[26/04/2013] News

L'economia che brucia ambiente e salute: ogni anno perdiamo 4.700 miliardi di dollari

Le esternalità negative del "business as usual” sui servizi eco sistemici rendono sempre più urgente la transizione alla green economy

Il rapporto Natural Capital at Risk - The Top 100 Externalities of Business, presentato dalla Teeb for Business Coalition e da Trucost durante il summit Business for the Environment a New Delhi, analizza le 100 principali esternalità ambientali negative globali, sintetizzando un risultato impressionante. La stima è che tali esternalità «Stanno costando all'economia mondiale circa 4.700 miliardi dollari all'anno in termini di costi economici che vanno delle emissioni di gas serra, alla perdita di risorse naturali, alla perdita di servizi basati sulla natura come lo stoccaggio del carbonio da parte delle foreste, i cambiamenti climatici e dei costi sanitari connessi all'inquinamento dell'aria». 

Diversi limiti planetari sono ormai molto vicini al punto di non ritorno, tanto che  alcuni sostengono che abbiamo già superato i confini della sostenibilità per quanto riguarda la biodiversità globale, il ciclo dell'azoto ed il  clima. La vera causa di tutto questo è l'attuale modello economico globale e il relativo uso delle risorse.

Le imprese oggi rappresentano i due terzi della nostra economia e dell'uso delle risorse e sono responsabili della maggior parte dei fattori di stress globali dei limiti planetari: un utilizzo scriteriato delle risorse che si trasforma in esternalità negative del "business as usual". Esternalità che sono diventate troppo grandi per poterle ignorare, visto che Principles for Responsible Investment del 2010 parla di 2.100 miliardi dollari per le 3.000 società quotate più grandi del mondo.

Pavan Sukhdev, presidente del Board di Teeb for Business Coalition afferma: «Abbiamo bisogno senza dubbio di cambiare il modo di fare business, ma non si può gestire ciò che non misuriamo, e al momento solo una manciata di aziende misura le esternalità. La risoluzione di questo nodo è il cuore della green economy e della stessa sostenibilità».

Secondo The Economics of Ecosystems and Biodiversity  (Teeb) «Le imprese ed i loro investitori devono affrontare sia un'opportunità che un problema significativo. Nei prossimi anni, con l'incremento dei consumatori della classe media, in particolare nei mercati emergenti,  la domanda dei consumatori è destinata a crescere in modo significativo. Tuttavia, questo avviene in un contesto di crescente scarsità delle risorse e di degrado degli ecosistemi naturali. Una delle sfide sarà quella di capire il valore dei sistemi naturali al quale ci affidiamo - comunemente indicato come capitale naturale - e di come questi sistemi possano essere gestiti. Ad esempio, l'acqua non ha di solito un prezzo a seconda di quanto sia scarsa, ma il modello di business attuale crea notevoli esternalità ambientali». 

Il rapporto identifica il rischio finanziario delle esternalità ambientali, ad esempio i danni da cambiamento climatico, l'inquinamento, la conversione dei terreni e l'esaurimento delle risorse naturali, in tutti i settori del business a livello regionale e spiega che «Questo dimostra che i settori d'attività ad alto impatto rappresentano una perdita economica in cui i costi dei danni ambientali, come l'uso delle risorse naturali e dei costi di inquinamento sono contabilizzati. Tuttavia, le imprese e gli investitori possano tener conto degli impatti sul capitale naturale nel processo decisionale per la gestione dei rischi e ottenere un vantaggio competitivo.

La Teeb for Business Coalition sottolinea che «Negli ultimi 10 anni i prezzi delle commodity  hanno cancellato un declino che, in termini reali, durava da un secolo ed i rischi sono in crescita per un eccessivo sfruttamento di un capitale naturale scarso come non mai. L'esaurimento dei beni e dei servizi ecosistemici, come i danneggiamenti prodotti dal cambiamento climatico, dall'inquinamento o dalla conversione dei terreni, genera esternalità economiche, sociali e ambientali. La crescente domanda del business di capitale naturale, e la diminuzione delle forniture a causa del degrado ambientale e di eventi come la siccità, stanno contribuendo alla limitazione delle risorse naturali, tra cui la scarsità d'acqua».

Il rapporto ha analizzato più di 100 impatti ambientali utilizzando il modello ambientale di Trucost che li condensa in sei eKPIs per coprire le principali categorie di consumo di capitale naturale: utilizzo dell'acqua, gas a effetto serra, rifiuti, inquinamento atmosferico, l'inquinamento inquinamento delle acque e  del territorio ed utilizzo del suolo. Questi eKPIs stati poi quantificati per regione attraverso oltre 500 settori di business. Teeb ammette che «Il metodo utilizzato ha dei limiti ed è progettato solo per dare un'indicazione di alto livello dei settori prioritari e delle regioni in cui risiede il capitale di rischio naturale». 

Lo studio classifica i principali 100 impatti in ogni settore, suddivisi per regione, per fornire una piattaforma per le aziende e gli investitori per valutare l'esposizione del capitale naturale privo di prezzo, sia direttamente che tramite le catene di approvvigionamento che delle holding. Evidenzia anche variazioni a livello di settore nell'esposizione regionale agli impatti per identificare le opportunità per migliorare il vantaggio competitivo.

I risultati che emergono sono:

Nei settori analizzati della produzione primaria (agricoltura, silvicoltura, pesca, estrazione mineraria, petrolio e gas, utilities) e della trasformazione primaria (cemento, acciaio, cellulosa e carta, prodotti petrolchimici) si stima siano i costi delle esternalità per un totale di 7,3 trilioni di dollari, il che equivale a 13 % della produzione economica mondiale nel 2009. Il valore delle esternalità delle Top 100 è stimato in 4.700 miliardi di dollari, ossia il  65% del totale degli impatti del settore primario identificati. La maggior parte dei costi delle esternalità ambientali provengono dalle emissioni di gas serra (38%), seguite dall'utilizzo dell'acqua (25%), dall'utilizzo del territorio (24%), dall'inquinamento dell'aria (7%), dall'inquinamento di suolo ed acque (5%) e dai rifiuti (1%).

Secondo Alastair MacGregor, Chief operating officer di Trucost, che ha seguito i vari sviluppi dello studio, «La recente volatilità soft dei prezzi delle materie prime è causata dalla siccità e il suo impatto sugli utili, le bilance commerciali nazionali e l'inflazione ha sottolineato la dipendenza dei rendimenti degli investimenti sul capitale naturale. Questa tendenza accelererà in futuro su una serie di fronti».

I settori di maggiore impatto per regione includono globalmente: la combustione del carbone in Asia orientale e in Nord America, rispettivamente al primo e terzo posto, stimate in 453 miliardi di dollari all'anno nell'Asia Orientale e 317 miliardi di dollari in Nord America. Gli impatti consistono nelle emissioni di gas serra, nonché nei costi sanitari e altri danni dovuti all'inquinamento atmosferico. In entrambi i casi, questi costi sociali superato il valore della produzione del settore.

Gli altri settori a più alto impatto sono l'agricoltura, nelle aree di scarsità d'acqua e dove il livello produttivo e quindi l'uso del territorio è elevato. L'allevamento del bestiame in Sud America, al secondo posto con circa 354 miliardi dollari. 

La produzione di frumento e nell'Asia meridionale che si piazzano rispettivamente al quarto e quinto posto. Le industrie che producono ferro, acciaio e ferroleghe sono al sesto posto con 225 miliardi. La produzione di cemento a livello mondiale rappresenta il 6% delle emissioni di CO2 e l'Asia orientale produce circa il 55% di cemento del mondo, quindi non è sorprendente che si piazzi settima.

Dorothy Maxwell, direttrice della Teeb for Business Coalition è convinta che «Capire il rischio e le opportunità del capitale  naturale è essenziale per le imprese per posizionarsi in un mondo sempre più scarso di risorse».

Il rapporto dimostra che il livello e la variazione di impatto forniscono opportunità di differenziarsi alle aziende e ai loro investitori, ottimizzando le loro catene di approvvigionamento e le strategie di investimento. Alcune raccomandazioni alle imprese comprendono i processi di attuazione per misurare e gestire il capitale naturale utilizzato; modelli di business rinforzati per ridurre l'esposizione ai rischi globali come la scarsità d'acqua e di energia e la volatilità dei prezzi agricoli, l'aumento delle emissioni di gas serra e gli impatti del cambiamento climatico.

Per Achim Steiner, direttore esecutivo del Programma per l'ambiente dell'Onu (Unep), «Le aziende lungimiranti stanno già riconoscendo che la chiave per la competitività in un mondo con risorse sempre più limitate dipenderà in gran parte dall'aumento dell'efficienza delle risorse naturali e nel ridurre l'impronta inquinante. I numeri in questo rapporto sottolineano l'urgenza, ma anche le opportunità per tutte le economie di una transizione ad una green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà».

Peter Bakker, presidente del World business council for sustainable development conclude: «Ora a che abbiamo questo high-level assessment nella quale ci sono i settori prioritari dobbiamo incoraggiare le imprese a considerare sempre più il valore della natura nel processo decisionale e, in ultima analisi, contabile e di reporting. I risultati di tali valutazioni aziendali dovrebbero essere condivisi in modo da poter ricostruire insieme i pezzi del puzzle per sviluppare un approccio standardizzato per mettere in conto la natura».

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