popolazione di cittadinanza italiana: 179 mila residenti in meno nell’ultimo anno.

Nel 2015 l’Italia ha subito al contempo un picco “anomalo” di mortalità, un progressivo invecchiamento della popolazione, una diminuzione della speranza di vita e una calo delle nascite. Sono infatti 653 mila i morti nel 2015, «ben 54 mila in più rispetto al 2014 (+9,1%)», con una variazione «particolarmente accentuata nei mesi freddi e caldi» che avvalora la tesi di un’influenza dei cambiamenti climatici in questo record negativo. A subire maggiormente il contraccolpo è stata la fetta più anziana (75-95 anni) della popolazione: «Mentre nelle età giovanili e adulte le differenze risultano pressoché irrilevanti – dettaglia l’Istat – l’aumento di decessi tra le classi di età dei molto anziani giustifica oltre l’85% della variazione totale». Nonostante ciò, la popolazione italiana risulta sempre più invecchiata, con gli over 65 residenti in Italia che nell’ultimo anno sono passati da 13,2 a 13,4 milioni, divenendo il 22% della popolazione.

Un invecchiamento progressivo dunque, che non è certo avvantaggiato dalla dinamica della natalità. Negli ultimi cinque anni «il protrarsi degli effetti sociali della crisi economica ha innescato una nuova fase di diminuzione della fecondità di periodo», fattore che insieme alla trasformazione strutturale della popolazione femminile in età feconda (le donne in fascia d’età 15-49 anni sono oggi meno numerose) ha portato a un nuovo record negativo nelle nascite, dopo quello già segnato l’anno scorso. 488 mila i nuovi nati nell’ultimo anno, «ben quindicimila in meno» rispetto al precedente. Si tratta di cambiamenti profondi nella struttura demografica del Paese, con i quali dovremmo fare i conti per molti decenni.

«Così come per le aziende produttive la mancanza di aspettative positive costituisce un freno agli investimenti, così le difficoltà (soprattutto lavorative e abitative) oggi incontrate dalle giovani coppie rallentano – spiega l’Istat – la progettualità genitoriale. Tali difficoltà, cui si accompagna un generale senso di precarietà in molti strati della società, stanno agendo nel verso di un’accentuazione della posticipazione delle nascite e, quando ciò avviene, il numero medio di figli per donna tende ad abbassarsi. Il fenomeno della posticipazione è ancora più accentuato se si considerano le sole cittadine italiane, le quali danno mediamente vita a 1,28 figli», con un’età media alla nascita del figlio di 32,2 anni (contro i 1,93 figli delle cittadine straniere, con 28,7 anni di media alla nascita).

Anche l’apporto di nuovi ingressi dall’estero sta diminuendo la sua spinta propulsiva, mentre sono sempre di più gli italiani che stanno lasciando il proprio Paese natale: «Il saldo migratorio netto con l’estero è di 128 mila unità – snocciola l’Istat – corrispondenti a un tasso del 2,1 per mille. Tale risultato, frutto di 273 mila iscrizioni e 145 mila cancellazioni, rappresenta un quarto di quello conseguito nel 2007 nel momento di massimo storico per i flussi migratori internazionali. Le iscrizioni dall’estero di stranieri sono state 245 mila e 28 mila i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l’estero riguardano 45 mila stranieri e 100 mila italiani».

Ma il dato che forse più di tutti riesce a riassumere pienamente il declino italiano, tra gli stati più ricchi al mondo e seconda potenza industriale d’Europa, è la diminuzione della la speranza di vita alla nascita: per gli uomini si attesta oggi a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85). In un mondo che pare destinato a ospitare entro il 2100 11 miliardi di esseri umani – se la conseguente pressione su risorse naturali ed ecosistemi non porterà prima l’umanità al collasso –, l’Italia pare destinata a diventare un Paese sempre più piccolo. I cittadini italiani non stanno collaborando a raggiungere il virtuoso obiettivo (a livello globale) di un controllo delle nascite per uno “stato stazionario”: l’Italia lo stato stazionario, per quanto riguarda l’aspetto demografico, l’ha ormai superato da un pezzo e ha anzi già innestato la retromarcia. Come spiega bene sulle nostre pagine il demografo Alessandro Rosina descrivendo questo “degiovanimento infelice” del Paese, alle nostre latitudini il focus dovrebbe piuttosto passare a investire «sia sulla quantità che sulla qualità delle nuove generazioni», un bene scarsissimo del nostro Paese ma non per questo valorizzato.