[28/05/2013] News toscana

Governo del territorio in Toscana: i nodi fondamentali della nuova legge 1

Da mesi, si fa ormai un gran parlare della riforma della Legge 1/2005 della Regione Toscana. In taluni casi, con ricchezza di argomenti e indubbie intenzioni propositive. In altri, ci spiace rimarcarlo, dal nostro punto di vista assolutamente a sproposito. Sul tema, infatti, ci pare si stia consumando l'eterno ricorrente esercizio delle genti toscane. O sei guelfo o sei ghibellino. O bianco o nero. O rosso o azzurro. Quasi che il merito della questione, il governo del territorio in una delle regioni più importanti del Paese, sia poi cosa di spessore secondario. Come, purtroppo, invece non è. Con una certa  audacia, ce ne rendiamo conto, vorremmo quindi riportare il senso di queste nostre riflessioni nell'alveo di una pacata dialettica democratica. Sottolineando quali sono a nostro avviso i nodi cruciali della querelle e quale soprattutto la posta in palio, sullo sfondo.

Primo nodo. Un'epoca è finita. Dal punto di vista dei cicli storici, niente più sarà come prima. La crisi, annunciata dal forte rallentamento delle economie occidentali nel 2007 e deflagrata platealmente coi collassi finanziari dell'estate 2008, ci ha investiti in pieno, a partire almeno dal 2011. L'urbanistica contrattata, lo sprawl, i condoni edilizi, ma anche il municipalismo militante di certa pianificazione riformista, di cui la Toscana forse è stata l'emblema più nitido; sono tutte definizioni, formule, locuzioni che paiono vecchie o comunque incapaci di fotografare la realtà che abbiamo davanti ai nostri occhi. Una realtà annientata da un modello di sviluppo basato sulla rendita (finanziaria e immobiliare) e sull'iniquità elevata a regola globale. Per questo dobbiamo preoccuparci di non dimenticare quello che è successo negli ultimi 20 anni, avendo sempre cura estrema di distinguere il grano dal loglio. Ma avendo ben chiaro che voltare pagina oggi, anche nel governo del territorio, in vista di una società più giusta, più sostenibile e più attenta alla cura dei beni comuni, non è solo utile bensì necessario.

Secondo nodo. Competenza significa soprattutto responsabilità. Seguendo questa chiave di lettura, è indubbio che la LR 1/2005, interpretando arditamente il dettato della sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione aveva scommesso tutte le sue carte sul principio di sussidiarietà. Vale a dire: efficacia, adeguatezza e leale collaborazione tra i tre livelli di piano (regionale, provinciale, comunale). Non è certo qui il caso di scomodare i mulini a vento di Cervantes, per capire che quella scommessa, con buona pace dell'ANCI, non si è vinta. E non si è vinta non per colpa esclusiva di qualcuno. Ma perché la sfida era concettualmente "inquinata" sin dai nastri di partenza. Basandosi sul pregiudizio positivista ed errato che la golden share finale sulla decisione pianificatoria spettasse di diritto al livello comunale. La potestà prescrittiva in capo alla Regione, in via oggi di reintroduzione, non fa dunque che sanare meritoriamente un vulnus giuridico creato dalla vecchia Uno. E d'altra parte, l'art. 117 della Costituzione alla Regione (e non ai Comuni) assegna la potestà concorrente in tema di governo del territorio. Alla Regione, in particolare, la facoltà legislativa di dettaglio; allo Stato, il potere di determinazione dei principi fondamentali. La famosa legge quadro che riformuli e aggiorni la 1150/42, che ormai attendiamo inutilmente da decenni.

Infine, la questione sullo sfondo. Anche in Toscana, pur con toni meno drammatici ed esasperati di quelli che si riscontrano altrove, si è consumato in questi anni un "divorzio" del tutto particolare. Tra politica e comunità insediate, tra decisori e cittadini, tra amministratori e amministrati. Prova ne sia che si è tentato, a nostro avviso con pieno merito, di richiudere questa forbice, così pericolosamente divaricata nel tempo, con nuovi istituti della partecipazione (si veda sotto questo profilo la bella traiettoria della LR 69/2007). Ma prova ne sia anche il fatto che la Toscana è l'epicentro originale di un nuovo comitatismo di base, che ha saputo superare i limiti inerziali della denuncia per assurgere a vero e proprio soggetto organizzato della società civile, capace di proposta e di visione sistemica. Ora, ciò che vogliamo sottolineare, senza tema di smentita, è che il principale terreno di scontro, sul quale si è consumato questo "divorzio" e dal quale sono potuti nascere questi nuovi soggetti politici, è quello dell'urbanistica. Trascurare questo divorzio. Ridimensionarlo. Peggio: far finta che esso proprio non esista, questo sì ci sembra davvero esiziale per la tenuta stessa della nostra democrazia rappresentativa. Giovane, fragile ed esposta come non mai ai rigori del populismo.

Per questo non possiamo che spalleggiare limpidamente il coraggioso tentativo di rivedere la legge Uno, in vista di un sistema di governo del territorio più chiaro, più cogente, più responsabilizzante e quindi meno esposto alle ondulatorie sollecitazioni della politica locale.

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