[13/05/2013] News toscana

Non scherziamo con il territorio e il paesaggio: pių le disposizioni sono chiare pių l'amministrazione č semplice

La lettura delle proposte di modifica della legge regionale urbanistica 1 del 2005 mi ha prodotto un senso di scoramento. È, come dicono i veneti, "peggio la toppa del buco". La proposta è stata duramente criticata dalla Sezione Toscana dell'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani ed anche la Sezione toscana dell'Istituto Nazionale Urbanistica ha espresso seri dubbi.

Di cosa abbiamo bisogno nelle condizioni attuali del territorio? In sostanza, di una legge stringata, chiara, senza parole inventate o cui si appioppano nuovi significati, comprensibile ai consiglieri e agli apparati tecnici dei 287 comuni, a quelli delle 10 province, delle comunità montane e a tutti gli attori del governo del territorio. Una legge breve: l'attuale dimensione (e, peggio, quella risultante dalle modifiche, 9 articoli in più fra aggiunte e abolizioni) è una follia: 219 articoli, contro i 53 della legge nazionale del 1942 e sue modifiche; 225 richiami nel testo del 2005, (ora molti di più) a leggi, decreti, regolamenti, circolari, provvedimenti della U.E., contro una ventina di quella del 1942, e in più un labirinto di rimandi interni, fra gli articoli (basta dire che ve ne sono 19 negli articoli da 3° a 15°).

Esemplifico sui rimandi "esterni" L'articolo 3 bis, Condizioni per la trasformazione, rimanda al 9 per "la modifica delle invarianti" (e qui noto l'incongruenza dell'espressione: si modifica una cosa immodificabile per definizione, è una antitesi o forse un ossimoro?), e una domanda: perché non si approfitta per sostituire "invarianti" col concetto di "strutture durature" che è tecnicamente più pertinente?); il comma 5 richiama le invarianti di cui all'art. successivo 4, "così come specificato dall'art. 9" (tanto per rendere le cose più semplici); e  infine il comma 6 lettera e, rimanda all'art. 37; mentre l'art. 5, Statuto del territorio rimanda all'art. 3 per gli elementi del "Patrimonio territoriale", e al 4 per le "invarianti". E questo in 3 articoli, un settantunesimo del totale, e in un paio di pagine su ottantacinque.

Ricordo che nello Statuto della Regione Toscana, che nei suoi 82 articoli spazia su molti argomenti, troviamo all'art. 58, "il riconoscimento dell'autonomia delle comunità locali, la promozione del sistema delle autonomie, la valorizzazione delle distinte identità culturali, sociali ed economiche del territorio regionale, la tutela dei comuni minori, dei territori montani ed insulari" come finalità principali per la Regione, e in altri (59, 59, 62) il "rispetto del principio della sussidiarietà". E' proprio la violazione di questi principi che ha prodotto lo scontento delle comunità minori e dell'Anci.

Nella legge si prospettano svariati tipi di piani (13 nei documenti preparatori della revisione). Vi sono numerose ambiguità: le invarianti... possono variare "secondo le regole", e così variando le regole sarà possibile fare qualsiasi cosa dovunque. Fra le invarianti si è pensato bene di metterci anche le regole, cosa assurda, perché in ogni epoca le regole sono state adattate alle situazioni, e soprattutto ai valori al momento considerati validi. Ci sono complicati discorsi sui caratteri "morfotipologici e paesaggistici" incomprensibili anche per un professionista di media cultura. Fra queste benedette invarianti, anche i caratteri naturali del territorio, gran parte di quello che a una volta si chiamava "stato di fatto". E' assurdo: cosa serve mettere in una legge che un monte è un monte, un'isola è un'isola? C'è poi un uso spietato della parola "territorio", senza che mai se ne dichiari il significato, che per i vocabolari è una estensione definita di terra, oppure un paese sottoposto ad una particolare giurisdizione, ma che oggi sta assumendo un significato diverso: quello di un luogo abitato da una popolazione che si è adattata ad un luogo e allo stesso tempo l'ha trasformato secondo le sue esigenze e capacità. Così anche l'espressione  "sinergia e integrazione fra i diversi territori" acquista un senso. Ma non lo si dice, perché metterebbe in discussione il principio della invarianza, che è alla base della legge.

Neppure si dice che si adotta nella sostanza la concezione del paesaggio come sistema naturale, formulata dal geografo Biasutti nel 1962. Però al contempo si impone una distinzione tra aree urbanizzate e resto del territorio, ritornando ad una concezione medievale dell'organizzazione territoriale, giustificandola in nome dello stop al consumo del suolo. Posizione ideologica, perché il consumo viene ammesso per le nuove aree industriali, per i centri commerciali e le infrastrutture. E qui devo richiamare un inammissibile errore di grammatica urbanistica: come si possono prevedere queste strutture senza i servizi di corredo, compresi quelli residenziali? Se è così perché non parlare di uso consapevole del suolo, come nella recente legge della Federazione Svizzera?

Non è una legge che fa pianificazione, la fanno gli strumenti urbanistici.  La legge così come formulata, con la pretesa di decidere definitivamente tutto - e in fin dei conti, di surgelare la Regione - è comunque inattuabile: prevede una molteplicità di piani (sette tipi, più i piani di settore), una serie di indagini, di commissioni, di conferenze, di controlli per i quali non esiste la sterminata schiera di specialisti occorrenti, e tanto meno gli indispensabili, cospicui finanziamenti. E dato che per ogni divieto si offre, spero non volutamente, una via di fuga - basta mettere in un articolo un piccolo inciso, un aggettivo, un avverbio, o magari emanare una leggina ad hoc - la legge urbanistica mette il paesaggio toscano in un reale, grande pericolo, e le Comunità della regione in un vortice di contese giudiziarie. Ci occupa delle cose più assurde, come (art. 23 bis) la definizione dei porti nazionali.

La pratica fatta guidando per un dodicennio l'ufficio urbanistico del comune di Livorno, e operando per 13 anni come esperto di urbanistica alla Regione Toscana, mi ha fatto comprendere che le leggi funzionano se brevi e stringate.  Lo prova il fatto che le 5 fondamentali leggi di unificazione amministrativa del 1865,  rimaste in funzione per decenni (quella sui lavori pubblici è ancora in parte valida), erano essenziali, e non vi erano strani neologismi, o paroloni di significato mal comprensibile, magari creati fondendo quattro 4 parole del greco antico come  "oroidrogeologici";  e non c'erano richiami ad una serie di altri provvedimenti.

Ho imparato anche, avendo a che fare con i regolamenti edilizi ed urbanistici, che più si entra nei dettagli più si offrono spunti agli avvocaticchi. Così la pensano anche i giuristi. Negli anni '70 alle regione Toscana il controllo della nuova legislazione veniva fatto da Albero Predieri, docente di diritto amministrativo, e massimo esperto in Italia dei problemi giuridici dell'ambiente e dei beni culturali. Ma oggi chi visiona i testi legislativi, prima che questi vengano divulgati?

P. S. Nel sedicente miglioramento della legge 1 il numero dei rimandi interni (da un articolo ad un altro o a più altri) è fortemente aumentato. Ve ne sono 57 in più solo negli articoli da 1 a 46 decies, la parte che ho letto, esaurendo la mia forza e pazienza. Pregherei i giornalisti e chi fa parte delle amministrazioni locali di leggersi l'intero testo, per capire quale rischio stiamo correndo.

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