[22/05/2013] News

La nuova tragedia mineraria in Indonesia e la Papua Occidentale occupata e dimenticata

Sono 28 i minatori morti nel crollo di una galleria sotterranea in una miniera della multinazionale Usa Freeport-McMoRan nella Papua indonesiana avvenuto il 14 maggio. Gli ultimi 7 poveri corpi sono stati estratti oggi dalla formazione di Big Gossan a circa 500 metri dall'ingresso del gigantesco complesso minerario di Grasberg, una delle più grandi miniere di oro e rame del mondo, che sorge nelle montagne della provincia di Papua. Circa 1.000 lavoratori sono in sciopero e bloccano la principale via di accesso a circa tre Km dalla miniera, per manifestare solidarietà con i loro compagni morti e per chiedere maggiori garanzie per i lavoratori, costretti a lavorare in condizioni di estrema pericolosità, come attestano le stesse difficoltà dei soccorsi e del recupero dei corpi, più volte fermate a causa del distacco di rocce e per il crollo della volta delle gallerie.

Le condizioni di lavoro sono molto pericolose, tanto che la stessa PT Freeport Indonesia aveva ammesso che «Il lavoro di soccorso è ostacolato dal terreno instabile che circonda il luogo».

La PT Freeport, la filiale indonesiana della Freeport-McMoRan Copper & Gold che ha la sua base in Arizona, ha dichiarato per oggi un giorno di lutto nella sua sede nella capitale Giacarta e nelle miniere della Papua Occidentale, occupata dagli indonesiani che la chiamano semplicemente Provincia orientale. Anche se i giornali indonesiani non hanno dato grande risalto ad una tragedia avvenuta in una provincia lontana e problematica, il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono ha ordinato alla Freeport ed alle agenzie governative per indagare a fondo sull'incidente.

La PT Freeport Indonesia non sa ancora quando potrà riprendere l'attività nelle miniere ed il suo Chief executive, Rozik Soetjipto, ha detto durante una conferenza stampa che «In questo momento non abbiamo quando per riprendere le operazioni. Stiamo rivedendo la sicurezza in tutte le miniere, sia a cielo aperto che sotterranee». Alla stessa conferenza stampa, il ministro dell'energia e delle risorse minerarie dell'Indonesia, Jero Wacik, ha assicurato che «Il governo ha ordinato una revisione della sicurezza di tutte le operazioni minerarie in tutto il Paese».

La verità è che le grandi miniere delle multinazionali nella Papua Occidentale stanno distruggendo ambienti ed habitat unici e favoriscono la penetrazione dei coloni indonesiani, osteggiata dal Free West Papua Movment e dal West Papua National Committee (Knpb) indipendentisti. Le complicità tra le industrie mineraria, dell'olio di palme e  del legname sono evidenti e puntano alla repressione della popolazione autoctona ed ad uno sviluppo accelerato di una regione considerata "primitiva" e da colonizzare ed islamizzare. Ieri un'unità dell'esercito indonesiano ha attaccato un villaggio nella regione di Puncak Jaya. Un filmato girato dagli indipendentisti mostra i militari mentre sparano sulle case, bambini terrorizzati, persone picchiate e scorte alimentari distrutte. Il 13 maggio la polizia indonesiana ha attaccato una manifestazione pacifica del Knpb ed ha arrestato il suo presidente Victor Yeimo. Un'azione condannata anche dalla commissaria Onu per i diritti umani, Navy Pillar e da Amnesty international.

Una attivista papuasa, Salomina Kalaibin, è morta in ospedale il 6 maggio a causa delle ferite provocate da una sparatoria che il primo maggio ha investito la commemorazione pacifica del 50esimo anniversario della consegna di Papua al governo indonesiano da parte dell'Onu per un mandato di amministrazione provvisoria che si è trasformato in una feroce occupazione e nella rapina sistematica delle risorse. Altre due persone sono state uccise e almeno altri 7 manifestanti sono stati feriti durante la manifestazione e 22 persone sono detenute per aver partecipato alle attività pacifiche. In molti accusano le forze di sicurezza indonesiane di aver organizzato l'attacco alla manifestazione.

Come dice Isabelle Arradon, vicedirettrice di Amnesty International Asia-Pacifico, «La morte di un'attivista dopo aver partecipato a una protesta pacifica a  Papua, in Indonesia, è un tragico segnale del precario stato di libertà di espressione e di riunione nella regione. La morte dei tre attivisti politici è un duro monito che a Papua per poter parlare liberamente si paga un prezzo molto alto».

L'altro altissimo prezzo per questo attacco politico/economico alla Papua indonesiana lo stanno pagando l'ambiente ed i lavoratori con pochi diritti e bassi stipendi che estraggono, tagliano e coltivano le risorse naturali che arricchiscono le multinazionali e i loro amici nell'esercito e nel governo.

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