[06/04/2011] News

Più Stato o meno Stato nel governo dell'economia? Domandiamoci prima la sostenibilità cosa impone

LIVORNO. Più Stato o meno Stato nel governo dell'economia di mercato. E' questo il dibattito, a distanza, che emerge dalla lettura odierna di quanto sostiene Strauss-Kahn, direttore del Fondo monetario internazionale, in un'intervista concessa a Repubblica, e l'editoriale di Luigi Zingales sul Sole24Ore. Teoricamente ci troviamo di fronte a quello che viene ritenuto «il simbolo di un nuovo pensiero economico, la rivalutazione del ruolo dello Stato nell'economia» tanto che Glenn Beck della Fox News lo ha definito «un socialista francese alla testa del Fondo monetario», contro un adepto del liberismo senza se e senza  come Zingales. Ma lo scontro, francamente, non ci pare titanico e nemmeno così sconvolgente. Almeno dal nostro punto di vista. Strauss-Kanh alla domanda/osservazione «Dalla proposta di tassare le transazioni finanziare alla denuncia contro le disuguaglianze, lei personifica una svolta nelle dottrine macroeconomiche, una riscoperta del ruolo dei governi» risponde: «Preferisco parlare di Stato anziché di governo, e includervi le banche centrali. Tutte le istituzioni della sfera pubblica devono fare di più. La crisi è stata chiaramente il risultato di una debolezza nelle regole, e ancora più di una debolezza nella supervisione; più in generale di un cattivo governo dell´economia di mercato».

Ma alla domanda successiva: «Lei ha invocato una globalizzazione più giusta. E´ ora di una marcia indietro, la riscoperta dei vantaggi del protezionismo nazionale?» risponde semplicemente che «La liberalizzazione degli scambi non è stata perfetta ma ha migliorato le condizioni di vita per centinaia di milioni di persone nel mondo. C´è meno avversione agli scambi mondiali oggi, rispetto alle manifestazioni di Seattle nel 1999. Nell'ultima crisi uno dei successi è che siamo riusciti a evitare il protezionismo». Per lui, dunque, è il protezionismo il nemico da combattere, ma su quali regole introdurre per uscire dalla crisi e impedirne di nuove così cruenti e con quale orizzonte soprattutto, non dice alcunché. Successivamente poi critica l'Ue per la mancanza di leadership, che può essere anche condivisibile, ma pure qui sul come la globalizzazione possa essere "più giusta" proprio non si capisce. Se più giusta significa, come intendiamo noi, più sostenibile socialmente e ambientalmente, capire in un'economia di mercato - perché altro non c'è - quali regole imporre agli Stati e come farle rispettare dovrebbe essere il vero nodo, ma non ci pare sia nella mente del presidente del Fondo Monetario.

Più coerente almeno a se stesso l'analisi di Zingales. Che dichiara apertamente la sua avversione alle "operazioni di sistema". E questo perché: «Innanzitutto, anche assumendo che tutti i partecipanti siano animati da puro altruismo, le operazioni di sistema rischiano di sprecare risorse. Come sta scoprendo Bill Gates con la sua fondazione, è molto più difficile fare del bene regalando soldi che investendoli. Il motivo è che quando le risorse sono investite al fine del profitto esistono dei criteri molto semplici per calcolarne la redditività ed evitare di sprecarle. Non è altrettanto vero per i fini benefici. Se l'obiettivo è sradicare la malaria in Africa o preservare il dialetto della Val Camonica, quali parametri posso utilizzare per essere sicuro che le risorse sono investite nel modo ottimale?».

Purtroppo- aggiunge -  «l'opacità intrinseca in tutte le operazioni di sistema facilita il perseguimento dell'interesse personale a scapito di quello aziendale. Perché, solo per fare un esempio, l'ultimo di una lunga lista, UniCredit si è impegnata a salvare Ligresti? È per salvare il sistema Italia o per fare un favore a un uomo potente che un domani potrà proteggere il nuovo amministratore delegato da una fine come quella subita da Alessandro Profumo? Se l'Italia è il Paese sviluppato dove più alti sono i benefici privati di controllo è proprio perché queste operazioni di sistema finiscono per tassare gli azionisti (che vedono il loro rendimento diminuito) a beneficio di chi è in controllo».

«Questo problema - spiega oltre - è ancora maggiore quando le operazioni di sistema vengono fatte sotto gli auspici (o peggio sotto la pressione) del Governo. In questo caso l'interesse non rappresentato al tavolo delle trattative non è solo quello del piccolo azionista, ma anche quello del contribuente/consumatore. Come si è visto nel caso Alitalia, la difesa della competizione e dell'efficienza economica viene immolata sull'altare dell'italianità. Una diffusione delle operazioni di sistema - conclude - trasforma un'economia di mercato in un sistema socialista, dove le decisioni economiche sono prese sulla base solo di criteri politici, o peggio clientelari, nell'interesse dell'autopreservazione di una casta ristretta di manager. Sarebbe paradossale se l'eredità dei Governi di Berlusconi, un anticomunista viscerale, fosse quella di lasciarci un'economia di stampo sovietico». Nonostante le derive padano-socialiste di Tremonti, riteniamo che al momento sia improbabile questo scenario descritto da Zingales, anche perché il vero problema nazionale è non avere alcuna idea di dove andare a battere la testa. Oggi si dice una cosa e domani se ne dice un'altra che serve soltanto per mantenere lo status quo.

L'economia ecologica, ovvero l'economia di domani (anche se vorremmo dire già di oggi) senza aggettivi, non può prescindere da regole che ne fissino i limiti socialmente e ambientalmente parlando. Non è questione ormai di ideologia è questione proprio economica: se non si limitano gli impatti dell'economia sui flussi di energia e di materia, l'economia imploderà sia essa di ispirazione liberista, sia essa di impostazione marxista o keynesiana. Dibattere ancora su più Stato o meno Stato per regolare l'economia  di mercato pare insomma, ce lo consentano gli economisti veri, una discussione datata. Il problema semmai è che l'economia finanziaria si sta mangiando l'economia reale con regole e formule e tempi tutti suoi che se infischiano delle derive accademiche, della finitezza delle risorse e dei costi sociali.

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