[21/03/2013] News

Acqua in bottiglia, le pecche di un vizio tutto italiano

Business miliardari per le aziende e scarsissimi ritorni per le regioni, enorme impatto ambientale e alti costi per i consumatori

Il dossier "Acqua in Bottiglia - Un'imbarazzante storia all'italiana", presentato da Altraeconomia e Legambiente alla vigilia della giornata mondiale dell'acqua,  rivela «Un giro d'affari pari a 2,25 miliardi di euro che riguarda 168 società per 304 diverse marche commerciali; l'uso di oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica prodotte utilizzando 456 mila tonnellate di petrolio, che determinano l'immissione in atmosfera di oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2: c'è un vero e proprio business dentro una bottiglia d'acqua. L'abitudine tutta italiana di preferire l'acqua in bottiglia a quella del rubinetto innesca, infatti, un meccanismo economico che porta immensi guadagni alle aziende imbottigliatrici e un'enorme consumo di risorse per il Paese, oltre ad alti livelli di inquinamento indotto e consumo di risorse».

In occasione della giornata mondiale dell'acqua, «Il problema dei canoni di concessione delle acque minerali e il tema della gestione delle risorse idriche ritornano fortemente attuali - dicono Legambiente ed Altraeconomia -  per ribadire alcuni principi condivisi che andrebbero tenuti in conto per ogni attività relativa alla risorsa: l'acqua è risorsa limitata; l'acqua è un bene comune; chi inquina paga. Tre principi che dovrebbero guidare le Regioni nell'opera di revisione dei canoni di concessione, considerando l'altissimo valore della risorsa idrica, a maggior ragione quella di sorgente e di ottima qualità».

Nemmeno il successo delle campagne per "l'acqua del sindaco" e dei referendum contro la privatizzazione dell'acqua sembrano scalfire questo costume italico: secondo il rapporto nel 2011 i consumi di acqua in bottiglia sono aumentati rispetto al 2010, «Passando da 186 a 188 litri per abitante all'anno, numeri che confermano il primato europeo del nostro Paese per i consumi di acque minerali: dei 12,350 miliardi di litri imbottigliati nel solo 2011, oltre 11,320 miliardi sono stati consumati dentro i confini nazionali». C'è anche un altro fondamentale aspetto economico, ambientale e di (mal)costume: «Ancora oggi solo un terzo delle bottiglie viene avviato correttamente al riciclo, mentre la gran parte continua a finire in discarica o ad essere dispersa nell'ambiente, e per l'85% dei carichi si continua a preferire il trasporto su gomma. Questo vuol dire che una bottiglia d'acqua che proviene dalle Alpi percorre oltre 1000 km per arrivare in Puglia, con consumi di carburante e emissioni di sostanze inquinanti conseguenti».

Numeri che potrebbero aumentare perché il business delle acque in bottiglia continua ad essere molto vantaggioso per le società che lo gestiscono: «Infatti, i canoni richiesti dalle Regioni per le concessioni sono, in molti casi, risibili - spiegano Altraeconomia e Legambiente -  come nel caso della Liguria che chiede solo 5 euro per ciascun ettaro dato in concessione, senza prendere in considerazione i volumi emunti o imbottigliati, e incassando appena 3.300 euro all'anno per le 5 concessioni attive sul territorio». Le due associazioni ricordano che «Sui canoni di concessioni è intervenuta, già nel 2006, la Conferenza Stato-Regioni, provando a mettere ordine nel settore con un documento di indirizzo che proponeva di uniformare i canoni su tutto il territorio nazionale, prevedendo l'obbligo di pagare sia in funzione degli ettari dati in concessione che per i volumi emunti o imbottigliati, indicando come cifre di riferimento almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 euro per m3 imbottigliato. Nonostante ciò, a 7 anni dall'approvazione di tale documento, la situazione è ancora caotica e  indefinita».

Il dossier presentato oggi divide le Regioni e le Province autonome in promosse, promosse con riserva, rimandate e bocciate, sulla base dei canoni richiesti, ma avverte che «Tutte sono comunque accomunate dalla medesima peculiarità, per cui le condizioni sono sempre molto più vantaggiose per le società che imbottigliano l'acqua che per le Amministrazioni».

L'unica Regione bocciata è il Lazio che prevede un triplo canone, in funzione degli ettari dati in concessione (65 euro), dei volumi emunti (1 euro/metrocubo) e di quelli imbottigliati (2,17 euro a metro cubo); Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta, Veneto e  Provincia autonoma di Trento, sono promosse con riserva «Perché prevedono il doppio canone (volume + superficie) secondo le linee guida nazionali, con canoni per i volumi imbottigliati o emunti tra 1 e 1,50 euro per metro cubo»; sono rimandate Basilicata,Campania, Piemonte Abruzzo che, «Pur prevedendo un canone in funzione dei volumi imbottigliati, applicano ancora importi inferiori a 1 euro per metro cubo, in disaccordo con le linee guida nazionali», bocciate Provincia autonoma di Bolzano, l'Emilia Romagna, la Liguria, il Molise, la Puglia e la Sardegna «Perché adottano i criteri solo in funzione degli ettari dati in concessione o delle portate derivate».

Pietro Raitano, direttore di Altreconomia, sottolinea che  «Da Nord a Sud, sono ancora troppe le Regioni che non si sono ancora dotate di adeguati meccanismi per far pagare un canone equo alle aziende che imbottigliano. In tempi di crisi economica, il beneficio sarebbe importante per tutto il Paese, perché aumenterebbe le entrate senza intaccare posti di lavoro ma semmai contribuendo a processi economici più sostenibili. Processi che tuttavia hanno bisogno ancora di un costante impegno informativo, che noi di Altreconomia e Legambiente perseguiamo ormai da 7 anni».

Per Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, «Da questa situazione emerge un'unica certezza: le società che imbottigliano l'acqua continuano ad avere elevatissimi vantaggi economici. Degli oltre 2,25 miliardi di euro di affari incassati nel solo 2011, il ritorno economico per Comuni, Province o Regioni è stato assolutamente irrisorio, nonostante la risorsa alla base del profitto sia un bene comune che appartiene alla collettività.  Se invece si applicasse un canone uniforme e soprattutto più elevato, come i 10 euro al metro cubo, proposti più volte da Legambiente, si arriverebbe ad avere degli introiti molto maggiori da vincolare a investimenti sul territorio riguardanti la tutela degli ecosistemi acquatici. Con queste cifre, per esempio, la Liguria potrebbe incassare oltre 1,250 milioni di euro. La Basilicata passerebbe dagli attuali 323.464 euro a 9,2 milioni di euro, la Sardegna dagli attuali 39.464 salirebbe a 2,5 milioni di euro».

Altraeconomia e Legambiente non dimenticano che «Al tempo stesso occorre mettere in campo anche una forte azione per aumentare la fiducia nell'acqua di rubinetto per convincere anche quel 30% di famiglie italiane che ancora non ce l'hanno, dato a cui ha contributo le vicenda altrettanto italiana delle deroghe sulle acque potabili, oggi ampiamente rientrata con la sola eccezione di alcuni Comuni della Regione Lazio. Occorre mettere in campo azioni per la promozione e la diffusione dell'utilizzo dell'acqua di rubinetto, attraverso campagne di sensibilizzazione dei cittadini e nelle scuole, la distribuzione delle "etichette dell'acqua potabile" (cioè la pubblicazione delle informazioni sulle caratteristiche organolettiche e chimiche dell'acqua di rubinetto nella bolletta), l'utilizzo di acqua in brocca nelle mense scolastiche o l'installazione di erogatori sui luoghi di lavoro, nelle strade e nelle piazze cittadine. Iniziative alla base della campagna "Imbrocchiamola" di Altreconomia e Legambiente».

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