[21/02/2011] News

Produrre Idrogeno con la biomimesi della fotosintesi?

Un problema di costi e materiali

LIVORNO. Al meeting annuale  dell'American association for the advancement of science (Aaas) che si conclude oggi a Washington a qualcuno sarà sembrato di essere capitato nelle pagine di "Solar", l'ultimo libro di Ian McEvan, soprattutto quando è intervenuto Thomas Mallouk, professore di chimica e fisica dei materiali all' Evan Pugh della Penn State university, per presentare gli ultimi sviluppi del suo lavoro per produrre idrogeno applicando la biomimesi. Fino ad ora la produzione ipotizzata di idrogeno con una tecnica che imita i processi naturali era valutata a circa lo 0,3% di efficienza, Mallouk ha presentato all'Aaas una nuova proiezione secondo la quale il suo dispositivo proof-of-concept per produrre idrogeno, che utilizza lo stesso "trucco" applicato dalle piante per la fotosintesi, potrebbe alla fine raggiungere efficienze di produzione di idrogeno del 10 al 15%, battendo quelle medie in natura che vanno dall'1 al 3% .

Siamo davanti alla notizia di una promettente possibilità di produrre grandi quantità di combustibile pulito per motori a combustione o la celle a combustibile? Lo stesso Mallouk invita ad un prudentissimo ottimismo: «Il nostro obiettivo è il modo più difficile per fare carburante. Stiamo creando un sistema artificiale che imita la fotosintesi, ma sarà praticabile solo quando sarà a buon mercato come la benzina o il jet fuel. La divisione dell'acqua in idrogeno e ossigeno può essere effettuata in vari modi, ma la maggior parte di loro sono a forte o alta intensità energetica. L'idrogeno risultante, che può essere utilizzato per alimentare i veicoli o convertito in una grande varietà di idrocarburi, inevitabilmente costa di più rispetto agli attuali carburanti di origine fossile».

La nota dell'Aaas che riassume il lavoro spiega che «Nella fotosintesi, la luce colpisce nelle piante un complesso di colori, dove l'energia della luce libera un elettrone. Entrambi i processi di lavoro sono un po' come quei dispositivi con 5 palle di acciaio, dove viene lasciata cadere una palla che le muove, battendo sulle altre 4 palle. Invece di far volare tutte le 4 palle, tre palle rimangono immobili, mentre la quinta palla vola via con tutta (Ok, quasi tutta) l'energia della palla iniziale». Un fotone, di fatto una particella di luce, colpisce la molecola organica colorata (che noi percepiamo come colore proprio perché reagisce alla luce) e un elettrone vola via. Se a questo elettrone può essere fatto per colpire nella giusta maniera una molecola d'acqua, l'acqua si divide in due parti: idrogeno e ossigeno. Il sistema di Mallouk utilizza un catalizzatore di ossido di iridio per aiutare l'elettrone fare il suo lavoro.

Il problema è proprio questo: gli elettrodi nel sistema, che contribuiscono a portare gli elettroni per "rompere" l'acqua, devono essere realizzati con componenti estremamente stabili come il titanio e platino, perché le reazioni avvengono in un ambiente molto "aggressivo". «Gli atomi di ossigeno liberato dall'acqua sono potenti "agenti ossidanti" - spiegano i gli scienziati americani -  Pensate a fuoco che brucia o alla vostra auto che arrugginisce, ma in modo molto più veloce. Attualmente, anche utilizzando componenti di alta qualità, la durata del sistema Mallouk è misurato in ore. Anche in natura, le proteine e i complessi esposti all'ossigeno soffrono, ma la natura rinnova costantemente queste parti della sua macchina per mantenere l'efficienza. Così fino a quando non saranno trovati dei sostituti migliori, il procedimento Mallouk non solo è uno dei più difficili, ma anche uno dei più costosi». L'Aaas spiega che «In teoria, un processo di fotosintesi è molto più efficiente che catturare la luce e trasformarla in energia elettrica, per esempio con celle solari, prima di usare l'elettricità per dare all'acqua l'enorme scossa di energia necessaria per forzare l'idrogeno a lasciare il comfort della molecola d'acqua. L'utilizzo di combustibili fossili per dividere l'acqua è ancora peggio, finendo con meno energia sotto forma di idrogeno di quella che esisteva nel carburante nella sua forma originale. Possono essere raggiunti benefici solo quando vengono utilizzati controlli centralizzati dell'inquinamento, e il vantaggio di utilizzare l'utilizzo distribuito di un combustibile pulito come l'idrogeno potrebbe essere realizzato».

Mentre alcuni ricercatori hanno utilizzato cellule solari per produrre elettricità o utilizzare il calore solare concentrato per dividere l'acqua, il processo Mallouk utilizza direttamente l'energia "in blue light", finora  molto meno efficiente di altre tecnologie solari di conversione energetica. Un comunicato la Penn university spiega che «La chiave della conversione diretta sono gli elettroni. Così come i coloranti che si presentano naturalmente nelle piante, i coloranti inorganici assorbono la luce solare e l'energia butta fuori un elettrone. Lasciati a se stessi, gli elettroni si ricombinano creando calore, ma se gli elettroni possono essere incanalati, molecola per molecola, abbastanza lontano da dove hanno origine, gli elettroni possono raggiungere il catalizzatore e dividere l'idrogeno dall'ossigeno nell'acqua».

Mallouk ha sottolineato al meeting dell'Aaas: «Attualmente, stiamo ottenendo solo il 2 o 3% della produzione di idrogeno. Perché sistemi come questo siano utilizzabili,  bisogna ottenere il più vicino possibile al 100%».

Ma il problema non è solo la ricombinazione degli elettroni: 

Fino ad ora, i ricercatori non hanno un rimedio per l'ossidazione, quindi i loro catalizzatori e altre molecole utilizzate nella struttura degradano, limitando la vita della cella a combustibile solare. Attualmente viene utilizzata solo la luce blu, ma vorrebbero utilizzare l'intero spettro visibile dal sole e stanno anche utilizzando componenti molto costosi: un elettrodo di ossido di titanio, un "dark electrode" di platino e un catalizzatore di ossido di iridio. Materiali per i quali si stanno cercando sostituti più economici: il Massachusetts institute of Technology sta conducendo ricerche su catalizzatori di cobalto e nichel, e le università di Yale e Princeton stanno studiando il manganese. Secondo Mallouk., «Il cobalto e il nichel non funzionano come l'iridio, ma non sono male. E' bene che il lavoro sul cobalto si stia diffondendo ad altre istituzioni»

La struttura progettata della cella a combustibile dirige molti degli elettroni verso il catalizzatore, la maggior parte dei quali si ricombinano ancora, trasformando la loro energia in calore piuttosto che nella rottura dei legami chimici. «I catalizzatori a manganese nel photosystem II,  il sistema di fotosintesi con cui piante, alghe e batteri fanno la fotosintesi e producono ossigeno,  sono lenti come il nostro - ha spiegato Mallouk -  Il Photosystem II funziona in modo efficiente, utilizzando una "electron mediator molecule" per assicurarsi che ci sia sempre un elettrone disponibile per la molecola del colorante una volta che passa la sua corrente di elettroni alla molecola successiva nella catena. Questo, nello stesso modo, potrebbe rallentare la ricombinazione più importante  nel sistema artificiale. Il trasferimento di elettroni dal mediatore per la tintura potrebbe effettivamente superare la reazione di ricombinazione. Attualmente il sistema utilizza un solo fotone alla volta, ma un sistema a due fotoni, anche se è più complicato, sarebbe più efficace nell'utilizzo dell'intero spettro della luce solare». L'obiettivo principale di Mallouk è ora quello di tenere traccia di tutti i canali energetici nella sua cella di comprenderne la cinetica. Quando lo avrà capito, potrà modellare le cellule e regolarne le parti per diminuire la perdita di energia e aumentare l'efficienza.

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