[03/04/2013] News toscana

Governo del territorio, ma la legge 1 è davvero efficace e appropriata?

Prosegue il dibattito

L'intervento del prof.Morisi sembra adombrare una sorta di lesa maestà legislativa del Consiglio Regionale nel mentre da più parti si invoca un confronto più ampio sui contenuti della proposta di riforma della legge 1 del 2005.

Per avvalorare questa visione lo stesso si spinge ad evidenziare l'improponibilità di un parallelismo tra la formazione di una legge e la formazione di piani o programmi assoggettati ai procedimenti partecipativi della legge 69.

Non si crede che alcuno metta in dubbio la potestà legislativa del Consiglio Regionale.

I più evidenziano che la riforma di una legge così importante, dato atto degli esiti non completamente soddisfacenti della legge 1, è naturale sia oggetto di serrati confronti, di interlocuzioni, e perché no, se esistono, e magari esistono, di azioni lobbistiche,  culturali, economiche o sociali, o istituzionali che siano.

Questa è la politica d'altra parte!

Il professore forse ci smentirà in proposito, ma nessuno può levarci dalla testa che la politica e la potestà legislativa, tanto più nell'era dell'evanescenza dei partiti, non possa non alimentarsi dei contributi e se del caso anche delle contrapposizioni, ferma restando la sua responsabilità di scelta.

Si ritiene anche che non si debbano confondere le critiche all'eccesso di partecipazione che ha caratterizzato la gestione della legge 1 con la richiesta di confronti su principi i legislativi, perché nel primo caso la partecipazione è spesso frutto esclusivamente di specifici interessi, qualunque essi siano, che spesso hanno allungato a dismisura i procedimenti, nel secondo, fatto salvo che non si voglia addebitare all'interlocutore di turno di agire in malafede, sono invece il portato di convincimenti culturali e di esperienze di governo e gestionali, professionali, che il consesso legislativo deve sapere per produrre al meglio le leggi.

Nessuno si sogna di volere l'omologazione della Toscana, a partire dai centri storici, a mero luogo di loisir commerciale del fine settimana, ma questa è la deriva che si rischia e che la legge 1 ha forse incentivato, nella inconsistenza di strumenti di pianificazione sovraordinata, regionale e provinciale, che non è riuscita a delineare una missione, un destino delle tante Toscane che compongono la Toscana, a scegliere (gli esempi in proposito possono essere molti a partire per esempio dalle caratteristiche e dai contenuti dei masterplan che accompagnano il PIT).

Non c'è una contrapposizione alla indicazione di definire in legge due ben distinte categorie territoriali con distinti destini: il territorio rurale ed il territorio urbanizzato. Ben venga questa scelta, ma c'è attenzione alla definizione dei contenuti di queste categorie e del loro inevitabile confrontarsi su di una linea di demarcazione, per evitare una recita a soggetto di Toscana in Toscana, questa volta si al rimorchio degli interessi speculativi. E si concorda nel dire che il territorio rurale potrà essere sacrificato solo per realizzare infrastrutture di interesse pubblico e generale, per insediamenti produttivi che non siano ovviamente una semina di tradizionali capannoni, ma reali  e verificabili progetti e piani d'investimento ed occupazionali, mentre meno si capisce che un sacrificio si possa fare per i centri commerciali.

C'è un punto dell'intervento del prof. Morisi che sollecita ancora la riflessione, laddove parla di efficacia ed appropriatezza, tanto che sembra logico invitare a riflettere se la legge 1 interpretava questi principi, li traduceva coerentemente, oppure no, per andare oltre.

E andare oltre non vuol dire necessariamente ritornare alla "maestrina dalla penna rossa e blu" pensando magari a cosa era la CRTA, ma stabilire con chiarezza chi fa cosa e quali responsabilità porta, perché la cooperazione istituzionale tra i livelli di governo spesso è apparsa  come diluizione o spostamento di responsabilità, ma anche come forma di pressione, invito a fare a "modo di altri", certamente a fin di bene, ma pur sempre in un contesto in cui si rischia di perdere di vista responsabilità e responsabili.

Andare oltre con la riappropriazione del ruolo responsabile e unitario della Regione significa che non ci si può fermare nel alla formazione della legislazione, ne al controllo a posteriori, ma nell'esercizio continuo e puntuale della pianificazione a livello regionale. Cosa fino ad oggi mancata.

Andare oltre significa ricordare le tante critiche esposte al PIT, alla sua sostanza di narrazione, anche di possibile diverse interpretazioni, invece che di strumento di pianificazione; ricordare la difficoltà di completamento del PIT quale piano paesaggistico (e sia consentito in questo caso esprimere perplessità circa le schede del paesaggio che dovrebbero poi essere lo strumento principe per ridefinire la pianificazione locale, esprimere "dolore" per la decadenza del Ministero dei beni culturali e delle sue articolazioni territoriali), non deve quindi essere intesa come espressione di intenti distruttivi o critici, ma come una sollecitazione a rinnovare e rafforzare le strutture del governo del territorio, senza sovraccaricare i comuni di incombenze a cui, tra spending rewiew o patto di stabilità, non possono fare fronte, e magari senza lasciare intendere  che urbanisti e burocrati strillano perché perdono una prerogativa.

Non credo che chi ha fatto e fa urbanistica con serietà, abbia mai avocato a se il potere decisionale, tutt'altro, quelli sono sempre stati convinti, e lo sono ancora, che la buona urbanistica discende dalla buona politica; che senza la politica non si da il piano urbanistico che appunto traduce in atto amministrativo la politica.  E qui l'aggettivazione buona o cattiva, non discende da categorie morali, ma da categorie politiche e sociali, di cui gli attori devono farsi carico.

Per questo non si ritiene che si tratti di stabilire a chi compete la parola fine nell'applicazione della legge, ma di costruire la legge ascoltando le domande che salgono dalla società Toscana a partire dalle rappresentanze istituzionali, di applicare la legge, ciascuno al proprio livello, assumendosi in prima persona la responsabilità di governare cioè scegliere e pianificare, quindi di farsi misurare dai cittadini.

Personalmente,  in altro intervento ho ricordato l'esperienza della legge 59/80, la cui formazione non fu un semplice sforzo legislativo, ma soprattutto una scelta politica avviata già a metà degli anni settanta, corroborata da sperimentazioni, dall'entrata in vigore della legge 457 del 1978, da confronti politici e culturali, quindi da una convinta adesione istituzionale e professionale e imprenditoriale della Toscana, e allora mi domando se ripensare a quell'esperienza, aggiornare quel processo, oggi possa costituire lesione delle prerogative legislative del Consiglio Regionale, sia nostalgia, oppure un concreto contributo alla ricostruzione di un positivo rapporto tra politica, istituzioni e cittadinanza, quindi di una condivisione di una prospettiva per la nostra Toscana.

Le domande quindi connotano il dibattito che Greenreport meritoriamente supporta, le domande che aspettano risposte. Cioè, interlocuzione, che non si ritiene sia un tentativo di esercitare forme di coercizione della libera potestà legislativa del Consiglio Regionale, ma un modo per favorirne il lavoro.

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