[19/04/2011] News

Fukushima. A Namie radiazioni già 17 volte sopra il livello annuo tollerabile

I contribuenti pagheranno i danni economici del disastro nucleare?

LIVORNO. Nell'ultimo mese gli abitanti della città di Namie, al di fuori della zona di evacuazione iniziale di Fukushima Daiichi, sono stati esposti a 17.000 microsieverts, circa 1,7 Rems, cioè 17 volte il livello annuo consentito negli Usa per gli esseri umani che non lavorano in un impianto nucleare. Gli abitanti di Namie sono in lista di attesa per essere trasferiti in 4 diverse città entro aprile.

Che molte cose non funzionano, mentre si cerca di tranquillizzare i cittadini giapponesi e l'opinione pubblica mondiale,  lo dimostrano anche  i dati sulla radioattività del mare davanti a Fukushima raccolti durante lo scorso fine settimana. Sono stati nuovamente riscontrati dati elevati di iodio-131 che ha solo 8 giorni di emivita, quindi questi picchi nei campioni di acqua marina non ci dovrebbero essere. Questo per numerosi esperti significa che continuano a verificarsi.

Il primo ministro giapponese Naoto Kan ha promesso di riformare profondamente la politica nucleare del suo governo (peraltro sempre più in difficoltà) dopo la crisi nucleare di Fukushima Daiichi. Ieri, intervenendo ad una commissione parlamentare, Kan ha detto che «Le cause dell'incidente nucleare di Fukushima devono essere esaminate nel dettaglio».

Il premier giapponese e il suo Partito democratico hanno sempre appoggiato l'energia nucleare (ben ripagati con generosi finanziamenti della lobby industrial-atomica), dicendo che le centrali erano totalmente sicure, ma oggi Kan dice che «Queste considerazioni non devono più intervenire perché  una riforma della politica nucleare è diventata inevitabile». Durante la riunione della commissione parlamentare il premier ha anche tirato fuori un altro scottante e irrisolto problema dell'ex supersicuro nucleare giapponese: «Il Giappone deve pensare ad un sito di stoccaggio delle scorie radioattive».

Ma il governo giapponese sembra volere tenere il piede in più scarpe: facendo finta di non capire o di non sapere quel che succede in posti come Namie, il capo di gabinetto del governo giapponese, Yukio Edano, ha assicurato che «Le persone che sono fuggite dalla zona di evacuazione intorno alla centrale potrebbero essere in grado di riguadagnare i loro domicili in sei mesi, al più presto». Edano basa il suo ottimismo sulla ancor più ottimistica road map della Tepco per mettere progressivamente sotto controllo l'intricata e per molti aspetti ancora sconosciuta situazione della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, che però prevede un tempo di 6 - 9 mesi.

Intanto in Giappone si stanno facendo i conti dei danni economici che provocherà la crisi nucleare. Ad oltre un mese dal terremoto/tsunami le fabbriche di automobili giapponesi stanno riprendendo faticosamente la produzione. Ieri la Toyota ha riaperto 14 impianti di assemblaggio, due dei quali nelle prefetture sinistrate di Iwate e Miyagi. La Nissan ha riaperti due impianti di costruzione di motori e di assemblaggio nelle prefetture di Tochigi e di Fukushima. La Daihatsu ha riaperto le sue fabbriche nelle prefetture di Osaka e di Kyoto La Honda mantiene una produzione limitata nella maggior parte dei suoi impianti. Le industrie automobilistiche hanno carenza di pezzi a causa del ritardo del ripristino degli impianti situati nelle zone sinistrate e il ritorno alla normalità , soprattutto dove ci sono problemi legati alla radioattività, non si annuncia facile.

Radio Japan ha trasmesso un lungo servizio sugli effetti della crisi nucleare sull'economia, che probabilmente avrà un impatto negativo di lungo periodo su molti settori. «Per esempio - dice la radio - anche nelle regioni dove le forniture di prodotti agricoli, principalmente di legumi, e anche di prodotti del mare non sono state sospese, i prezzi crollano e i profitti svaniscono. Alcuni Paesi pensano che anche i prodotti industriali siano contaminati dalle radiazioni ed hanno deciso di limitare le loro importazioni. Queste Nazioni accettano adesso solo i prodotti che sono stati ispezionati all'ingresso sul loro territorio, o dei prodotti accompagnati da un certificato governativo giapponese che garantisca che non sono radioattivi. Malgrado la riapertura di un numero crescente di fabbriche in Giappone, le esportazioni potrebbero non riprendere durante un certo periodo, se le voci si prolungheranno».

Insomma, lo stesso mondo degli affari (e gli stessi governi) che continuano a dirci che in Giappone non è successo praticamente nulla di grave poi si comportano come se la gravità di quello che sta succedendo a Fikushima Daiichi fosse addirittura maggiore di quella che ammettono i giapponesi.

Ma il Giappone ha ora una grossa grana che si chiama Tepco. Con le centrali nucleari chiuse la carenza di energia elettrica alla quale dovrà far fronte sarà enorme e supererà i suoi guadagni. I problemi a Fukushima potrebbero costare alla Tepco 100 miliardi di dollari. «Se i debiti della compagnia supereranno il suo patrimonio - spiega Radio Japan - senza alcun dubbio, il prezzo delle sue azioni e titoli calerà fortemente. Se il prezzo dell'elettricità aumenterà per rispondere alla crisi, questo avrà un effetto estremamente negativo sull'economia giapponese. D'altronde, se durante il dibattito  sulla revisione della politica di produzione dell'energia nucleare in Giappone, sarà reclamata una crescita delle spese legate alla sicurezza  delle centrali, tutti gli operatori dovranno assumersi i relativi costi. La questione è quella di sapere se questi costi saranno fatturati ai clienti o se li pagheranno altre fonti, in futuro sarà al centro delle discussioni».

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