[01/04/2011] News

Il governo dell'ambiente - di Stefano Nespor

La politica e il diritto per il progresso sostenibile - Garzanti, 2009 Milano

"Che cosa deve sapere sull'ambiente chi vuole operare nel settore privato o nel settore pubblico in Italia o nelle organizzazioni comunitarie?"
Di certo non solo delle norme ambientali che scompaiono e appaiono con una velocità impressionante, che si stratificano l'una sull'altra. Perché la mera conoscenza delle norme non è sufficiente per avere un quadro completo della realtà. Perché conoscere solo norme serve a ben poco se non vengono collocate nel loro contesto istituzionale, economico, politico, sociale, antropologico, storico e scientifico.

Dunque, chi si occupa di ambiente oggi deve occuparsi anche di povertà, di commercio internazionale, di politica sociale e sanitaria.

Di questa opinione lo è anche Stefano Nespor - avvocato milanese, dirigente della "Rivista giuridica dell'ambiente" - che nel suo libro "Il governo dell'ambiente. La politica e il diritto per il progresso sostenibile" cerca di mettere assieme le ragioni delle regole di governo dell'ambiente.
Il suo obiettivo è quello di "realizzare un libro utilizzabile sia da coloro che desiderano approfondire la loro conoscenza senza imbattersi in troppi tecnicismi, sia da coloro che studiano nei vari corsi universitari o master oggi dedicati all'ambiente".

Dunque l'autore parte con l'illustrare le regole di governo dal secondo dopo guerra soffermandosi in particolare sullo scenario internazionale. Una scelta presa sulla base della convinzione che "è questo il luogo dove possono essere tracciate le tendenze di lungo periodo dotate di stabilità diversa da quella che siamo abituati a prendere in considerazione in una prospettiva puramente nazionale, dominata da logiche contingenti di politica spicciola o da colori elettorali".

Uno scenario vasto che ha portato l'autore comunque a restringere il campo trattato utilizzando due chiavi di lettura ossia il rapporto tra paesi ricchi e quelli poveri e il rapporto tra ambiente e sviluppo.
Del resto il diritto ambientale si trova a dover fare i conti con incessanti modifiche della realtà dato dall'impatto umano sull'ambiente.

La conoscenza del "mondo" nel corso degli anni cambia: si assiste a una continuo crescita di informazioni scientifiche provenienti dai vari settori (chimica, scienze naturali, medicina ecc...) e a una continua produzione di innovazioni tecnologiche che coinvolgono l'ambiente e che richiedono nuovi interventi di disciplina. Ma si assiste anche a un aumento della popolazione (oggi più di sei miliardi di individui, domani almeno altri due miliardi in più) e a un crescente aumento del numero delle migrazioni da paesi poveri verso quelli più ricchi.

L'abbandono dell'habitat di residenza può anche essere indotto solo da fattori naturali e climatici, ma più spesso è provocato da una molteplicità di ragioni che attengono comunque alla ricerca di migliori condizioni di vita. Però, la povertà che induce le persone a migrare dipende spesso dal degrado ambientale.

Il tema della povertà, dunque, non può essere trascurato da chi si occupa di ambiente. Perché la povertà, la salute o l'impiego delle risorse sono strettamente collegate alla tutela dell'ambiente.
Non a caso già nel 1987 il rapporto Our common future ha coniato uno slogan divenuto assai noto:"La povertà genera degrado ambientale, il degrado ambientale genera povertà".

Se ciò è vero, però, non bisogna dimenticare che ci sono molti fattori di carattere politico, giuridico, istituzionale e culturale che la determinano e che contribuiscono a formare e a estendere il degrado. Così, in tali contesti, oltre a mancare prospettive di lungo periodo nello sfruttamento delle risorse necessarie per soddisfare il bisogno immediato, mancano i diritti civili e le libertà fondamentali.

Mancano regole che garantiscono per esempio il diritto della proprietà del terreno che si coltiva da una vita; una mancanza che non incoraggia gli investimenti per rendere più produttivo il terreno nel lungo periodo essendovi il pericolo che esso venga occupato o attribuito ad altri. Manca la possibilità di ricorrere alla giustizia per ottenere tutela delle violazioni arrecate da terzi o dalle stesse pubbliche amministrazioni e ciò genera disuguaglianza.

Quindi se la povertà genera degrado ambientale oltre che sociale, là dove c'è benessere c'è la possibilità di prestare maggiore attenzione anche alla tutela dell'ambiente e non solo a problemi legati alla sopravvivenza.

Pur rimanendo incerta la definizione di benessere, ed essendo dubbio che coincida semplicemente con la ricchezza monetaria (ricordiamo che nei paesi "ricchi" aumentano i casi di anoressia, bulimia, ecc...) molti ritengono che la crescita economica, comportando un aumento del benessere, porti anche a un incremento della tutela ambientale. Ma ciò non esclude il degrado ambientale: perché quando aumentano i consumi, aumenta l'utilizzazione delle risorse naturali e di energia, le emissioni di gas a effetto serra e fabbisogno energetico, lo spreco e i rifiuti.

Un individuo dei paesi ricchi "consuma ambiente" come molte decine di individui dei paesi poveri. E l'aumento di un unità di popolazione nei paesi sviluppati equivale all'aumento di alcune decine di unità di popolazione in un paese povero.

L'incremento del benessere verificatosi negli ultimi due decenni in alcune aree del mondo come la Cina e l'India ha messo in evidenza che, ai fini della sostenibilità ambientale ciò che conta non è tanto l'aumento della popolazione in termini assoluti, ma il prodotto della popolazione locale per l'indice di consumo pro capite. Per cui molta popolazione che consuma poco danneggia l'ambiente quanto poca popolazione che consuma molto.

E' quindi vero che la povertà provoca degrado ambientale, ma paradossalmente è solo la povertà che fino ad ora ha imposto un contenimento globale dei consumi e ha consentito al mondo ricco di consumare risorse (magari materie prime site nei paesi meno sviluppati con meno vincoli e regole ambientali) per accrescere ulteriormente la propria ricchezza.

E fin ora nessuno ha elaborato uno scenario che preveda la possibilità di uno sviluppo indefinito per tutti. Così come nessuno ha elaborato scenari che dimostrino che tutti gli abitanti del pianeta possono vivere e consumare cosi come oggi vivono e consumano ad esempio gli abitanti degli Stati Uniti in un mondo, fra l'altro dove le risorse scarseggiano.

La verità è che sviluppo ed uguaglianza non vanno d'accordo in mondo sovrappopolato. Anzi molto spesso generano conflitti e guerre (le guerre per il petrolio) Del resto è sotto gli occhi di tutti la gara a livello mondiale tra paesi ricchi e paesi emergenti per acquisire il controllo delle risorse come il petrolio, l'uranio e anche terreni coltivabili e l'acqua.

Questo significa che i problemi ambientali non sono risolvibili se non si ripensa il "global divide" fra coloro che hanno e quelli che non hanno. Se non ci saranno delle decisioni condivise dalla comunità internazionale e dalle organizzazioni che la rappresentano. E ciò significa che ogni pretesa di unilateralismo da parte dei paesi ricchi o di alcuni di essi deve essere bandita. Ciò significa anche che è necessaria una sempre più penetrante applicazione del principio della responsabilità comune ma differenziata, graduando e differenziando le modalità di crescita dei paesi ricchi rispetto a quello dei paesi poveri e soprattutto dei paesi emergenti.

E' necessario che lo sforzo per la risoluzione per esempio del problema energetico sia compiuto dai singoli stati nell'ambito di progetti condivisi dalla comunità internazionale.
Non possiamo però nasconderci una verità: è assai difficile che i governi il cui obiettivo primario è mantenere il consenso degli elettori siano in grado di imporre scelte che prevedono costi immediati e benefici che possono essere apprezzati solo nel lungo periodo.

Dunque secondo Nespor anche la popolazione nella "virata verso la sostenibilità" ha il suo ruolo: secondo l'autore i singoli, in quanto elettori possono indirizzare le scelte politiche e in quanto appartenenti alla società civile globale possono svolgere, anche per mezzo di tutte le associazioni e di tutte le organizzazioni nazionali e internazionali un ruolo sempre più importante per il pianeta.

Peccato che fino ad oggi ciò non sia accaduto, e che la finanziarizzazione dell'economia renda sempre più difficile agire la sostenibilità, sia dal basso sia a livello (politico) più alto.....

 

 

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