[13/03/2013] News

Rinnovabili: spiazzate le multinazionali energetiche, ma serve un governo stabile

L'Italia parte male

I tempi dei maxi guadagni delle multinazionali energetiche non sono ancora passati, ma si trovano al bivio con un precipizio. Il gigante tedesco E.oncomunica oggi un indice Ebitda (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization) al 31 dicembre 2012 pari a circa €10,8 miliardi, registrando un incremento di circa €1,5 miliardi rispetto all'esercizio precedente. Nonostante questo, il Ceo Johannes Teyssen - durante la presentazione dei risultati annuali a Düsseldorf - ha affermato che «Non abbiamo alcun motivo ora di sederci e rilassarci, dato che il nostro volume di vendite e profitti resta sotto pressione, specialmente nella produzione di energia convenzionale. In particolare, i nostri impianti a gas a  ciclo combinato tecnologicamente avanzati, a basso impatto ambientale, sono attualmente poco redditizi, anche se sono necessari per la stabilità del sistema di elettrico. I responsabili politici devono agire rapidamente su questo tema. In caso contrario, dovremo chiudere centrali elettriche».

L'inatteso boom delle rinnovabili continua a spiazzare i protagonisti dell'energia tradizionale, (E.on, ad esempio, denuncia  come la redditività del 2011 sia stata negativamente condizionata da fattori non ricorrenti collegati all'accelerazione dell'uscita della Germania dal nucleare), che corrono ai ripari passando dall'altro lato della barricata. Teyssen ha parlato in dettaglio del ri-orientamento di E.on: «Stiamo portando avanti investimenti superiori alla media nelle rinnovabili e stiamo espandendo rapidamente le nostre attività nel settore della generazione distribuita». Ma anche le attività tradizionali continuano ad essere in fermento, tanto che «entro il primo trimestre - ha precisato Teyssen - avvieremo la produzione presso due nuovi bacini di estrazione di gas e petrolio nel Mare del Nord».

Nel corso di questo riassetto di strategie aziendali, comunque in corso tra i maggiori player del mondo dell'energia, l'Italia rischia però di subire un ulteriore spiazzamento. Una transizione fondamentale come quella energetica necessita una forte governance per essere gestita, e non può essere affidata in toto al management aziendale. In Italia, invece, al momento risulta difficile anche solo ipotizzare quale forma e consistenza potrà avere il prossimo governo, per non parlare dell'indirizzo energetico che vorrà dare alla nazione. La Strategia energetica trasformata in decreto dai ministri Passera e Clini - e definita in blocco dalle associazioni ambientaliste un «colpo di mano della politica fossile» - non può rimanere un orizzonte di riferimento se il Paese vorrà intraprendere la strada del cambiamento verso la sostenibilità. «Il prossimo governo e il prossimo Parlamento sono liberi di fare e correggere quel che credono», ha poi dichiarato il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, e sarà in effetti bene che si muovano presto, su questo fronte.

Al contempo, anche la visione dell'Italia come hub europeo del gas comincia ad incrinarsi. Complice la crisi economica, la domanda energetica è in continua diminuzione, ed il governo ha annunciato che non sosterrà finanziariamente altri rigassificatori se non 1 soltanto, aggiuntivo ai 3 già in azione o in attesa di diventarlo (a Panigaglia, Rovigo e Livorno).

Ciò che serve al Paese per non perdere un nuovo treno dell'energia - forzatamente sostenibile - è spiegato sottotraccia già nel bilancio di un'altra big (stavolta italiana) del settore: Enel Green Power. La società, i cui ricavi totali nel 2012 sono arrivati a 2 miliardi e 688 milioni di euro (+6,4% rispetto al 2011), scrive che «l'attenzione del Gruppo sarà rivolta ai mercati con abbondanti risorse rinnovabili, stabilità del sistema regolatorio ed elevata crescita economica. Il Gruppo proseguirà il proprio impegno nel settore della ricerca e dello sviluppo di tecnologie innovative, ponendo la massima attenzione alle problematiche ambientali e alla safety».

Abbondanti risorse rinnovabili l'Italia già le avrebbe e, se "l'elevata crescita economica" appare lontana e comunque non sempre uno elemento propedeutico al benessere, la «stabilità del sistema regolatorio» è quanto dovrebbe offrire un Paese normale a cittadini ed investitori, e quanto noi invece continuiamo con scarso successo ad inseguire. Un governo e regole stabili è quanto chiedono italiani e investitori esteri, e sono elementi imprescindibili per una politica di sostenibilità: possiamo ancora permetterci di ignorarlo?

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