[24/05/2013] News toscana

Quali principi per la revisione della legge 1 del 2005?

Continua il dibattito avviato su greenreport.it

Il dibattito sulla proposta di revisione della legge 1 del 2005 ha proposto diverse punti di vista e messo sul tappeto numerose questioni che, penso, andrebbero dibattute in pubblici incontri. Una questione, tuttavia, mi sembra poco esplorata: quella dei principi di riferimento. È quello che richiamo qui, in uno spirito collaborativo e di aiuto al decisione pubblico nel confezionamento di norme che diventeranno poi di uso comune.

La revisione cancella l’esplicito riferimento al principio dello «sviluppo sostenibile» contenuto nell’art. 1, c. 1 del testo vigente. Al suo posto propone «la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio territoriale inteso come bene comune» (art. 1, c. 1 nuovo testo). Ora, mentre la salvaguardia e la valorizzazione, ancorché modalità d’azione, richiamano il principio di precauzione, che fa riferimento ad una politica di condotta cautelativa per quanto riguarda il sistema delle decisioni pubbliche e private connesse (in questo caso) al territorio; il terzo, il patrimonio territoriale, è una nozione in parte inesplorata che ha bisogno di essere definita. Ed infatti la legge vi dedica un apposito articolo, il 3. Ma, curiosamente, nella definizioneesso è riferito all’intero territorio (c. 2). Non solo, ma per essere considerato tale, secondo la legge, necessita di un riconoscimento esplicito da parte della Comunità locale, tanto che la sua individuazione è inserita nello Statuto del territorio (art. 5, c. 1). Il che significa che deve essere predisposto prima durante le fasi dellapartecipazione per la costruzione di qualsiasi strumento della pianificazione e, poi, seguire la procedura dell’adozione, delle osservazioni e dell’approvazione finale. La sua interpretazione è, dunque, flessibile e soggetta alla selezione, alla selettività, alla presa di coscienza o meno nell’arena locale durante il processo di costruzione delle politiche territoriali o urbanistiche.

Non ci troviamo quindi in presenza di un principio ordinatore robusto intorno al quale è costruito l’intero impalcato normativo, quanto di una nozione, con una valore di auspicio generale che trova la sua forza nell’argomentazione fatta all’interno dello strumento urbanistico.

Una riscrittura dell’art. 1, c. 1, sarebbe davvero auspicabile.

Ci sono altri principi, magari impliciti, nel resto del testo?

Alcuni sì, ma non particolarmente evidenti, se si esclude uno,significativo e trasversale, anche se riportato in sordina: «il contenimento del consumo di suolo agricolo» (art. 43, c. 1). È un principio molto forte che, nelle disposizioni di legge, si spalma in diversi articoli, ma il suo esito non sembra così radicale come ci si potrebbe immaginare, specialmente perché la legge lo restringe alla sola categoria di «impegno di suolo» (art. 3bis, c. 1).

La proposta di revisione, infatti, impone una distinzione netta tra territorio urbanizzato e territorio rurale (art. 3bis, c. 2), dichiarando che nuovi impegni di suolo sono possibili solo all’interno del territorio urbanizzato. Ad eccezione delle «destinazioni produttive, infrastrutturali e di grandi infrastrutture di vendita» (art. 3bis, c. 4), previo verifica di sostenibilità per ambiti di area vasta.

L’indirizzo politico è chiaro: stop alla crescita di edilizia residenziale, considerato anche l’enorme stock esistente e in parte anche inutilizzato, e tolleranza condizionata a quella produttiva/commerciale e per le infrastrutture. Discorso condivisibile, seppur qualcuno ha obiettato che nella tecnica urbanistica qualsiasi funzione pregiata necessita di servizi e infrastrutture collegate, ma anche della valutazione degli esiti che questa funzione privilegiata provoca sull’insediamento e sul territorio esistente.

Vi è, nondimeno, un inciso rilevante: l’attività turistica e gli insediamenti turistici sono un settore produttivo e in termini urbanistici le nuove aree a questo riservate sono inserite, per legge, nelle aree produttive. La stessa Regione Toscana ha imposto questa collocazione, per esempio classificando le aree interessate a campeggi e villaggi turistici come «specifiche zone D, ai sensi del DM 1444/68» (DGRT 4973 del 1994). In tutti gli strumenti urbanistici approvati e vigenti attualmente sulla fascia costiera, e non solo, è questa la destinazione obbligata.

Qui nasce un paradosso: nuovi impegni di suolo sono fortemente sconsigliati per nuova residenza e servizi connessi, ma si possono fare per attività produttive, che comprendono quelle turistiche, cioè ancheresidenzialità per seconde e terze case.

Un bel rompicapo.

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