[26/03/2013] News

Petrolio dagli scisti, la minaccia nascosta del fracking aggrava il riscaldamento globale

Nel solo North Dakota nel 2012 emissioni equivalenti a quelle di 750mila automobili

Qualcuno l'ha definita la nuova frontiera. Qualcun altro, la nuova era del petrolio. Quel che è certo è che negli Stati Uniti ferve la nuova "corsa all'oro nero" e che  lì, nel North Dakota, la più grande economia del mondo sta sperimentando su larga scala la via per uscire dalla dipendenza dall'estero e diventare, entro il 2020, il primo produttore mondiale di petrolio, avendo imparato come estrarlo a basso costo, anche con le tecniche chiamate di fracking, dagli scisti bituminosi: ovvero da rocce intrise di idrocarburi.

Gli scettici sostengono che "the oil shales", gli scisti da cui si ricava il petrolio, promettono molto più di quanto possano mantenere. Sia perché estrarre petrolio da quelle rocce è molto costoso - molto più che estrarlo dai pozzi convenzionali - sia perché ogni singola fonte si esaurisce in tempi brevissimi, cosicché se vorranno acquisire l'indipendenza petrolifera, gli States dovranno rassegnarsi a essere bucherellati in ogni angolo.

Esagerazioni, forse. Intanto l'estrazione di petrolio e di gas da scisti bituminosi produce nuovi rischi con cui bisogna fare già i conti. Per esempio, la tecnica del fracking altera gli equilibri geofisici e in qualche caso può persino causare terremoti. Inoltre, è la denuncia della rivista scientifica Nature, la nuova corsa senza regole all'oro nero utilizza pratiche che producono forti emissioni di gas serra.

L'estrazione del petrolio è, infatti, accompagnata dalla fuoriuscita di idrocarburi gassosi. A tutt'oggi le industrie che utilizzano gli scisti negli Stati Uniti si limitano a bruciare il gas, trasformandolo in anidride carbonica. Si calcola che nel solo North Dakota nel 2012 siano state prodotte in questo modo 3,9 milioni di tonnellate di CO2: equivalenti alle emissioni di 750.000 automobili. Insomma, il pericolo è chiaro: con queste pratiche la nuova corsa all'oro nero si trasformerà in una nuova, potente fonte di gas serra capaci di accelerare i cambiamenti del clima.

Tanto più che l'estrazione di petrolio dagli scisti è accompagnata dall'emissione di metano che va direttamente in atmosfera. Al momento nessuno, nel North Dakota, è riuscito a calcolare quanto metano sia volato nella stratosfera. Ma è ben noto che ogni molecola di metano ha una capacità di intrappolare la radiazione infrarossa - e alterare, così, il clima - che è 25 volte superiore a quella di una molecola di anidride carbonica.

In altri termini, la nuova corsa all'oro nero rischia di trasformarsi in una nuova fonte di gas serra.

Lo scenario, tuttavia, non è scontato. Qualcosa si può fare, sostiene Nature in un severo editoriale: si può impedire alle industrie di bruciare il gas e di controllare meglio le emissioni di metano incombusto. Le tecnologie ci sono. Certo, hanno già risposto le imprese: ma l'aggravio dei costi è tale da bloccare sul nascere un settore in rapido sviluppo che sta già dando posti di lavoro e che promette di dare l'indipendenza energetica agli Stati Uniti.

Già, ma gli Stati Uniti sono il paese al mondo che ha il più alto tasso di emissione di gas serra pro capite. In termini assoluti sono il paese che ha più emissioni, dopo la Cina. Si è impegnato a diminuire queste emissioni. E ora non può aumentarle drasticamente, senza mettere in crisi i timidi tentativi delle Nazioni Unite di contrastare i cambiamenti climatici.

Il problema, dunque, è serio e ha molte implicazioni, anche internazionali. Difficile dire come andrà a finire. Ma il governo federale e l'Epa (l'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti) hanno la possibilità di contenerlo, se solo riusciranno a vincere il braccio di ferro con le imprese petrolifere.  

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