[09/05/2013] News

Agricoltura e allevamento restano tra le principali fonti di emissioni di gas serra

Secondo il rapporto di Vital Signs curato da Laura Reynolds ricercatrice cibo e agricoltura del Worldwatch Institute, «L'aumento della crescita della produzione agricola ha portato ad un aumento delle emissioni di gas serra, con una percentuale enorme di queste emissioni che proviene dall'allevamento di bestiame». La Reynolds spiega che «Nel 2010, le emissioni globali di gas serra provenienti dal settore agricolo totalizzavano 4,7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO2) equivalente, superiori al 13% sul 1990. L'agricoltura è il terzo contributore alle emissioni globali per settore, preceduta dal settore dei trasporti e - prima nella poco virtuosa classifica - dalla combustione dei combustibili fossili per produrre energia e calore. Nel 2010, le emissioni da elettricità e produzione di calore hanno raggiunto i 12,5 miliardi di tonnellate e le emissioni dei trasporti hanno totalizzato 6,7 miliardi di tonnellate».

Ma c'è anche una buona notizia: «Nonostante il loro continuo aumento, le emissioni provenienti dall'agricoltura stanno crescendo ad un ritmo molto più lento rispetto al settore nel suo complesso, dimostrando l'aumento dell'efficienza energetica del settore agricolo. Dal 1990 al 2010, il volume della produzione agricola complessiva è aumentata di quasi il 23%».

Secondo la Fao, «il metano rappresenta poco meno della metà del totale delle emissioni agricole, il protossido di azoto il 36% e la CO2 circa il 14%. La più grande fonte di emissioni di metano, un gas serra molto più potente della CO2, è la fermentazione enterica, cioè la digestione del materiale organico da parte del bestiame, soprattutto bovini da carne. Questa è anche la principale fonte delle emissioni agricole globali, contribuendo per il 37% del totale».

Il bestiame contribuisce alle emissioni globali in altri modi. «Il letame depositato e lasciato sui pascoli, a causa del suo alto contenuto di azoto, è una delle principali fonti di emissioni di protossido di azoto - sottolinea Laura Reynolds - Quando più azoto del necessario viene aggiunto suolo, i batteri convertono l'azoto in eccesso in ossido nitroso e lo liberano nell'atmosfera. Le emissioni da letame nei pascoli in Asia, Africa e Sud America insieme rappresentano il più dell'81% delle emissioni globali da questa fonte». 

Tra il 1990 e il 2010 le emissioni da letame di bestiame in questi tre continenti sono aumentate, in media, del 42%, riflettendo un aumento delle popolazioni di bestiame in quelle aree. Altrove le emissioni di questo tipo sono diminuite o non aumentano.

Emissioni di CO2 dai terreni coltivati in maniera biologica  rappresentano circa il 14% del totale delle emissioni agricole, con l'Asia che contribuisce per il 54%. La deforestazione e la bonifica per ottenere terreni agricoli in molti paesi tropicali del Sud e Sud-Est asiatico sono una delle principali cause di queste  emissioni. In Asia ci sono i primi cinque Paesi del mondo con le maggiori emissioni di CO2 dai suoli organici coltivati: Indonesia 279 milioni di tonnellate, Papua Nuova Guinea 41 milioni t., Malaysia 35 milioni e Bangladesh 31 milioni. Secondo il rapporto «Questi dati indicano chiaramente che la produzione di bestiame conta per una quota enorme di emissioni globali di gas serra. Insieme, le emissioni da fermentazione enterica, il letame sparto sui pascoli, il  letame applicato ai terreni nonché i seminativi dedicati alla produzione di mangimi e il letame trattato nei sistemi di gestione contribuiscono per più dell'80% delle emissioni totali. Nel frattempo, le emissioni legate al consumo umano diretto di colture alimentari rappresentano meno del 20% del totale».

La Reynolds dice che «Un modo ovvio per ridurre le emissioni agricole è  che le persone a riducano al minimo il loro consumo di carne e latticini. Ciò contribuirebbe a stabilizzare o ridurre le popolazioni di bestiame, a diminuire la pressione per trasformare  ulteriori terreni per il bestiame ed a  ridurre la percentuale di granaglie che vengono coltivate per l'alimentazione del bestiame anziché per il consumo umano diretto. Gli agricoltori e i proprietari terrieri hanno numerose opportunità per mitigare questi impatti e, certamente, ottenere co-benefits ambientali ed anche economici. Ad esempio, applicando fertilizzanti più efficienti, precise e nei momenti in cui le piante possono assorbirli può ridurre significativamente le emissioni di ossido nitroso riducendo i costi del fertilizzante. Piantare campi incolti con colture di leguminose che fissano l'azoto, come la soia, l'erba medica e il trifoglio, può anche ricostruire naturalmente l'azoto e altri nutrienti nel suolo. Far crescere alberi e piante perenni legnose sui terreni può sequestrare il carbonio e contemporaneamente aiutare a ripristinare i suoli, ridurre la contaminazione dell'acqua e fornire benefici agli habitat della fauna selvatica. Anche ridurre la lavorazione del terreno può ricostruire i terreni, riducendo le emissioni di gas serra. Alcune pratiche possono anche comportare un aumento del reddito per gli agricoltori: i programmi di "cap-and-trade" consentono agli agricoltori di monetizzare e vendere alcune pratiche di sequestro, mentre i programmi governativi, come l'U.S. Conservation Reserve Program, pagano gli agricoltori per mettere a riposo alcuni dei loro terreni per un recupero a lungo termine. Come dettagliato nel rapporto Worldwatch "Innovations in Sustainable Agriculture: Supporting Climate-Friendly Food Production" del 2012, molte pratiche di mitigazione utilizzano tecnologie esistenti e accessibili e possono essere attuate immediatamente».

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